Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 189 del 2012, art. 3, relativi ad ipotesi di omicidio o lesioni colpose ascritte all’esercente la professione sanitaria, in un ambito regolato da linee guida, di talchè il processo verta sulla loro applicazione, stante l’intervenuta parziale abrogatio criminis delle richiamate fattispecie, in osservanza dell’art. 2 c.p., comma 2, occorre procedere d’ufficio all’accertamento del grado della colpa, giacchè le condotte qualificate da colpa lieve sono divenute penalmente irrilevanti.

La limitazione di responsabilità, in caso di colpa lieve, può operare, per le condotte professionali conformi alle linee guida ed alle buone pratiche, anche in caso di errori che siano connotati da profili di colpa generica diversi dalla imperizia

 
 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA 6 giugno 2016, n. 23283

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Genova, con sentenza in data 4.05.2012 dichiarava D.A. responsabile del delitto di omicidio colposo ascrittogli, per avere cagionato la morte del paziente G.E.;
concesse le attenuanti generiche, l’imputato veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile ed al versamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 50.000,00. Al D. si contesta, quale medico chirurgo addetto al reparto di medicina generale dell’Ospedale (OMISSIS), di avere, per colpa, cagionato la morte di G. E., persona che presentava, già all’atto del ricovero in ospedale, sintomatologia riferibile alla fessurazione dell’aneurisma dell’aorta addominale. Segnatamente al D. si addebita di aver omesso, nella notte del (OMISSIS), nonostante l’aggravamento della sintomatologia addominale, di attuare tempestivamente ogni possibile e specifica attività diagnostica e terapeutica, atteso che la TAC venne eseguita solo alle ore 16.00 del (OMISSIS), quando il quadro di rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale era ormai conclamato.
In tal moto, in assunto accusatorio, l’imputato comprometteva la possibilità di guarigione e cagionava la morte del paziente, nonostante l’effettuazione dell’intervento chirurgico di rimozione dell’aneurisma. L’originaria contestazione attingeva anche il medico in servizio presso il locale Pronto Soccorso, F.C. e l’altro chirurgo addetto al reparto, C.L., entrambi i quali sono stati mandati assolti dal primo giudice, per insussistenza del fatto.
2. La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 18.05.2015, confermava integralmente la sentenza di primo grado, appellata dal Procuratore Generale, dalla parte civile e dall’imputato D..
Il Collegio rilevava che l’effettuazione di una indagine ecografica avrebbe consentito, come chiarito dai nominati periti, di visualizzare l’aneurisma; e che, nel caso di specie, le possibilità di rilevare la presenza dell’aneurisma erano particolarmente elevate, a causa delle cospicue dimensioni dello stesso. La Corte territoriale considerava che, su base statistica, la presentazione cosiddetta atipica dell’aneurisma addominale si riscontra in circa la metà dei casi e che la possibilità di pervenire ad una diagnosi adeguata è molto elevata. La Corte di Appello evidenziava, inoltre, che il paziente accusava forti e persistenti dolori addominali, che imponevano di giungere nel minor tempo possibile ad una diagnosi.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di merito considerava che la mancata disposizione, da parte del D., dell’esecuzione, in via di urgenza, di una ecografia addominale e, in seguito, di una eventuale TAC, rappresentava una condotta omissiva caratterizzata da profili di colpa, per imperizia e per negligenza. In ordine alle possibilità salvifiche, rispetto alla verificazione dell’evento morte, derivanti dalla condotta attesa, il Collegio considerava che il rischio di esito infausto dell’intervento chirurgico dell’aneurisma dell’aorta, qualora non si versi in fase di rottura, è prossimo al 5%.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione D.A., a mezzo del difensore. Il ricorso è affidato a quattro distinti motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, laddove i giudici di merito hanno rilevato un profilo di colpa a carico del sanitario, per l’omessa effettuazione dell’accertamento ecografico. L’esponente considera che non è stata valutata la condotta del ricorrente, che aveva disposto che il paziente venisse sottoposto a TAC il giorno successivo.
L’esponente si sofferma analiticamente sul vissuto ospedaliero del paziente G., giunto al Pronto Soccorso dell’Ospedale (OMISSIS) alle ore 14.29 del (OMISSIS) e deceduto alle ore 00.15 del (OMISSIS), dopo l’effettuazione, alle ore 17.00 del (OMISSIS), di un intervento chirurgico in emergenza.
La parte sottolinea che il D. ebbe a visitare il malato alle ore 22.08 del (OMISSIS), disponendo che il paziente fosse idratato con infusione, che gli fosse applicata una sonda rettale e, per il mattino seguente, che venissero eseguiti gli esami ematochimici preliminari all’esecuzione di una TAC con mezzo di contrasto.
