Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V
sentenza 18 giugno 2015, n. 3118

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7316 del 2005, proposto dalla signora Wa.Ir., rappresentato e difeso dall’avv. Ur.Ba., con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione V del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);

contro

La Comunità Montana “Monti del Trasimeno”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma.Bu.Vi., con domicilio eletto presso il signor Pa.Di. in Roma, viale (…);

il Comune di Castiglione del Lago, It. Onlus, Le. Onlus, Assoc. Italiana per il Wo. Onlus;

la Provincia di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Um.Se. e Ma.Mi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Um.Se. in Roma, via (…);

la Regione Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa.Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Go.Go. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Umbria, n. 263/2004, resa tra le parti, concernente una variante al p.r.g. per la realizzazione di una pista ciclabile;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2015 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti l’avvocato Ur.Ba. ed altri;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. La signora Ir.Wa. – nella qualità di proprietaria nel Comune di Castiglione del Lago di un terreno, catastalmente identificato al foglio 7, partita 19051, p.lla 116, confinante con la fascia demaniale costiera del lago Trasimeno, asseritamente interessato alla realizzazione del progetto della pista ciclabile da parte della Comunità Montana “Monti del Trasimento” – con ricorso giurisdizionale notificato il 21 ottobre 2002 e successivi motivi aggiunti, notificati il 6 dicembre 2002, chiedeva al TAR per l’Umbria l’annullamento degli relativi all’approvazione del progetto per la realizzazione della medesima pista ciclabile, ivi comprese le due varianti intervenute, deducendone l’illegittimità alla stregua di una pluralità di censure, imperniate sulla violazione della legge regionale n. 27 del 2000, art. 48; del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, art. 5; della legge 7 agosto 1990, n. 241, artt. 7 e 14 (quest’ultimo sotto più profili); dell’art. 822 c.c.; della legge 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 14 e 25; del d.P.R. n. 383 del 1994; della legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, comma 5; della legge regionale n. 9 del 1995.

2. L’adito TAR – con la sentenza n. 263 del 24 maggio 2004, nella resistenza della Comunità Montata “Monti del Trasimeno”, della Provincia di Perugia e della Regione Umbria e con l’intervento ad adiuvandum di It. o.n.l.u.s., Le. o.n.l.u.s. e dell’Associazione italiana per il Wo. for Nature (W.) – ha respinto l’eccezione di inammissibilità degli interventi di questi ultimi ed ha dichiarato il ricorso in parte infondato e per il resto irricevibile e inammissibile.

3. L’interessata, dopo aver ripercorso in dettaglio tutta l’intera vicenda contenziosa, ha chiesto la riforma di tale sentenza, di cui ha dedotto l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di undici motivi di gravame, con cui – dopo aver specificamente contestato la declaratoria di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso di primo grado – ha per il resto riproposto le censure sollevate anche con i motivi aggiunti, a suo avviso non adeguatamente esaminate.

Hanno resistito al gravame la Regione Umbria, la Provincia di Perugia e la Comunità Montana Associazione dei Comuni “Trasimeno – Medio Tevere (d’ora in avanti anche solo Comunità Montata), che ne hanno dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza, insistendo per il rigetto.

4. Nell’imminenza dell’udienza di discussione, le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.

All’udienza pubblica del 24 febbraio 2015, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. L’appello è infondato alla stregua delle osservazioni che seguono, il che consente di prescindere dall’esame dell’eccezione sollevata dalla Regione Umbria, e alla quale ha aderito la Comunità Montana, di inammissibilità per tardività dell’ulteriore produzione documentale depositata dall’appellante nel corso del presente giudizio.

5.1. Con il primo articolato motivo di gravame, rubricato “I. Sulla mancata tempestività dell’impugnazione dei singoli atti; 1. In via principale: sulla tempestività dell’impugnazione della seconda perizia di variante al progetto e della variante al PRG del Comune di Castiglione del Lago. 2. In via subordinata: sulla tempestività degli atti riferiti alla prima variante al progetto. 3. segue: sulla diligenza della ricorrente nella richiesta di informazioni e di accesso agli atti. 4. In via di estremo subordine: istanza di rimessione in termine per errore scusabile”, l’appellante ha decisamente contestato la declaratoria di tardività del ricorso di primo grado relativamente all’impugnazione degli originari atti, risalenti al 1996, di approvazione del progetto della pista ciclabile, sostenendo che quegli atti sarebbero stati successivamente ritirati dalle amministrazioni a e che in ogni caso essi sarebbero stati impugnati col ricorso proposto nei confronti del decreto di occupazione del terreno di sua proprietà, a nulla rilevando che il relativo giudizio sarebbe stato abbandonato per effetto della revoca dell’atto di occupazione.

