Suprema
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 19.11.2013 la Corte d’Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno pronunciata il 13.4.2012 nei confronti di A.E., condannato alla pena di giustizia per il reato di cui agli artt. 186 comma 2 lett.c), e 2 sexies CdS, concedeva all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. A ragione del giudizio di colpevolezza la Corte territoriale rilevava il risultato inequivoco dell’alcoltest, che aveva accertato un tasso alcolemico pari a 1,79 g/I in entrambe le prove; riteneva tardiva l’eccezione di inutilizzabilità dei detto accertamento per omesso avviso al difensore ex art.354 e 356 c.p.p., stante la mancata deduzione da parte dell’interessato prima ovvero immediatamente dopo il compimento dell’atto, ai sensi dell’art.182, comma 2, c.p.p.; aggiungeva infine che l’imputato, al momento del controllo, presentava plurimi e chiari sintomi di ebbrezza alcolica (alito vinoso, respirazione affannosa, movimenti grossolani, ritmo del linguaggio non uniforme, tono della voce eccessivo, difficoltà dei movimenti).
3. Propone ricorso l’A., a mezzo del difensore di fiducia, lamentando vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’acquisizione delle prove dello stato di ebbrezza, alla mancata sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, e all’eccessiva durata della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida.
Considerato in diritto
4. Si da atto preliminarmente che non è stata accolta (cfr. verbale d’udienza) la richiesta di rinvio per astensione dalle udienze avanzata dalla difesa del ricorrente, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett.a) del Codice di Autoregolamentazione, che non consente l’astensione quando il termine di prescrizione venga a maturare, nei giudizi di legittimità, entro 90 giorni, come nel caso di specie.
5. Ciò posto, il ricorso è infondato.
5.1. Per quanto attiene alla sussistenza dello stato di ebbrezza, la Corte territoriale ha già rilevato che l’esame mediante etilometro era avvenuto in un lasso temporale prossimo alla verificazione del sinistro e dunque l’esito era attendibile, ed ha spiegato il risultato di pari valore delle due prove con l’andamento del tasso alcolemico, soggetto ad una fase di crescita, di stasi in cui il valore rimane stabile, e quindi di decrescita, evidenziando come verosimilmente i prelievi fossero avvenuti proprio nella fase di stasi.
5.2. Per quanto invece riguarda l’eccezione di nullità dell’atto urgente, derivante dall’omesso avviso all’indagato da parte della polizia giudiziaria della facoltà di farsi assistere dal difensore, la Corte di merito ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui, trattandosi di nullità a regime intermedio, doveva ritenersi sanata se non tempestivamente rilevata o se non dedotta prima, ovvero immediatamente dopo il compimento dell’atto, ai sensi dell’art.182, secondo comma, c.p.p.
Questo Collegio, uniformandosi alla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite (sent. 5.2.2015, n.5396) – posto che l’avvertimento del diritto all’assistenza difensiva, di cui all’art.114 disp.att.c.p.p., che per il tramite dell’art.356 c.p.p., richiama “gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone”, di cui all’art.354 c.p.p., è sicuramente riferibile anche agli accertamenti eseguiti dalla P.G. sul tasso alcolemico del conducente di un veicolo ai fini della verifica dell’eventuale stato di ebbrezza – rileva come nel momento in cui tali verifiche vennero effettuate, dovessero ritenersi già emersi a carico del conducente indizi di reità per una fattispecie di guida in stato di ebbrezza, tanto che, prima di procedere a tale accertamento indifferibile e urgente, al medesimo avrebbe dovuto essere dato avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia. Quanto poi al momento utile per sollevare la relativa eccezione, prosegue la Suprema Corte a Sezioni Unite affermando che le nullità a regime intermedio verificatesi prima del giudizio non possono essere più dedotte “dopo la deliberazione della sentenza di primo grado”, alla stregua di quanto previsto dall’art.180 c.p.p., richiamato dall’art.182, comma 2, secondo periodo, c.p.p., con ciò superando e ritenendo non più condivisibili le affermazioni giurisprudenziali secondo cui la nullità in parola sarebbe sanata e non più deducibile se non dedotta dall’interessato all’accertamento prima ovvero immediatamente dopo il compimento dell’atto “non ricorrendo facoltà processuali comportanti cognizioni tecniche professionali proprie dei difensore”. Deve invece escludersi, in base a tale recente pronuncia, che una qualsiasi nullità debba essere personalmente eccepita, a pena di decadenza, dal soggetto indagato o imputato, non solo nell’immediatezza dell’atto nullo ma anche successivamente, poiché tale soggetto non ha, o si presume per postulato legale che non abbia, le conoscenze tecniche indispensabili per apprezzare che l’atto o il mancato atto sia non rispettoso delle regole processuali, e per di più che egli debba attivarsi per eccepire ciò, entro certi termini, a pena di decadenza: trova allora applicazione il disposto dell’art.182, comma 2, secondo periodo, che indica come limite temporale alla proposizione tempestiva dell’eccezione di nullità la deliberazione della sentenza di primo grado, a norma dell’art.180 c.p.p.
Dall’esame degli atti a disposizione di questa Corte risulta però che il difensore dell’A. non sollevò l’eccezione nel corso del giudizio di primo grado ma, per la prima volta, la prospettò come motivo di gravame, tardivamente rispetto alla preclusione già verificatasi.
5.3. Si duole ancora il ricorrente della mancata applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. Anche tale censura è infondata perché la richiesta non venne formulata con i motivi di appello, nonostante la novella legislativa sul punto fosse entrata già in vigore.
5.4. Infine, la Corte di Ancona ha congruamente motivato in ordine alla durata della sanzione amministrativa (fissata in 2 anni), tenuto conto sia dei criteri dell’art.133 c.p. sia della circostanza che il veicolo condotto dall’imputato apparteneva a persona estranea al reato e dunque la sospensione della patente doveva essere raddoppiata.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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