L’esponente evidenzia di avere prescritto una infusione di Toradol alle ore 23.30, poichè il paziente lamentava dolore; e che, in mancanza di ulteriori segnalazioni da parte degli infermieri, smontò dal turno al mattino del giorno (OMISSIS), lasciando le consegne ai colleghi della divisione chirurgica ed informandoli che in Medicina Generale era ricoverato un paziente del quale occorreva farsi carico.
Ciò posto, il ricorrente osserva che, secondo i termini dell’imputazione, al D. si addebita di aver preso atto degli esiti della radiografia eseguita alle ore 19.00 del (OMISSIS), omettendo di effettuare in urgenza una ecografia o una TAC. L’esponente rileva che i giudici di merito hanno erroneamente affermato che una ecografia avrebbe consentito di individuare l’aneurisma, contraddicendo le indicazioni rese dagli stessi periti, i quali hanno chiarito che per avere un esito diagnostico soddisfacente occorreva eseguire una TAC, unico accertamento in grado di verificare l’eventuale rottura dell’aneurisma.
Il deducente considera che non può ritenersi colposa la mancata effettuazione di una ecografia, una volta chiarito che tale accertamento non sarebbe stato sufficiente a fini diagnostici, nel caso concreto, in presenza di gonfiore dell’addome. E sottolinea che la TAC non avrebbe dovuto essere necessariamente preceduta da una ecografia.
L’esponente ritiene che i giudici di merito siano incorsi nel travisamento della prova, sul punto di interesse.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui i giudicanti hanno ritenuto colposa la condotta del D., per l’omessa effettuazione di accertamenti diagnostici in regime di urgenza. L’esponente ritiene che i giudici di merito, nell’effettuare la predetta valutazione, abbiano omesso di considerare una serie di circostanze di fatto, accertate in giudizio, indicative della assenza di condizioni di urgenza. Al riguardo, il ricorrente rileva che il paziente venne ricoverato al Pronto Soccorso con codice verde; sottolinea che la dott.ssa F., che ebbe a visitare il paziente alle 18.30, aveva disposto radiografie dell’addome e del torace, senza richiedere ulteriori accertamenti; ed evidenzia che il quadro clinico, all’atto della visita effettuata dal D. alle successive ore 22.30, non era molto diverso, da quello constatato dalla collega F..
L’esponente sottolinea che l’imputato aveva disposto una TAC da eseguire il giorno seguente, cioè a dire il (OMISSIS). E rileva che l’esecuzione di una TAC in urgenza presentava controindicazioni, atteso che le analisi evidenziavano l’alterazione dei valori della creatina. La parte ritiene che i giudici abbiano errato nell’individuare un profilo di colpa per imperizia a carico del prevenuto; e che sia stata obliterata la valutazione che era stata espressa dal consulente tecnico di parte.
Con il terzo motivo il deducente osserva che quand’anche si ritenesse che la condotta del D. sia da ricondurre a colpa per imperizia, andava comunque valutato il grado della colpa, alla luce della norma di cui all’art. 3, legge n. 189 del 2012. Al riguardo, considera che occorreva valutare se il medico si fosse attenuto, o meno, alle linee guida e se in tale ambito emergessero profili di colpa grave. Sul punto, l’esponente sottolinea che la valutazione giudiziale deve tenere conto delle condizioni del soggetto agente e del contesto in cui il sanitario si è trovato ad operare.
Con il quarto motivo viene denunciato il vizio motivazionale con riguardo alla riferibilità causale dell’evento alla condotta dell’imputato. Dopo aver richiamato arresti giurisprudenziali di legittimità sul tema della causalità omissiva, la parte osserva che, nel caso di specie, i giudici si sono limitati a riportare le percentuali di sopravvivenza nei casi di interventi di eleziotie, senza spiegare come possa affermarsi che la diversa condotta attesa avrebbe evitato l’evento concretamente verificatosi.
Il ricorrente ha depositato memoria, osservando che la parte civile costituita ha accettato, in via transattiva, a definizione del danno, la somma offerta da Carige Assicurazioni.
E’ stata versata in atti dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile, ad opera del difensore e procuratore di Ch.
B..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.
Giova soffermarsi sulle questioni affidate al secondo ed al terzo motivo di ricorso, evidenziando che il percorso motivazionale sviluppato dalla Corte territoriale appare effettivamente carente, in riferimento al tema della ascrivibilità colposa della condotta omissiva, che si assume sia stata posta in essere dal sanitario. E, in previsione della indagine rimessa al giudice di merito, che dovrà valutare se le linee guida che orientano il professionista, rispetto al caso di giudizio, siano attinenti a profili di diligenza, oltre che di perizia, si verranno pure a svolgere considerazioni di ordine generale, sulla natura e sul contenuto delle linee guida.