Del resto, le amministrazioni intimate non avrebbero mai provato, com’era loro onere processuale, la asserita tardività del ricorso.

Sempre secondo l’appellante, il ricorso di primo grado era poi da considerarsi sicuramente tempestivo sia quanto all’impugnazione degli atti recanti la seconda variante al progetto della pista ciclabile, sia quanto a quelli della prima variante, tanto più che le amministrazioni, ed in particolare il Comune di Castiglione del Lago, non avevano riscontrato la richiesta di accesso documentale, sicché solo nel luglio 2002 si era avuta la piena conoscenza (comprensiva anche degli atti tecnici, della relazione tecnica e della tavola 4.1.) della delibera del Comune di Castiglione del Lago n. 28 del 28 marzo 2002, recante la variante al PRG.

In ogni caso, poiché la presunta tardività dell’impugnazione non poteva essere addebitata al proprio comportamento, l’appellante ha chiesto la rimessione in termini per errore scusabile.

L’articolata doglianza è priva di fondamento.

5.1.1. Occorre preliminarmente precisare che il TAR ha dichiarato irricevibile il ricorso di primo grado limitatamente all’impugnazione degli originari atti di approvazione del progetto di realizzazione della pista ciclabile, risalenti al 1996, essendo state per il resto effettivamente esaminate tutte le censure sollevate nei confronti degli atti successivi.

5.1.2. Ciò posto, deve osservarsi che non ha trovato confutazione la specifica circostanza, sulla quale i primi giudici hanno fondato il loro convincimento, secondo cui la ricorrente ha avuto la notizia dell’esistenza di quegli originari atti di approvazione della variante, comprensivi anche della prima variante, oltre che della loro effettiva lesività, quanto meno dal 19 gennaio 2001, allorquando le fu notificato il decreto di occupazione d’urgenza del suo terreno, proprio per la realizzazione di quell’intervento.

La correttezza di tale conclusione è confermata del resto dal fatto che l’interessata ha effettivamente impugnato innanzi al giudice amministrativo tale decreto di occupazione, essendo consapevole della sua effettiva lesività e di quella degli atti che ne costituivano il necessario presupposto giuridico (originari atti di approvazione del progetto), i quali pertanto, quand’anche non fossero stati conosciuti integralmente, potevano (e dovevano) essere oggetto di impugnazione con motivi aggiunti.

Non giova alla fondatezza della tesi dell’appellante il fatto che quel decreto di occupazione sia stato successivamente revocato dall’amministrazione per non essere il terreno di sua proprietà effettivamente e direttamente interessato alla realizzazione della pista ciclabile (circostanza per effetto della quale il relativo procedimento giurisdizionale è stato abbandonato), giacché, secondo la stessa prospettazione dell’appellante, la lesione del suo interesse (e la conseguente legittimazione all’impugnazione) è stata determinata non solo dalla perdita della proprietà (a seguito dell’occupazione e della successiva espropriazione), quanto dalla stessa vicinanza della pista ciclabile alla sua proprietà.

Sussisteva pertanto a quella data (e persisteva nonostante la revoca del decreto di occupazione d’urgenza) l’onere (in ragione della concretezza e dell’attualità dell’interesse) di impugnazione degli originari atti di approvazione del progetto della pista ciclabile.

Per completezza deve segnalarsi che, diversamente da quanto prospettato dall’appellante, non risulta esservi stato nessun atto di ritiro o di revoca degli originari atti di approvazione del progetto della pista ciclabile: tale effetto non si può ricollegare alla nota della Comunità Montana del 4 marzo 1998 che, sul presupposto delle verifiche in corso che avrebbero potuto modificare alcuni aspetti tenici del progetto relativo alle piste ciclabili, chiedeva all’Ufficio Beni Ambientali della Regione Umbria di annullare il solo nulla osta di cui alla legge n. 1497 del 1939, espressamente riservandosi di riproporre la richiesta del titolo una volta acquisiti gli elementi tecnici necessari.

