Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 8 luglio 2015, n. 29085
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCO Amedeo – Presidente
Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 63/2014 TRIB. LIBERTA’ di CHIETI, del 14/10/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Gaeta Pietro, rigetto del ricorso.
udito il difensore avv. (OMISSIS), in sost. avv. (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Chieti, con ordinanza del 14/10/2014 ha rigettato l’istanza di riesame avanzata da (OMISSIS), legale rappresentante della ” (OMISSIS) s.r.l.”, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lanciano il 5/8/2014 e concernente un’area interessata dalla realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra di potenza pari a 993.60 Kw, situata in area dichiarata di notevole interesse pubblico e posta a meno di 150 metri dal fiume (OMISSIS), ipotizzandosi i reati di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera a) e c).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia sulla base di motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione secondo quando disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge per la mera apparenza della motivazione in punto di periculum in mora, rilevando che i giudici del riesame si sarebbero limitati ad affermazioni assertive, senza considerare quanto evidenziato circa la mancanza di una concreta incidenza dell’esercizio dell’impianto gia’ realizzato sui beni giuridici tutelati dalle norme che si assumono violate.
L’impianto fotovoltaico, precisa, una volta installato resta inalterato nella sua consistenza fisica, non determina alcuna antropizzazione dell’area ove insiste, non determina un aggravamento del carico urbanistico, ne’ presenta l’impatto ambientale degli insediamenti industriali. Inoltre, sotto il profilo paesaggistico, il suo funzionamento sarebbe irrilevante, diversamente da quanto avviene, ad esempio, con gli impianti eolici, quando la messa in esercizio comporta il movimento delle pale.
Aggiunge, inoltre, che l’elusione della normativa regionale, cui si riferisce il Tribunale, non troverebbe alcun riscontro, avendo l’amministrazione comunale competente comunicato alla Regione i titoli abilitativi rilasciati, rispetto ai quali detto ente non ha sollevato obiezioni.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge sempre in relazione al periculum in mora, osservando che, trattandosi di intervento ormai ultimato, non vi sarebbe la necessita’ di impedire ulteriori conseguenze, poiche’ l’impianto fotovoltaico, per sua natura, non comporta alcun aggravio del carico urbanistico, modificazioni ulteriori della realta’ esteriore e impatti ambientali diretti; inoltre, sotto il profilo paesaggistico, non determinerebbe alcuna lesione ulteriore rispetto alla mera presenza dei pannelli fotovoltaici, con la conseguenza che difetterebbero i necessari requisiti di concretezza ed attualita’ della misura reale applicata.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge in relazione alla disciplina applicabile all’impianto sequestrato, che richiama nel dettaglio, facendo rilevare come i titoli abilitativi conseguiti sarebbero conformi alla normativa vigente per gli impianti del tipo di quello installato.
5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione di legge con riferimento alla ritenuta necessita’ dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione dell’impianto, osservando che la stessa sarebbe stata conseguita avendo l’amministrazione comunale, delegata dalla Regione, emesso il relativo provvedimento previo parere della Sovrintendenza.
6. Con un quinto motivo di ricorso rileva la violazione di legge anche in relazione alla regolarita’ urbanistica delle opere realizzate, osservando che gli impianti fotovoltaici sarebbero compatibili con qualunque destinazione urbanistica e che sarebbe inconferente quanto rilevato dal consulente tecnico del Pubblico Ministero circa l’incompatibilita’ derivante dall’esistenza di un finanziamento in favore della Comunita’ Montana da parte della Regione per la realizzazione di un’area sportiva attrezzata, atteso che una tale evenienza non comporterebbe alcun vincolo di destinazione o di inedificabilita’ dell’area.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere unitariamente esaminati, perche’ pongono entrambi la questione concernente l’effettiva incidenza, sotto il profilo urbanistico, paesaggistico ed ambientale, di un impianto fotovoltaico, con l’ulteriore rilievo che la messa in funzione dello stesso non determinerebbe comunque conseguenze ulteriori rispetto alla mera installazione.
Detta questione e’ stata piu’ volte oggetto di esame da parte della giurisprudenza di questa Corte, che ha posto in evidenza alcuni aspetti significativi, meritevoli di essere richiamati.