Nelle more del presente giudizio, è stata inserita nell’ordinamento l’inedita fattispecie, in tema di responsabilità sanitaria, dettata dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, ove è stabilito:
“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
Richiamando, in via di estrema sintesi, l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità nel procedere alla ermeneusi della norma ora citata, si osserva che la Corte regolatrice ha chiarito che la novella esclude la rilevanza penale della colpa lieve, rispetto a quelle condotte lesive che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purchè esse siano accreditate dalla comunità scientifica. In particolare, si è evidenziato che la norma ha dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 c.p., avendo ristretto l’area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, giacchè oggi vengono in rilievo unicamente le condotte qualificate da colpa grave (Sez. 4, Sentenza n. 11493 del 24/01/2013, dep. 11/03/2013, Rv. 254756; Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, dep. 09/04/2013, Rv. 255105).
Le considerazioni sin qui svolte consentono, allora, di chiarire quale incidenza debba assegnarsi alla nuova normativa, rispetto al presente procedimento. Occorre in questa sede ribadire che la parziale abrogazione, determinata dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, delle fattispecie di cui agli artt. 589 e 590 c.p., qualora il soggetto agente sia un esercente la professione sanitaria, determina un problema di diritto intertemporale, che trova regolamentazione alla luce della disciplina legale. Come meglio si vedrà nel prosieguo, la restrizione della portata dell’incriminazione ha avuto luogo attraverso due passaggi:
l’individuazione di un’area fattuale costituita da condotte aderenti ad accreditate linee guida; e l’attribuzione di rilevanza penale, in tale ambito, alle sole condotte connotate da colpa grave, poste in essere nell’attuazione in concreto delle direttive scientifiche.
Pertanto, nell’ambito delle richiamate fattispecie incriminatrici, la rilevanza penale è da ritenersi circoscritta alla sola colpa grave (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, dep. 09/04/2013, cit.). E deve pure richiamarsi l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza da ultimo citata, ove si è evidenziato che tale struttura della riforma in tema di responsabilità sanitaria ha realizzato un caso di abolitio criminis parziale; che si è in presenza di norma incriminatrice speciale, che sopravviene e che restringe l’area applicativa della norma anteriormente vigente; che si sono succedute nel tempo norme in rapporto di genere a specie: due incriminazioni di cui quella successiva restringe l’area del penalmente rilevante individuata da quella anteriore, ritagliando implicitamente due sottofattispecie, quella che conserva rilievo penale (in caso di colpa grave) e quella che, invece, diviene penalmente irrilevante (qualora sia accertata la colpa lieve), oggetto di abrogazione.
L’evidenziato parziale effetto abrogativo comporta, conseguentemente, l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 2 c.p., comma 2, e quindi l’efficacia retroattiva del combinato disposto di cui alla L. n. 189 del 2012, art. 3, e artt. 589 e 590 c.p.. Del resto, la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno chiarito che il fenomeno dell’abrogazione parziale ricorre allorchè tra due norme incriminatrici che si avvicendano nel tempo esiste una relazione di genere a specie (Sez. Un., 27 settembre 2007, Magera, Rv. 238197; Sez. Un. 26 marzo 2003, Giordano, Rv. 224607).
2. Ciò premesso, è dato cogliere la portata delle ricadute, nel presente procedimento, pendente in sede di merito alla data di entrata in vigore della novella del 2012, derivanti dall’operatività del disposto di cui all’art. 2 c.p., comma 2. Nel caso che occupa, ovviamente, l’originario capo di imputazione non è stato calibrato, rispetto alla morfologia della sopravvenuta sottofattispecie di omicidio colposo dell’esercente la professione sanitaria: non di meno, stante la natura della contestazione elevata all’odierno imputato – chiamato a rispondere del delitto di omicidio ex art. 589 c.p., colposamente perpetrato dall’agente, in assunto, proprio nella sua qualità di medico chirurgo ospedaliero – la Corte di Appello, avanti alla quale si è celebrato il relativo giudizio, nell’anno 2015, aveva il dovere di esaminare d’ufficio la regiudicanda, per effetto dell’art. 2 c.p., comma 2, tenendo conto della intervenuta parziale abrogazione della norma incriminatrice, ad opera della richiamata L. n. 189 del 2012. La Corte distrettuale avrebbe, cioè, dovuto verificare, in punto di fatto, se la condotta poteva dirsi aderente ad accreditate linee guida; e se la stessa fosse connotata da colpa grave, nell’attuazione in concreto delle direttive scientifiche.