5.1.3. Anche le censure relative alla tardività dell’impugnazione della (prima) variante al piano regolatore generale del Comune di Castiglione del Lago (delibera consiliare n. 28 del 28 marzo 2002) non possono essere accolte, giacché, trattandosi di un atto di pianificazione urbanistica di carattere generale, recante la disciplina di una significativa porzione del territorio comunale, non è come tale soggetto a notifica individuale, così che il termine di decadenza per la sua rituale e tempestiva impugnazione decorre soltanto dalla data della sua pubblicazione, dalla quale discende una presunzione legale di conoscenza dell’esistenza e del contenuto del nuovo strumento urbanistico.

Non rileva al riguardo la circostanza dedotta dall’appellante, per la quale solo successivamente sarebbe stata acquisita la conoscenza deglii atti allegati a quella variante: ciò non incide affatto sulla immediata lesività (e sulla consapevolezza della stessa) del provvedimento, consentendo piuttosto soltanto la proposizione di motivi aggiunti, consentendo così di ampliare le ragioni dell’impugnazione, estendendola ad ulteriori profili.

5.1.4. Non giova alle tesi dell’appellante neppure la tesi secondo cui l’amministrazione comunale avrebbe negato illegittimamente l’accesso, più volte richiesto, ai documenti relativi al progetto de quo, così non consentendo la piena ed adeguata difesa dei propri diritti ed interessi ed in particolare impedendo la tempestiva impugnazione di quegli atti.

In primo luogo, si sarebbe potuto contestare l’asserito illegittimo comportamento dell’amministrazione con lo specifico rimedio di cui all’allora vigente art. 25, comma 4 e seguenti, della legge n. 241 del 1990.

In secondo luogo, va ribadito che l’interessata, avendo avuto la piena consapevolezza della lesività di quegli atti, era onerata della relativa tempestiva impugnazione di tali atti, di cui peraltro avrebbe potuto anche chiedere al giudice adito di ordinarne la produzione a carico dell’amministrazione, proponendo successivamente rituali motivi aggiunti.

Ciò sotto altro concorrente profilo esclude, ad avviso della Sezione, che nella fattispecie in esame possano sussistere gli estremi per la concessione dell’errore scusabile ai fini della rimessione in termine, non ricorrendo quelle eccezionali ipotesi, di stretta interpretazione, che consentono di derogare al principio di perentorietà dei termini processuali, quali l’oscurità del quadro normativo o le oscillazioni della giurisprudenza o comportamenti ambigui dell’amministrazione.

5.2. Con il secondo motivo di gravame, rubricato “II. Sull’interesse della ricorrente all’impugnazione. II.a Sull’interesse quale proprietaria confinante; II.b. Sull’interesse “diffuso” all’integrità dell’ambiente; II.c. Sulla violazione della Direttiva 92/43 CEE, nonché del D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 nel suo complesso ed in particolare dell’art. 5”, l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso o quanto meno dubitato della sussistenza del suo interesse ad agire.

L’appellante ha osservato, per un verso, che la pista ciclabile in questione, realizzata nelle immediate adiacenza (circa tre metri) del confine della sua proprietà, determinava disturbi e disagi al suo pieno ed esclusivo godimento, diminuendone anche il valore, e, per altro verso, che in ogni caso la sua realizzazione incideva negativamente sull’integrità di quell’ambiente, oggetto di specifica tutela.

A nulla rileverebbero – ad avviso dell’appellante – i pareri favorevoli espressi dagli enti competenti in materia urbanistica, paesistica, naturalistica, geologica ed idraulica (come erroneamente ritenuto dai primi giudici), tanto più che: – le relative ‘prescrizioni’ non erano state rispettate (tant’è che i lavori erano stati anche interrotti, in considerazione di un procedimento penale per l’abusivo abbattimento di alberi di alto fusto con spostamento del percorso); – vi era stato uno specifico parere contrario del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali; – la relazione di incidenza ambientale era irrituale ed incompleta (quanto all’aspetto concernente l’analisi dei rifiuti e la fauna ornitologica).

Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.