2. In particolare, si e’ osservato (Sez. 3, n. 20403 del 26/02/2013, P.M. in proc. Buglisi, Rv. 255428) che la natura del bene tutelato e le peculiarita’ della procedura autorizzatoria rendono evidente come la compromissione del paesaggio e dell’ambiente non si esaurisca con la sola realizzazione dell’impianto e si chiariscono le ragioni per le quali nel Decreto Legislativo n. 387 del 2003, articolo 12, comma 4, si afferma che l’autorizzazione costituisce “titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformita’ al progetto”, giustificando l’interpretazione secondo cui l’assenza dell’autorizzazione assume rilievo anche in corso di esercizio, dovendosi quindi escludere che l’ultimazione delle opere di edificazione faccia venire meno le esigenze cautelari.
Nella richiamata decisione viene, peraltro, dato atto di un orientamento asseritamente difforme, prospettato in altra pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 24986 del 13/04/2012, Di Giglio ed altri, non massimata), nella quale si sarebbe affermato il principio secondo il quale l’offesa al bene protetto si realizza con la costruzione degli impianti senza titolo abilitativo escludendo ogni altra conseguenza derivante dalla successiva messa in esercizio degli impianti, anche in considerazione del fatto che il carico urbanistico sul territorio non puo’ dirsi sensibilmente aggravato a seguito della limitata presenza umana.
Il riferimento al fatto che la sentenza richiamata prospetti una divergente posizione non appare, tuttavia, corretto, perche’ quanto riportato altro non e’ se non una citazione di un brano del provvedimento impugnato, trascritto, infatti, tra virgolette, per poi rilevare che l’accoglimento del riesame da parte del Tribunale era fondato su tale apprezzamento di merito relativo all’insussistenza delle esigenze cautelari, la cui contestazione da parte del Procuratore della Repubblica con il ricorso per cassazione non si configurava come violazione di legge.
3. Esclusa, dunque, la sussistenza di un effettivo contrasto, va ulteriormente rilevato che la sentenza 20403/2013 procede nella disamina dei precedenti richiamando altre due significative decisioni che pure hanno affrontato la questione in esame.
La prima pronuncia richiamata (Sez. 3, n. 44494 del 17/10/2012, P.M. in proc. Girasole 2 srl, Rv. 253602) rileva, infatti, la illogicita’ della motivazione di un provvedimento nel quale il Tribunale aveva ritenuto cessato il periculum in mora sulla base della messa in esercizio di un impianto ormai ultimato omettendo ogni verifica relativa all’incidenza sull’equilibrio urbanistico, l’assetto territoriale e l’impatto ambientale.
Tali osservazioni venivano formulate previo richiamo all’altra decisione menzionata dalla sentenza 20403/2013 (Sez. 3, n. 38733 del 20/3/2012, Ferrero’ e altro, Rv. 253285), nella quale viene posto in evidenza come la realizzazione e la messa in esercizio di un impianto (nella fattispecie, ubicato in zona agricola) presupponga la verifica del rispetto degli aspetti urbanistici e le ulteriori necessarie verifiche di compatibilita’ con l’ambiente, con le colture e la tradizione agroalimentare locali e con il paesaggio rurale.
4. All’esito di tale disamina, la citata sentenza 20403/2013 evidenzia il passaggio da quella che viene efficacemente definita “concezione statica della realizzazione degli impianti” ad una “concezione dinamica del loro impatto sul territorio”, la quale ripropone la differenza esistente, in termini di esigenze cautelari, tra il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b) e c), e il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, giungendo conseguentemente alla conclusione che l’esercizio di un impianto fotovoltaico non puo’ essere considerato esclusivamente sotto il profilo della mera presenza fisica e non e’ paragonabile ad un manufatto, cio’ non soltanto perche’ le esigenze di controllo e manutenzione richiedono accessi e presenza di persone, ma anche per il fatto che la permanente compressione dei beni protetti (carico urbanistico, paesaggio ed equilibrio ambientale) e’ una conseguenza diretta dell’estensione degli impianti, della produzione e conduzione di energia elettrica, nonche’ degli effetti sull’ambiente propri di un’ampia estensione di materiali tecnologici.