Di converso, come emerge dalla sentenza impugnata, le valutazioni effettuate in ordine alla colpa prescindono da ogni considerazione rispetto al tema delle linee guida e delle prassi terapeutiche, come sopra delineato; e neppure alcuna verifica è stata operata in riferimento al grado della colpa, ascrivibile al prevenuto. Non sfugge che, nella giurisprudenza di legittimità, si registrano decisioni ove si è osservato che è privo di adeguata specificità il motivo di ricorso che difetti della necessaria indicazione in termini puntuali delle linee guida alle quali la condotta dei medici si sarebbe conformata (Sez. 4, Sentenza n. 7951, in data 08/10/2013 Rv. 259333; Sez. 4, Sentenza n. 21243 del 18.12.2014, Rv. 263493).
Occorre, al riguardo, considerare, che la ratio decidendi delle richiamate sentenze si incentra sull’analisi dei criteri formali di redazione del ricorso per cassazione per vizio motivazionale e sui relativi oneri di allegazione, che gravano sulla parte deducente.
Ciò posto, deve ritenersi che le valutazioni che si sono sopra espresse, in ordine alla doverosa applicazione, da parte del giudice della cognizione, delle regole dettate nella parte generale del codice penale, sul tema del diritto intertemporale, a fronte di abrogatio criminis che riguardi la fattispecie di reato oggetto dell’addebito sottoposto al suo esame, dischiudono uno scenario interpretativo che impinge la declinazione pratica dei principi fondanti il giure penale, dettati dall’art. 2 c.p., comma 2, in ordine alla retroattività degli effetti della norma abrogatrice.
Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto, in base al quale, nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 189 del 2012, art. 3, relativi ad ipotesi di omicidio o lesioni colpose ascritte all’esercente la professione sanitaria, in un ambito regolato da linee guida, di talchè il processo verta sulla loro applicazione, stante l’intervenuta parziale abrogatio criminis delle richiamate fattispecie, in osservanza dell’art. 2 c.p., comma 2, occorre procedere d’ufficio all’accertamento del grado della colpa, giacchè le condotte qualificate da colpa lieve sono divenute penalmente irrilevanti.
Osserva, pertanto, il Collegio che, nel caso che occupa, l’omessa verifica dei margini di operatività della parziale decriminalizzazione, operata dalla L. n. 189 del 2012, rispetto alla fattispecie di omicidio colposo, contestata anteriormente alle modifiche del 2012 ed oggetto di procedimento pendente alla data di entrata in vigore della novella, sia questione che involge la doverosa osservanza, da parte del giudice del merito, delle disposizioni che regolano la successione nel tempo di norme incriminatrici, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2; e che la doglianza, articolata in sede di ricorso per cassazione, circa la carenza motivazionale derivante dall’omessa applicazione della sopravvenuta disposizione abrogratrice, nella valutazione del grado della colpa del sanitario, secondo il canone della retroattività della norma più favorevole, refluisce quale denuncia di violazione della legge penale, con riferimento al mancato accertamento dell’elemento soggettivo della fattispecie, come delineato dalla più favorevole normativa sostanziale sopravvenuta, di talchè il motivo di ricorso non può qualificarsi come inammissibile per carenza di allegazioni (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, dep. 26/11/2015, Rv. 265053).
3. L’ordine di considerazioni che precede impone pertanto di annullare la sentenza impugnata, vulnerata dall’omessa doverosa applicazione della sopravvenuta disciplina più favorevole, in tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, con rinvio al giudice di merito, per nuovo esame relativo alla sussistenza ed al grado degli eventuali profili di ascrivibilità colposa della condotta. Come sopra evidenziato, si tratta di un tema che ha acquisito autonoma rilevanza, proprio per effetto della disposizione di cui alla L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, entrata in vigore successivamente rispetto alla sentenza di primo grado, resa il 5.10.2012, di talchè la Corte territoriale, al fine di verificare l’applicabilità o meno della intervenuta parziale abrogazione del reato in addebito, avrebbe dovuto soffermarsi sul tema relativo al grado della colpa, nel dare corso alla valutazione della condotta posta in essere del sanitario, parametrata rispetto alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica di riferimento.
3.1 A questo punto della trattazione, si richiamano, con le precisazioni che seguono, le indicazioni di ordine metodologico offerte da questa Corte regolatrice, volte ad orientare la complessa – e, per certi effetti, inedita – valutazione che è rimessa ai giudice di merito, in riferimento al tema della graduazione della colpa, posto che il legislatore ha attribuito rilievo penale alle sole condotte lesive connotate da colpa non lieve.
Al riguardo si è precisato, muovendo dalla generale considerazione che la colpa costituisce la violazione di regole di comportamenti aventi funzione cautelare, che un primo parametro, nella graduazione della colpa, attiene al profilo riguardante la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, sulla base della norma cautelare che si doveva osservare.