5.2.1. Quanto al profilo dell’interesse (e della legittimazione) a ricorrere, deve rilevarsi che, secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, “va considerato qualificato, ai fini della legittimazione a ricorrere, l’interesse del proprietario di un fondo non direttamente interessato dalle prescrizioni di una variazione urbanistica, qualora la stessa incida, tuttavia, in qualche misura, sul godimento o sul valore di mercato del bene di sua proprietà o, in ogni caso, sull’interesse alla conservazione dell’assetto dell’ambiente in cui è inserito il suo immobile” (Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5312; sez. VI, 16 febbraio 2005, n. 479), così che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, non può dubitarsi dell’interesse dell’appellante ad agire nei confronti degli atti impugnati (salvo il già esaminato profilo della tardività del ricorso), giacché non è irragionevole l’assunto secondo cui dalla realizzazione della pista ciclabile adiacente al confine della sua proprietà derivano alla sua proprietà non solo disturbi e disagi di fatto (quali il continuo o rumoroso passaggio di ciclisti ‘anche eventualmente scostumati’), idonei ad incidere sull’effettivo pieno e pacifico godimento della res, ma anche un effettivo danno, quale una diminuzione del suo valore di mercato per effetto della sua minore appetibilità.

Ciò è sufficiente a radicare il suo interesse, oltre che la legittimazione, ad agire per contestare la legittimità degli atti che hanno condotto alla approvazione del progetto della pista e del relativo tracciato (in quanto lesivo dei suo interessi), deducendo la violazione di quelle disposizioni (legislative, regolamentari o di atti di pianificazione territoriale, indipendentemente dalla loro fondatezza, che è questione che attiene al merito), che impedirebbero la realizzazione delle opere.

5.2.2. La sussistenza dell’interesse a ricorrere non può essere contestata neppure con riferimento al profilo ambientale.

Se è vero infatti che la tutela dell’ambiente, lungi dal costituisce un autonomo settore di intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore di diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano (assumendo un carattere per così dire ‘trasversale’ rispetto alle ordinarie materie e competenze amministrative) e considerato che l’ambiente, inoltre, è un bene pubblico non suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario, multiforme (così che è problematica la sua tutela a fronte di un sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l’azione popolare, fatte salve le ipotesi di legittimazione di aggregazioni di individui che si facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffuso), deve pur tuttavia ammettersi, in attuazione dei generali principi costituzionali di cui agli articoli 24 e 113, che il singolo soggetto possa agire in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante effetti sull’ambiente in cui vive, individuando precisamente il bene della vita che dall’iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e dimostrando che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in posizione differenziata tale da legittimarlo ad agire uti singulus a sua difesa (Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554, nonché, sia pur sotto diverso profilo, sez. V, 19 giugno 2008, n. 3049).

Nel caso di specie, la ricorrente non ha agito a difesa dell’interesse ambientale diffuso, quanto piuttosto a difesa di quella porzione di interesse ambientale, qualificatosi e differenziatosi in relazione alla sua proprietà, lesa da opere astrattamente idonee ad incidere sulla propria sfera giuridica riducendo il diritto di disposizione e di godimento, pieno ed incondizionato, del suo fondo, anche sotto il profilo della salubrità e della conservazione dell’ambiente.

5.2.3. Ciò posto, sebbene in relazione a quanto osservato il ricorso era da considerarsi astrattamente ammissibile, alle stesse conclusioni non può giungersi con riferimento al motivo sub II.c., con cui è stata specificamente lamentata la “violazione della direttiva 92/43 CEE ed del D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 nel suo complesso ed in particolare dell’art. 5”.

5.2.3.1. Al riguardo deve innanzitutto rilevarsi che le censure mosse con il motivo di gravame non confutano affatto, come sarebbe stato necessario, l’iter argomentativo della sentenza impugnata, secondo cui non potevano neppure invocarsi nei confronti degli originari atti di approvazione del progetto (risalenti al 1996) le disposizioni di un regolamento, di recepimento di quella direttiva, cronologicamente successivo.

5.2.3.2. Sotto altro profilo deve aggiungersi che, come puntualmente rilevato dai primi giudici, senza che nessun rilievo sia stato mosso sul punto con i motivi di gravame, l’interessata non ha mai provato che le varianti al progetto iniziale della pista ciclabile ne avrebbero determinato una modificazione tale da configurare un progetto nuovo, tale da comportare l’obbligo di una nuova istruttoria sotto il profilo ambientale e di una nuova valutazione di incidenza ambientale.

