Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 15 giugno 2015, n. 12337

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con sentenza depositata il 20 maggio 2008 la Corte d’appello dell’Aquila accoglieva l’appello proposto da U.C. contro la sentenza resa dal Tribunale di Pescara e, per l’effetto, rigettava la domanda proposta dalla Poste Italiane S.p.A. avente ad oggetto l’accertamento della legittimità della sanzione disciplinare (multa di quattro ore di retribuzione) irrogata al dipendente.
2. La Corte, – dopo aver rilevato che il C. aveva impugnato il provvedimento con richiesta di costituzione del collegio di conciliazione e arbitrato; che la Direzione provinciale del lavoro, con nota del 212/2005, aveva invitato la società a segnalare il nominativo del proprio arbitro; che la società appellata, con lettera del 9/2/2005, aveva reso nota la sua intenzione di adire l’autorità giudiziaria e in data 1112/2005 aveva presentato istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione presso la commissione di conciliazione; che la società aveva poi promosso il presente giudizio con ricorso depositato in data 25/3/2005, l’osservava che la richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione non era stata comunicata al lavoratore nel termine di dieci giorni, previsto dall’art. 7, comma 7°, della legge n. 300/1970, e ciò determinava la perenzione del procedimento disciplinare.
3. Contro la sentenza, la Poste Italiane S.p.A, propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Il lavoratore resiste con controricorso, illustrato da memoria.
4. Con l’unico motivo Poste italiane s.p.a. censura la sentenza per l’erronea, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché per la violazione e falsa applicazione degli artt. 410 e 412 c.p.c., dell’art. 7, comma 7° legge n.300/1970, nonché per nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1″, n. 3 e 5 c.p.c. Formula il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se violi il disposto di cui all’articolo 410, comma 2 e 412 c.p.c. la sentenza che dichiari perentorio il procedimento disciplinare ritenendo la richiesta di promozione della procedura di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c. non idonea a produrre gli effetti interruttivi della prescrizione e sospensivi di ogni decadenza, se – come è accaduto nella specie – alla relativa comunicazione abbia ottemperato la DPL e, dunque, sia data alla controparte non dal richiedente ma dallo stesso organo incaricato della conciliazione “.
5. Il motivo è fondato. L’art. 7, 1. n. 300/1970, dopo aver previsto che, ove il lavoratore cui sia stata applicata una sanzione disciplinare promuova la costituzione di un collegio di conciliazione e arbitrato, “la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio” (comma 6° ), prevede che “qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al Collegio, la sanzione disciplinare non ha effetto; se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio” (comma 7°). Dalla lettura dell’indicato art. 7, comma 7, deriva che la richiesta del Collegio arbitrale determina la sospensione dell’efficacia della sanzione.
6. La sospensione dell’efficacia si protrae se, quando essa è ancora sospesa, il datore di lavoro promuove l’azione giudiziaria” (art. 7). L’art. 410 c. c.p.c., comma I, dispone che “chi intende proporre in giudizio una domanda … deve promuovere …. il tentativo di conciliazione presso la Commissione di conciliazione”. Il datore di lavoro promuove pertanto l’azione giudiziaria con la presentazione del ricorso (entro 10 giorni dalla richiesta di procedura arbitrale, formulata dal lavoratore): in tal modo, la sanzione disciplinare non perde efficacia, pur restando sospesa.
7. Occorre tuttavia accettare se, a tal fine, sia sufficiente la mera richiesta presentata alla commissione di conciliazione o se tale richiesta debba essere anche comunicata, nel detto termine, al lavoratore.
8. Sul punto, questa Corte è già intervenuta con sentenza dell’ 11 ottobre 2006, n. 21760, che ha preso le mosse dalle decisioni della Corte costituzionale n. 477 del 2002, nn. 28 e 97 del 2004 e 154 del 2005, secondo cui, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, il momento del perfezionamento della notificazione per il notificante è scisso da quello del perfezionamento per il destinatario, ed è da individuare nel momento in cui, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, è completata l’attività incombente sul notificante (ex plurimis, Cass., Sez. Un. 4 maggio 2006 n. 10216; Cass. 22 maggio 2006 n. 11929). Tanto in forza della considerazione, di carattere generale, valevole anche al di fuori della ,stretta materia delle notificazioni, per cui ogni attività conseguente alla consegna dell’atto sfugge al potere di disposizione della parte richiedente. Si è conseguentemente affermato che “Poiché la facoltà (prevista dall’art. 7 settimo comma della Legge 20 maggio 1970 n. 300) del datore di adire l’autorità giudiziaria, è esercitata con la presentazione, nei dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, della richiesta prevista dal art. 410 c.p.e., comma 1 e art. 410 bis cod. proc. ci v. e diretta a promuovere il tentativo di conciliazione presso la Commissione di conciliazione`, questa presentazione è sufficiente a conservare la (pur sospesa) efficacia della sanzione disciplinare applicata” “Il principio per cui il momento del perfezionamento della notificazione per il notificante, scisso da quello del perfezionamento per il destinatario, è da individuare nel momento in cui, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, l’attività incombente sul notificante è completata (Cass. Sez. Un. 4 maggio 2006 n. 10216), è da applicare anche nell’ipotesi di mera comunicazione d’un atto a mezzo dell’ufficio postale, ipotesi nella quale l’attività incombente sul notificante è completata con l’attestata consegna dell’atto all’ufficio postale” (Cass., n. 11929/2006, cit.).
9. Questi principi, dettati dall’esigenza di non aggravare la posizione del titolare del diritto con attività che esulano dalla sua sfera di azione e dalla sua disponibilità, hanno trovato ulteriore conferma nella nota sentenza delle Sezioni unite di questa Corte (14 aprile 2010, n. 8830), che, in materia di licenziamento individuale, ha affermato il principio per cui l’impugnazione “ai sensi dell’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che – in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale – l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che, alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra più forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione dì un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un’esistenza libera e dignitosa (arte 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti “(v. pure Cass., 4 settembre 2008, n. 22287, e da ultimo, Cass., 9 giugno 2014, n. 12890).
10. Il Collegio intende dare continuità ai principi su espressi, peraltro richiamati da più recente giurisprudenza (Cass. 8 giugno 2011, n. 12457), con la conseguenza che, essendo incontestato che Poste Italiane S.p.A. ha presentato istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione nel termine di dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, ai sensi del 7° comma dell’art. 7 1. n. 300/1970, è rimasta impedita la decadenza ivi prevista, non essendo necessario a tal fine il completamento del procedimento, con la comunicazione dell’atto al lavoratore nel medesimo termine.
11. II ricorso deve pertanto essere accolto e la sentenza impugnata, che ha diversamente disposto, deve essere cassata, con rinvio al giudice di merito, che applicherà l’indicato principio è provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata rinvia alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

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