Sul punto, si è sottolineato che possono venire in rilievo, nel determinare la misura del rimprovero, sia le specifiche condizioni del soggetto agente ed il suo grado di specializzazione, sia la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato ad operare. E preme sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice di merito deve procedere ad una valutazione complessiva di tali indicatori –
come pure di altri, quali l’accuratezza nell’effettuazione del gesto clinico, le eventuali ragioni di urgenza, l’oscurità del quadro patologico, la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, il grado di atipicità o novità della situazione data e così di seguito – al fine di esprimere la conclusiva valutazione sul grado della colpa, ponendo in bilanciamento fattori anche di segno contrario, che ben possono coesistere nell’ambito della fattispecie esaminata, non dissimilmente da quanto avviene in tema di concorso di circostanze.
Pur nella consapevolezza della natura discrezionale della valutazione di cui si tratta, la Corte regolatrice ha precisato che si può ragionevolmente parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento, quando cioè il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente; e che, all’opposto, quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e abbia determinato, anzi, la negativa evoluzione della patologia (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, dep. 09/04/2013, cit.).
3.2 Ci si sofferma ora sulla ulteriore questione relativa alla natura ed al contenuto delle linee guida, richiamate dalla novella del 2012.
I tratti qualificanti la riforma sono stati individuati da un lato nella distinzione tra colpa lieve e colpa grave, per la prima volta normativamente introdotta nell’ambito della disciplina penale dell’imputazione soggettiva; dall’altro, nella valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purchè corroborate dal sapere scientifico.
Il tema relativo ai criteri con in quali, in sede giudiziaria, si debba procedere alla verifica di conformità alla linee guida della condotta dell’esercente la professione sanitaria, ai fini dello scrutinio della responsabilità penale, introdotto dalla novella del 2012, impone di richiamare, in via di estrema sintesi, i pregressi orientamenti giurisprudenziali, sviluppatisi sulla materia di interesse, al fine di cogliere i tratti distintivi, e qualificanti, della recente riforma.
Come noto, la giurisprudenza risalente affermava che in tema di colpa professionale – e medica, in specie – almeno quando la prestazione professionale comportasse la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, era rilevante ai fini della responsabilità penale la sola colpa grave, in conformità a quanto previsto, in tema di responsabilità civile, dall’art. 2236 c.c..
A tale conclusione quella giurisprudenza perveniva anche in omaggio al principio dell’unitarietà dell’ordinamento giuridico, ritenendosi arduo ipotizzare che uno stesso comportamento potesse essere civilmente lecito e penalmente illecito; e, per quelle sentenze, costituiva colpa grave “quella derivante da inescusabilità dell’errore o da ignoranza di principi elementari attinenti all’esercizio dell’attività sanitaria” (Cass. 23 agosto 1994, Leone, Rv 199757; Cass. 25 maggio 1987, Tornei, Rv 176606). Il limite della colpa grave veniva solitamente riferito alla sola colpa per imperizia (quella cioè derivante dalla violazione delle leges artis), mentre rispetto alla negligenza e all’imprudenza si riteneva che la valutazione dell’attività del medico dovesse essere improntata a criteri di normale severità. La giurisprudenza, cioè, affermava che solo quando il medico deve risolvere problemi diagnostici e terapeutici in presenza di un quadro patologico complesso e passibile di diversificati esiti, nonchè della necessità di agire con urgenza, l’eventuale errore nel quale il sanitario sia incorso, e che abbia condotto a morte o lesione personale del paziente, può essere valutato sulla base del parametro individuato dall’art. 2236 c.c.; e che, viceversa, quando non si presenti una situazione emergenziale, ovvero quando il caso non implichi problemi di particolare difficoltà, così come quando venga in rilievo la negligenza o l’imprudenza, i canoni valutativi della condotta colposa devono essere quelli ordinariamente adottati nel campo della responsabilità penale per la causazione di danni alla vita o all’integrità fisica delle persone, con la particolarità che il medico deve sempre attenersi alla regola della massima diligenza e prudenza (Sez. 4^, sentenza n. 6650 del 27 gennaio 1984, Rv 165329; Sez. II, sentenza n. 11695, 23 agosto 1994, Rv 199757).
Sul punto, occorre rilevare che la Corte Costituzionale, chiamata a stabilire se la più antica e benevola giurisprudenza di legittimità in tema di colpa penale nell’esercizio della professione medica (ma anche di altre professioni) basata sul già citato art. 2236 c.c., fosse compatibile con il principio di uguaglianza, ha affermato in una risalente pronuncia che la richiamata deroga alla disciplina generale della responsabilità per colpa, nei casi previsti da quella disposizione di legge, aveva una adeguata ragione d’essere, dovendo essere applicata solo ai casi in cui la prestazione professionale comportava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà ed essendo contenuta entro il circoscritto tema della perizia (Corte Costituzionale, sentenza n. 166 del 1973).