5.2.3.3. Infine, per quanto suggestivo, non risulta idoneo a scalfire le ragionevoli conclusioni dei primi giudici il richiamo operato dall’appellante alla lettera della Commissione delle Comunità Europee del 16 ottobre 2002 con cui la Repubblica Italiana, in quanto asseritamente venuta meno agli obblighi dagli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE per non essere stato sottoposto a valutazione di incidenza il progetto per la realizzazione di una pista ciclabile a bordo lago (ZPS IT 5210070 Lago Trasimeno), è stata invitata a fornire le proprie osservazioni, riservandosi successivamente la Commissione di emettere il parere motivato ai sensi dell’art. 226 del trattato.

Da un lato non è stato fornito alcun elemento di prova che quel procedimento sia sfociato in una condanna per inadempimento dell’Italia.

Dall’altro, fatto salvo quanto osservato al paragrafo precedente, deve ancora osservarsi innanzitutto che le deduzioni dell’interessata non hanno riguardato in generale la mancanza di qualsiasi valutazione dell’incidenza ambientale, vertendo piuttosto sul fatto che essa sarebbe successiva all’approvazione dell’opera e comunque non avrebbe considerato l’aspetto ornitologico e quello relativo alla produzione di rifiuti.

Sennonché i primi giudici hanno non irragionevolmente sottolineato che ciò che conta ai fini della legittimità degli atti impugnati (relativamente a quelli nei cui confronti l’impugnazione è tempestiva) è che la valutazione di incidenza ambientale vi sia comunque stata, aggiungendo che risultava anche valutato l’aspetto ornitologico, mentre di per sé la pista ciclabile non determinava la produzione di rifiuti (né la valutazione dei rifiuti poteva essere fatta in ragione del comportamento inurbano dei ciclisti): nessuno di tali profili è stato smentito o effettivamente confutato dall’appellante, così che il relativo motivo è infondato.

Del resto, va osservato che nella determinazione dirigenziale della Direzione Politiche Territoriali, Ambiente e Infrastrutture – Servizio Promozione e Valorizzazione Sistemi Naturalistici e Paesaggistici della Regione Umbria, n. 7344 del 9 agosto 2002 (avente ad oggetto “Perizia di seconda variante per la realizzazione di percorsi ciclabili nell’area del Lago Trasimeno – I stralcio – Proponente: Comunità Montana Monti del Trasimeno – Autorizzazione ai seni dell’art. 6 Direttiva 92/43/CEE; ai sensi dell’art. 10, comma 4 L.R. n. 9/95 e ai sensi dell’art. 151 del D. Lgs. 490/99”), si evidenzia tra l’altro che:

– ” per quanto riguarda la Valutazione di Incidenza, essa non è stata ritenuta necessaria all’atto dell’approvazione del progetto originario e della successiva variante in quanto a tale data, non prevista dalla normativa nazionale vigente (D.P.R. n. 357/97 di recepimento della Direttiva 92/43/CEE) mentre ora, a seguito della procedura di infrazione (n. 1999/2180) avviata a tale proposito dalla Commissione Europea, si ravvisa l’opportunità di sottoporre a Valutazione di Incidenza sia la parte relativa al completamento dei lavori dell’intervento di cui all’oggetto che la parte già realizzata”

– “dall’analisi degli impatti e delle misure compensative previste nella relazione ai sensi dell’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE non si evincono incidenza significative su tale sito”.

Ogni questione sul punto è pertanto destituita di fondamento.

5.3. Va respinto anche il terzo motivo di gravame, con cui – deducendo “error in judicando: sulla violazione degli artt. 822 e ss. c.c.”, l’appellante ribadisce che, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, ai fini della legittimità dell’approvazione del progetto della pista ciclabile dovevano essere previamente sdemanializzati terreni del demanio lacuale interessati.

In contrario, va osservato che la sdemanializzazione di un bene presuppone dal punto di vista logico e giuridico che lo stesso non sia più adibito, anche da lungo tempo, all’uso pubblico ovvero che sia effettivamente venuta a cessare la sua destinazione all’uso pubblico ovvero che lo stesso non sia più utile e necessario per il perseguimento dei fini pubblici, elementi tutti che non sussistono nel caso di specie, giacché l’uso del bene demaniale lacustre anche per la pista ciclabile non esclude affatto la sua destinazione pubblica ovvero, come hanno sottolineato i primi giudici, non è incompatibile con quella, dando luogo ad un normale uso generale del bene stesso.