5. A conclusioni non dissimili e’ pervenuta anche altra pronuncia (Sez. 3, n. 32941 del 21/2/2013, P.M. in proc. Cavallo e altri, Rv. 257258), nella quale si e’ affermato che, anche dopo la sua realizzazione, la messa in funzione di un impianto in assenza di autorizzazione continua ad arrecare pregiudizio al bene giuridico protetto, individuato nell’interesse alla permanente vigilanza da parte dell’autorita’ competente anche sull’esercizio dell’impianto stesso e, pertanto, aggrava o comunque protrae le conseguenze negative del reato ipotizzato (v. anche Sez. 4, n. 2210 del 30/09/2014 (dep. 2015), Caforio ed altri, non massimata).
Tale ultima affermazione viene testualmente richiamata nel provvedimento impugnato, evidenziando, pertanto, come il Tribunale abbia considerato, ai fini della sussistenza del periculum, anche l’aspetto relativo all’incidenza della messa in esercizio dell’impianto sui beni tutelati dalle norme che si assumono violate.
6. Il Decreto Legislativo n. 387 del 2003, articolo 12, comma 3 e il Decreto Legislativo n. 28 del 2011, articolo 5, comma 1 specificano che l’autorizzazione unica regionale e’ necessaria non soltanto per la costruzione degli impianti fotovoltaici e delle opere ed infra strutture connesse, ma anche per l’esercizio degli impianti medesimi, con l’evidente finalita’ di assicurare il controllo amministrativo da parte dell’ente regionale competente non solo nella fase della costruzione, ma anche e soprattutto in quella di esercizio, con la conseguenza che l’utilizzazione di un impianto realizzato in assenza del titolo abilitativo continua a ledere il bene giuridico protetto anche dopo l’ultimazione dei lavori.
Nondimeno, prevedendosi, nell’ambito del procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del titolo, che l’autorizzazione debba essere rilasciata nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e individuandosi un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, e’ evidente che l’autorizzazione presuppone la preventiva considerazione di tutti gli aspetti concernenti l’assetto urbanistico, la tutela del paesaggio, dell’ambiente e del patrimonio – storico artistico.
7. Dunque le soluzioni interpretative prospettate dalla giurisprudenza richiamata e, segnatamente, dalla piu’ volte menzionata sentenza 20403/2013, sono pienamente condivise dal Collegio e tengono conto della particolarita’ degli impianti fotovoltaici e delle finalita’ del procedimento autorizzatorio per la loro realizzazione e messa in funzione.
Va inoltre osservato come, diversamente da quanto prospettato in ricorso, la conduzione di un impianto fotovoltaico comporti la presenza di personale per attivita’ di manutenzione e controllo di cui si e’ gia’ detto in precedenza, finalizzata alla piena efficienza dei pannelli solari, alla verifica e sostituzione di parti meccaniche ed elettriche, alla pulizia, nonche’ alla sostituzione e successivo smaltimento come rifiuto dei pannelli, i quali, proprio per la funzione che assolvono, sono necessariamente esposti agli agenti esterni.
Si tratta, dunque, di una situazione che puo’ produrre una obiettiva incidenza sul carico urbanistico.
8. Altrettanto deve dirsi per cio’ che concerne gli aspetti concernenti la tutela del paesaggio.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che, ai fini della legittimita’ del provvedimento di sequestro preventivo, rileva la sola esistenza di una struttura abusiva che integra il requisito dell’attualita’ del pericolo, indipendentemente all’essere l’edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all’equilibrio ambientale, a prescindere dall’effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione all’utilizzazione della costruzione ultimata (Sez. 3, n. 42363 del 18/9/2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/3/2013, Chiantone, Rv. 255560; Sez. 3, n. 30932 del 19/5/2009, Tortora, Rv. 245207; Sez. 2, n. 23681 del 14/5/2008, Cristallo, Rv. 240621; Sez. 3, n. 43880 del 30/9/2004, Macino, Rv. 230184; Sez. 3, n. 32247 del 12/6/2003, Berardi, Rv. 226158).
Con riferimento al profilo paesaggistico, infatti, va rilevato che la mera installazione dell’impianto fotovoltaico puo’ incidere negativamente sulla fruibilita’ paesaggistica dei luoghi, quanto meno per l’impatto visivo derivante dalle caratteristiche costruttive e dimensionali dell’impianto medesimo.