3.3 Il suddetto orientamento è stato però messo in discussione dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la quale ha negato l’applicabilità del principio di cui all’articolo 2236 cod. civ. al diritto penale, affermando che in questa materia avrebbero dovuto trovare esclusivo accoglimento gli ordinari criteri di valutazione della colpa di cui all’art. 43 c.p., secondo il parametro consueto dell’homo eiusdem professionis et condicionis, arricchito delle eventuali maggiori conoscenze dell’agente concreto. (Sez. 4, sentenza n. 11733, del 2 giugno 1987, Rv. 177085; Sez. 4, sentenza n. 11007, del 28 aprile 1994, Rv. 200387). La giurisprudenza negli ultimi lustri ha quindi costantemente rilevato che nella valutazione in ambito penale della cosiddetta colpa medica non trova applicazione il principio civilistico della rilevanza soltanto della colpa grave, la quale assume eventuale rilievo solo ai fini della graduazione della pena (Sez. 4, sentenza n. 46412, 28 ottobre 2008, Rv. 242251).
3.4 Orbene, il richiamato orientamento interpretativo basato sulla nozione di culpa levis, contrapposta a quello di culpa lata, è oggi destinato ad una nuova considerazione, alla luce della disposizione contenuta nel già citata L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, comma 1. Come detto, la norma esclude la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve, che si collochino all’interno dell’area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purchè esse siano accreditate dalla comunità scientifica. Il legislatore ha reintrodotto nel diritto penale – con esclusivo riferimento agli esercenti la professione sanitaria – il concetto di colpa lieve che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, non avrebbe potuto trovare applicazione nelle ipotesi di colpa professionale, neppure limitatamente ai casi in cui “la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”, previsti dall’art. 2236 c.c.. La modifica normativa riporta, quindi, all’attualità i concetti di colpa lieve e di colpa grave, che vengono ad intrecciarsi con l’ulteriore questione posta dalla novella del 2012, concernente l’impiego, in sede giudiziaria, delle “linee guida” e delle “buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”.
Analizzando il tema relativo alla natura ed al contenuto delle linee guida, occorre considerare che, secondo gli approdi della comunità scientifica internazionale, esse costituiscono “raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”. La dottrina epistemologica italiana ha poi osservato che le linee guida si sostanziano in raccomandazioni di comportamento clinico, con diverso grado di cogenza, presuppongono l’esistenza e la plausibilità di molteplici comportamenti degli esercenti le professioni sanitarie, a fronte della medesima situazione data e sono volte a ridurre la variabilità e la soggettivizzazione dei comportamenti clinici.
Questa Suprema Corte ha evidenziato che il legislatore ha colto l’importanza del sapere scientifico e tecnologico consolidatosi in forma agevolmente disponibile in ambito applicativo ed ha, al contempo, richiesto il sicuro, condiviso accreditamento delle direttive codificate; con la precisazione che le direttive di cui si discute non sono in grado di offrire standard legali precostituiti; e che esse non divengono, cioè, regole cautelari, secondo il classico modello della colpa specifica (Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, cit.). Sul punto, si è evidenziato che si tratta di un prodotto multiforme, originato da una pluralità di fonti, con diverso grado di affidabilità; e che tali direttive vengono in rilievo, nel momento in cui si procede alla valutazione ex ante della condotta dell’esercente la professione sanitaria, tipica del giudizio sulla colpa, valutazione che deve essere rapportata alla difficoltà delle valutazioni richieste al professionista. La giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che il terapeuta complessivamente avveduto ed informato, attento alle linee guida, non sarà rimproverabile quando l’errore sia lieve, ma solo quando esso si appalesi rimarchevole; che, alla stregua della nuova legge, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie; e che la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente (Sez. 4, Sentenza n. 47289 del 09/10/2014, dep. 17/11/2014, Rv. 260739).
3.5 A questo punto della trattazione, procedendo nell’analisi volta all’esatta individuazione degli effetti parzialmente abrogativi delle fattispecie di omicidio e lesioni colpose, resta da verificare se l’esonero di responsabilità, per colpa lieve ex lege n. 189/2012, possa essere limitato alla sola colpa per imperizia.