5.4. Possono essere trattati congiuntamente, per la loro intima connessione, il quarto (“error in judicando: Sulla violazione del procedimento amministrativo in materia di lavori pubblici e localizzazione delle opere pubbliche, in particolare violazione dell’art. 14 l. n. 109/1994 e del D.P.R. n. 383/1994. Sulla violazione dell’art. 1, co. 5, L. 1/1978. Eccesso di potere per violazione del procedimento amministrativo”), il quinto (“error in judicando: Sulla violazione dell’art. 14 L. 109/94 e dell’art. 3 L. 241/1990 sotto altro profilo. Incompetenza. Eccesso di potere per carenza di motivazione, violazione del procedimento amministrativo”), il sesto (“error in judicando: sulla violazione dell’art. 14 e 16 della l. 109/1994. Eccesso di potere per carenza di istruttoria”) ed il settimo (“error in judicando: Sulla violazione dell’art. 25, L. 109/94. Eccesso di potere per carenza di motivazione”) di gravame.

Essi sono infondati.

5.4.1. Non vi è dubbio che gli atti impugnati, come sottolineato correttamente dai primi giudici, sono atti programmatici, di pianificazione territoriale, nulla – osta ambientali, etc., i soli nei confronti dei quali l’appellante, in ragione della sua qualità di proprietaria di un fondo comunque interessato alla realizzazione della pista ciclabile, può vantare un interesse all’impugnazione, in quanto lesivi.

L’appellante non può essere invece titolare di alcun interesse, qualificato e differenziato, in ordine alle procedure di affidamento dei lavori per la realizzazione di quell’opera, così che sotto tale profilo il motivo di gravame è infondato (oltre che inammissibile, in quanto proposto per la prima volta in appello, come eccepito dalla difesa della Comunità, senza alcuna specifica contestazione sul punto), nella parte in cui insinua il dubbio sulla legittimità delle modalità di esecuzione dei lavori stessi e dell’affidamento della progettazione a tecnici esterni.

5.4.2. Quanto alla dedotta violazione del d.P.R. n. 383 del 1994, va osservato che esso disciplina i procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale e non può pertanto trovare applicazione nel caso di specie, in cui si discute di un’opera pacificamente locale, a nulla rilevando che essa interessi un bene del demaniale lacuale.

5.4.3. Quanto alla dedotta violazione della legge n. 109 del 1994, sub artt. 14, 16 e 25, deve osservarsi quanto segue.

5.4.3.1. Sostiene l’appellante che il progetto di pista ciclabile approvato dalla Conferenza dei servizi il 17 giugno 1998 sarebbe stato un progetto esecutivo e che non sarebbe stato invece redatto quello definitivo, con la conseguenza che la partecipazione realizzatasi con la conferenza dei servizi sarebbe un mero sterile simulacro, giacchè la progettazione aveva già raggiunto un livello tale da rendere privo di effetto incidenza l’apporto partecipativo.

In primo luogo, ogni censura avverso gli originari atti di approvazione del progetto della pista ciclabile è da considerarsi tardiva e quindi inammissibile sulla base delle osservazioni svolte sub 5.1,

Inoltre, tale suggestiva argomentazione risulta infondata, giacché nulla impedisce che in sede di conferenza di servizio sia proposto per l’approvazione anche un progetto esecutivo, purché la specificità di tale livello di progettazione non impedisca effettivamente l’apporto partecipativo degli enti intervenuti, circostanza solo ipotizzata, ma di cui in concreto non è stato fornito alcun elemento probatorio, nemmeno a livello indiziario (non potendo d’altra parte ragionevolmente negarsi che proprio in presenza di un livello di progettazione puntuale, minuzioso e particolareggiato, ex art. 16, comma 5, della l. n. 109 del 1994, la partecipazione procedimentale può assumere un più significativo rilievo in ragione della maggior consapevolezza delle scelte che si operano e degli effetti che ne possono derivare).

5.4.3.2. Come giustamente eccepito dalla difesa della Comunità Montana, il presupposto per l’inserimento di un progetto nell’elenco annuale dei lavori, ex art. 14, comma 8, della l. n. 109 del 1994, è la sua conformità allo strumento urbanistico vigente ed approvato.

Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la delibera consiliare di approvazione della variante al Piano regolatore generale non poteva che essere adottata e approvata dall’organo consiliare, non sussistendo al riguardo nessuna alcuna competenza in materia dell’organo esecutivo (che non doveva procedere ad alcuna successiva approvazione o riapprovazione dell’atto consiliare ai fini della sua inclusione nel programma annuale dei lavori pubblici); né può confondersi la diversa fattispecie dell’approvazione di un progetto di lavori non conforme allo strumento urbanistico in vigore o adottato, solo in questo caso sussistendo il potere dell’organo esecutivo, ai sensi dell’art. 1, commi 4 e 5, della legge 3 gennaio 1978, n. 1.

5.4.3.2. Inconferente ed infondato è il richiamo all’art. 25 della legge n. 109 del 1994 che, come evidenziato dai primi giudici, è finalizzato ad eliminare o quanto meno a limitare il fenomeno delle varianti in corso d’opera, quale causa del lievitare del costo dei lavori pubblici.

Esso attiene pertanto ai rapporti tra l’amministrazione appaltante e l’esecutore dei lavori rispetto ai quali nessun interesse, qualificato e differenziato, può vantare l’appellante e non può essere invocato a fondamento del preteso mancato rispetto dell’obbligo della motivazione delle varianti del tracciato della pista ciclabile, che attiene evidentemente ai profili urbanistici, in riferimento ai quali, inerendo ad atti di pianificazione generale, l’obbligo della motivazione è notoriamente attenuato ed è soddisfatto dal contenuto della relazione tecnica allegata alla delibera di approvazione; per di più, nel caso di specie le varianti apportate al progetto principale sono state determinate non già da una nuova ponderazione delle scelte già fatta ovvero da una decisa modifica di quelle, quanto piuttosto da impedimenti di natura tecnica, che sono stati eliminati per non impedire la realizzazione della pista ciclabile.

5.5. Si prestano ad una trattazione congiunta anche l’ottavo (“error in judicando: sulla violazione dell’art. 14, L. 241/90”) ed il nono motivo (“error in judicando: Ssulla violazione art. 14 L. 241/1990 sotto altro profilo. Eccesso di potere sotto tutte le figure sintomatiche, in particolare per contraddittorietà, carenza di istruttoria, irragionevolezza”), che tuttavia anch’essi devono essere respinti.

5.5.1. Le censure concernenti pretesi vizi delle conferenze di servizi del 1998 e del 2001, recanti l’approvazione del progetto di realizzazione della pista ciclabile, sono da considerare comunque tardive, al riguardo dovendo richiamarsi le osservazioni svolte sub 5.1.

Peraltro. deve osservarsi sotto un primo profilo che le finalità proprie della conferenza dei servizi, di consentire a tutti gli enti e alle amministrazioni interessati dalla realizzazione di un progetto, di esprimere le proprie osservazioni ovvero di formulare il proprio motivato dissenso, sono state raggiunte anche nei confronti del soggetto gestore dell’Area protetta del Trasimeno, come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata: a detto soggetto (Consorzio) è stato infatti trasmesso il verbale della conferenza dei servizi e la conseguente delibera della Comunità Montana, senza che siano state mai manifestate ragioni di dissenso rispetto alle decisioni assunte.

Va rilevato che le norme sulle garanzie partecipative non devono essere interpretate ed applicate in modo formalistico, privilegiando cioè il mero rispetto della previsione procedimentale, quanto piuttosto in modo sostanziale, garantendo cioè l’effettivo raggiungimento delle loro finalità, di consentire che tutti i soggetti interessati abbiano consapevolezza delle questioni oggetto di discussioni e possano esprimere la propria opinione, cosa che si è verificata effettivamente nel caso di specie, ancorchè il Consorzio non sia stato formalmente invitato alle riunioni della conferenza dei servizi.

5.5.2. Sotto altro profilo, fermo restando il profilo della tardività, deve poi rilevarsi che le deduzioni svolte in particolare con il nono motivo sono inammissibili, ancor prima che infondate, giacchè si sostanziano in un inammissibile dissenso dalle puntuali e ragionevoli conclusioni dei primi giudici, senza fornire alcun elemento probatorio a supporto della presunta persistenza dei pareri contrari formulati sul progetto della pista ciclabile da alcune amministrazioni nelle riunioni della conferenza di servizio; così come devono essere qualificate come mere inammissibili opinioni dissenzienti i rilievi esposti secondo cui gli indicati pareri negativi non sarebbero mai stati effettivamente rimossi o superati, ovvero che gli stessi sarebbero alla base delle incertezze del tracciato della pista e costituirebbero la causa delle varianti al progetto.