9. Va conseguentemente ribadito che l’utilizzazione di impianti fotovoltaici costruiti in assenza della prescritta autorizzazione continua a produrre, anche dopo la loro ultimazione, una lesione del bene giuridico protetto che la legge individua nell’interesse dell’autorita’ competente alla permanente vigilanza non solo sulla realizzazione ma anche sull’esercizio degli impianti.
10. Avuto riguardo a quanto in precedenza osservato, deve rilevarsi l’infondatezza del terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, che possono anch’essi essere esaminati in un unico contesto, in quanto le argomentazioni in essi sviluppate si fondano sul presupposto della regolarita’ della procedura autorizzatoria che il Tribunale del riesame ha, invece, escluso.
Va preliminarmente rilevato, a tale proposito, che al fine di avvalorare le proprie censure, il ricorrente richiama dati fattuali e documenti, quali la ubicazione e la dimensione dei terreni ove insistono gli impianti ed i titoli autorizzativi, che non possono essere presi in considerazione in questa sede di legittimita’.
Analogamente, non puo’ essere verificata in questa sede la regolarita’ o meno della procedura di autorizzazione.
Si ritiene opportuno ricordare, a tale proposito, come questa Corte abbia gia’ avuto modo di osservare, con riferimento ai titoli abilitativi edilizi, che l’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il loro rilascio e’ sostanzialmente riservata al giudice di merito, poiche’ presuppone necessariamente la verifica di atti della pubblica amministrazione, mentre il controllo in sede di legittimita’ concerne la correttezza giuridica dell’accertamento di merito sul punto. Deve peraltro tenersi conto della natura sommaria del giudizio cautelare, la quale impedisce una esaustiva verifica della regolarita’ dei procedimenti amministrativi, in quanto l’accertamento dell’esistenza del fumus dei reati e’ fondato sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico, ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa (cosi’ Sez. 3, n. 20571 del 28/4/2010, Alberti, Rv. 247189).
11. Cio’ posto, deve rilevarsi che i giudici del riesame hanno escluso la validita’ della procedura autorizzatoria seguita nel caso in esame e, segnatamente, hanno posto in evidenza la necessita’ dell’autorizzazione unica regionale, escludendo la possibilita’ del ricorso alla procedura semplificata sul presupposto che, nella fattispecie, vi sarebbe stata una separazione solo formale tra l’impianto in sequestro ed altro ubicato nelle vicinanze ed oggetto di diverso provvedimento cautelare.
Assume in sostanza il Tribunale che tale formale separazione sia avvenuta al fine di mantenere ciascun impianto sotto la soglia di 1 Mw di potenza, beneficiando cosi’ del procedimento autorizzatorio semplificato ed ha ritenuto dimostrata l’artificiosa elusione della normativa di settore valorizzando alcune circostanze fattuali e, segnatamente, la presenza di un unico accesso carrabile alle due recinzioni degli impianti, tra loro separati da “una sorta di area cuscinetto”; l’unitarieta’ dell’iniziativa imprenditoriale, facente capo ad un unico concessionario ed un unico imprenditore ed il fatto che l’intero procedimento amministrativo ha riguardato sempre contestualmente i due impianti.
Nel far cio’, il Tribunale ha anche confutato la valutazione alternativa della vicenda offerta dalla difesa, correttamente delimitando l’ambito delle proprie attribuzioni e rinviando ogni approfondimento ulteriore al successivo giudizio di merito, ritenendo del tutto sufficiente, ai fini del controllo di compatibilita’ tra la fattispecie concreta e quella legale, quanto offerto dagli atti.
12. Si tratta, ad avviso del Collegio, di considerazioni del tutto corrette che dimostrano un adeguato espletamento, da parte del Tribunale, del proprio ruolo di garanzia, non limitato alla cognizione dell’astratta configurabilita’ del reato, ma esteso anche alla considerazione e valutazione di tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale.
I dati fattuali posti in rilievo nel provvedimento impugnato risultano, dunque, determinanti e sottraggono ogni rilievo alle diverse argomentazioni sviluppate in ricorso.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
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