Giova sgombrare il campo da un possibile fattore di mera suggestione:
nessuna conducenza, ai fini di interesse, può oggi essere riconosciuta alle indicazioni interpretative espresse dalla Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza n. 166 del 1973. Al riguardo, basta rilevare che la Corte costituzionale fu chiamata a verificare se fosse compatibile con il principio di uguaglianza l’operatività, per i soli professionisti con titolo accademico, dei principi dettati dall’art. 2236 c.c., per il caso di prestazione professionale comportante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e riguardanti, pacificamente, l’esclusivo ambito della perizia; e la Corte Costituzionale ebbe a considerare che l’applicazione, in sede penale, della richiamata disposizione civilistica, comportava una deroga alla disciplina generale della responsabilità per colpa che trovava un’adeguata ragion d’essere e che comunque era contenuta entro il circoscritto tema della perizia;
di talchè ritenne che non vi fosse alcuna lesione del principio d’eguaglianza.
3.6 Tanto chiarito, osserva il Collegio che la soluzione del quesito che occupa non può che discendere dall’analisi dell’inedito dato normativo, di cui alla L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, comma 1; e dalle sue interazioni con le regole generali in tema di colpa, contenute nell’art. 43 c.p..
Sul punto, deve registrarsi che diverse decisioni della Corte regolatrice hanno affermato che la nuova disciplina trova il suo terreno di elezione nell’ambito dell’imperizia; e che la limitazione di responsabilità in caso di colpa lieve opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida contenenti regole di perizia e non si estende agli errori connotati da negligenza o imprudenza (Sez. 4, Sentenza n. 11493 del 24/01/2013, Rv. 254756;
Sez. 4, Sentenza n. 16944 del 20/03/2015, Rv. 263389; Sez. 4, Sentenza n. 26996 del 27/04/2015, Rv. 263826;). Si tratta di arresti che muovono dal rilievo che le linee guida contengono solo regole di perizia. In altre sentenze, si è peraltro rilevato che la limitazione della responsabilità in caso di colpa lieve prevista dal D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, convertito in L. 8 novembre 2012, n. 189, pur trovando terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza (Sez. 4, Sentenza n. 45527 in data 01/07/2015, dep. 16/11/2015, Rv. 264897; Sez. 4, Sentenza n. 47289 del 9.10.2014, dep. il 17.11.2014, Rv. 260739). In tali decisioni, viene evidenziata la possibile rilevanza esimente della colpa lieve, per l’esercente la professione sanitaria, anche rispetto ad addebiti diversi dall’imperizia; ciò in quanto non può escludersi che le linee guida pongano raccomandazioni rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta del soggetto agente sia quello della diligenza, come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino più la sfera della accuratezza, che quella della adeguatezza professionale.
Per la soluzione dell’apparente contrasto – posto che le diverse decisioni riportano la comune opinione, in base alla quale la colpa per imperizia costituisce il terreno di elezione per l’operatività della novella in tema di responsabilità sanitaria – appare utile richiamare le considerazioni, sopra svolte, circa il reale contenuto delle raccomandazioni raccolte nelle linee guida, non prima di essersi soffermati su specifici dati testuali della novella. Giova, infatti, ricordare che la L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, comma 1, è rubricato “Responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie”; che il citato art. 3, comma 1, ha ad oggetto l’attività dell’Esercente la professione sanitaria”; che, nel commentare la disposizione in esame, la dottrina non ha mancato di sottolineare che l’intervento legislativo riguarda i “professionisti” del settore sanitario; e che le linee guida non contengono raccomandazioni solo in riferimento all’attività del personale medico, ma anche rispetto all’ambito di intervento dei diversi professionisti che, con specifiche e diversificate competenze, operano nel settore della sanità. Si tratta di un assunto che trova pratico conforto proprio nelle numerose linee guida ad oggi disponibili, distinte secondo la tipologia dei diversi operatori sanitari – personale medico o infermieristico – chiamati ad interagire, nella prestazione delle cure: si pensi, a tiolo di esempio, alle Linee guida sulla Gravidanza fisiologica che, nel delineare il relativo modello assistenziale, affidano la presa in carico della partoriente alla ostetrica e prevedono, solo per il caso di complicazioni, il coinvolgimento di medici specializzati. E bene, nei casi ora richiamati, nei quali l’ambito di intervento comporta l’interazione con professioni sanitarie non mediche, alle regole di perizia, contenute nelle linee guida, si affiancano raccomandazioni che attengono ai parametri della diligenza, ovvero all’accuratezza operativa, nella prestazione delle cure.
3.6.1 A questo punto della disamina, deve considerarsi che la scienza penalistica non offre indicazioni di ordine tassativo, nel distinguere le diverse ipotesi di colpa generica, contenute nell’art. 43 c.p., comma 3. Al riguardo, voci di dottrina hanno osservato che gli obblighi di diligenza, prudenza e perizia richiamano indefinite regole di comune esperienza; e che neppure il tentativo di ancorare i giudizi di negligenza, imprudenza e imperizia alla astratta figura di un agente modello soddisfa la sottesa esigenza di tassatività. Tanto che, nella distinzione delle qualifiche di negligenza, imprudenza e imperizia, è stato pure osservato che la distinzione interna, tra negligenza e imprudenza, deve ritenersi di secondaria importanza. Con specifico riguardo alla qualificazione della perizia, si richiama poi l’insegnamento di accreditata dottrina, se pure risalente, ove, si considera che le condotte omissive possono integrare sia negligenza che imperizia.