Sul punto, va osservato altresì che la conferenza dei servizi è proprio il luogo in cui gli eventuali pareri negativi possono essere superati attraverso una serie di aggiustamenti, chiarimenti e puntualizzazioni del progetto esaminato, anche con l’apposizione di condizioni, senza che possano considerarsi autonomamente rilevanti ed ostative le originarie posizioni, eventualmente contrarie, delle singole amministrazioni.

Inoltre, non incidono sulla legittimità delle determinazioni amministrative le eventuali difficoltà di fatto incontrate nella sua attuazione (nel caso di specie, nella concreta realizzazione della pista ciclabile), né tanto meno gli eventuali comportamenti materiali o penalmente rilevanti dei soggetti attuatori; ugualmente non incidono sulla legittimità delle determinazioni decise nella conferenze dei servizi le successive modifiche del tracciato della pista, modifiche resesi necessarie per il superamento di problemi di mera natura tecnica che non risultano (ne è stato diversamente provato) aver inciso sulla scelta di fondo di realizzare effettivamente la pista ciclabile, dovendo aggiungersi che la concreta individuazione del tracciato rientra nell’ambito della discrezionalità (tecnica) dell’amministrazione e come tale si sottrae al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo il caso della manifesta irragionevolezza, illogicità, arbitrarietà o travisamento di fatto, di cui non è stata provata la sussistenza.

5.6. E’ infondato il decimo motivo di gravame (“sulla violazione dell’art. 10 L.r. 9/1995 sotto altro profilo”), con cui è stato lamentato che la già ricordata determinazione dirigenziale n. 7344 del 9 agosto 2001 avrebbe consentito, ai sensi dell’art. 10, comma 4, della L.R. n. 9/95, nonché dell’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE e dell’art. 151 del D. Lgs. n. 490/99, solo il completamento dei lavori di cui alla seconda variante della pista ciclabile e non quelli precedenti.

Come già osservato sub 5.2.3.3., in quella determinazione dirigenziale è espressamente evidenziato che:

– “per quanto riguarda la Valutazione di Incidenza, essa non è stata ritenuta necessaria all’atto dell’approvazione del progetto originario e della successiva variante in quanto a tale data, non prevista dalla normativa nazionale vigente (D.P.R. n. 357/97 di recepimento della Direttiva 92/43/CEE) mentre ora, a seguito della procedura di infrazione (n. 1999/2180) avviata a tale proposito dalla Commissione Europea, si ravvisa l’opportunità di sottoporre a Valutazione di Incidenza sia la parte relativa al completamento dei lavori dell’intervento di cui all’oggetto che la parte già realizzata”;

– “dall’analisi degli impatti e delle misure compensative previste nella relazione ai sensi dell’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE non si evincono incidenza significative su tale sito”, così che, ancorchè formalmente nella parte dispositiva l’autorizzazione sia stata riferita al completamento dei lavori, la stessa ha conglobato – sotto il profilo della valutazione di incidenza, presupposto necessario dell’autorizzazione – anche i lavori già svolti.

5.7. Quanto infine all’undicesimo motivo (“error in iudicando: sui motivi aggiunti”), con cui è stata lamentata l’immotivata variazione procedimentale che avrebbe caratterizzato l’approvazione della seconda variante al progetto (giacché invece della convocazione dei servizi il progetto sarebbe stato meramente inviato alle amministrazioni interessate, ai fini della sua infondatezza), vanno richiamare le osservazioni svolte sub 5.5.1. sull’applicazione e sulla interpretazione non formalistica, ma sostanzialistica, delle norme in tema di partecipazione.

6, In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 7316 del 2005, proposto dalla signora Ir.Wa. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria n. 263 del 24 maggio 2004, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore della Regione Umbria, della Provincia di Perugia e della Comunità Montana Associazione dei Comuni “Trasimeno – Medio Tevere”, che liquida complessivamente in Euro 9.000,00 (novemila), Euro 3.000,00 (tremila) ciascuno, oltre IVA, CPA ed altri accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Vito Poli – Consigliere

Carlo Saltelli – Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti – Consigliere

Antonio Bianchi – Consigliere

Depositata in Segreteria il 18 giugno 2015.

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