L’indefinitezza delle regole di diligenza è poi comprovata dalla variegata tipologia di obblighi, nel solo settore della responsabilità sanitaria, che alle stesse sono stati ritenuti riconducibili, nell’esperienza giudiziaria. Si pensi agli obblighi informativi posti a carico del capo dell’equipe chirurgica (Sez. 4, Sentenza n. 3456 del 24/11/1992, Rv. 198445) ed a quelli relativi alla omessa richiesta di intervento di specialisti, in ausilio, da parte del terapeuta (Sez. 4, Sentenza n. 11086 del 15/06/1984, Rv.
167080), tutti riferibili a regole di diligenza. Si ritiene, pertanto, che allo stato della elaborazione scientifica e giurisprudenziale, neppure la distinzione tra colpa per imprudenza (tradizionalmente qualificata da una condotta attiva, inosservante di cautele ritenute doverose) e colpa per imperizia (riguardante il comportamento, attivo od omissivo, che si ponga in contrasto con le leges artis) offra uno strumento euristico conferente, al fine di delimitare l’ambito di operatività della novella sulla responsabilità sanitaria; ciò in quanto si registra una intrinseca opinabilità, nella distinzione tra i diversi profili della colpa generica, in difetto di condivisi parametri che consentano di delineare, in termini tassativi, ontologiche diversità, nelle regole di cautela.
4. Le considerazioni sin qui svolte conducono al seguente approdo: la valutazione che il giudice di merito deve effettuare, rispetto all’ambito di operatività della scriminante introdotta nell’ordinamento dalla novella del 2012, in base alla quale è esclusa la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve che si collochino all’interno dell’area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche accreditate dalla comunità scientifica, non può che poggiare sul canone del grado della colpa, costituente la chiave di volta dell’impianto normativo delineato dalla L. n. 189 del 2012, art. 3. Altrimenti detto, il giudice di merito, a fronte di linee guida che comunque operino come direttiva scientifica per gli esercenti le professioni sanitarie, in riferimento al caso concreto, e ciò sia rispetto a profili di perizia che, più in generale, di diligenza professionale, deve procedere alla valutazione della graduazione della colpa, secondo il parametro della misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, sulla base della norma cautelare che si doveva osservare. E, nel determinare la misura del rimprovero, oltre a tutte le evenienze già sopra ricordate, deve considerare il contenuto della specifica raccomandazione clinica che viene in rilievo, di talchè il grado della colpa sarà verosimilmente elevato, nel caso di inosservanza di elementari doveri di accuratezza. Il delineato paradigma valutativo della responsabilità sanitaria appare coerente rispetto alla cornice legale di riferimento, posto che la L. n. 189 del 2012, art. 3, non contiene alcun richiamo al canone della perizia, nè alla particolare difficoltà del caso clinico; e rispondente alle istanze di tassatività, che permeano lo statuto della colpa generica, posto che il giudice, nella graduazione della colpa, deve tenere conto del reale contenuto tecnico della condotta attesa, come delineato dalla raccomandazione professionale di riferimento. In conclusione, sulla base della norma contenuta nella L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, comma 1, in combinato disposto con l’art. 43 c.p., comma 3, deve affermarsi il seguente principio di diritto: la limitazione di responsabilità, in caso di colpa lieve, può operare, per le condotte professionali conformi alle linee guida ed alle buone pratiche, anche in caso di errori che siano connotati da profili di colpa generica diversi dalla imperizia. 5. Per quanto detto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Genova per nuovo esame. Il giudice del rinvio dovrà stabilire se il fatto si collochi nella sottofattispecie abrogata o in quella ancora vigente. L’indagine si muoverà con le cadenze imposte dalla riforma. Posto che l’innovazione esclude la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve, che si collochino all’interno dell’area segnata da linee guida o da pratiche mediche scientificamente accreditate, si dovrà valutare se, nelle ore in cui l’imputato ebbe a gestire il paziente, successivamente al ricovero, siano state omesse le possibili, e dovute, attività diagnostiche, secondo le raccomandazioni contenute nelle Linee guida di riferimento; e, in tale eventualità, dovrà essere chiarito se, nella omissione, vi sia stata colpa lieve o grave. Resta assorbito ogni ulteriore motivo di censura.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Genova per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2016

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