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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 29 luglio 2015, n. 33550

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 10/03/2014 il Tribunale di Messina ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danno, C.P., avendolo ritenuto responsabile del reato di diffamazione, per avere inviato al Comune di Taormina un esposto (prot. n. 10527 del 2008), nel quale, per criticare le modalità di svolgimento delle funzioni di comandante della Polizia Municipale di A.P., aveva definito quest’ultimo come “un autentico educatore e castigatore di inermi cittadini”.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, con il quale si lamentano vizi motivazionali nonché inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 51 e 595 cod. pen., rilevando: a) che il P. aveva riconosciuto come propri due documenti, quello recante la data dei 27/08/2008, protocollato al n. 10527 del Comune di Taormina, e quello protocollato al n. 10655 del 01/05/2008, estraneo, tuttavia, alla contestazione e incomprensibilmente richiamato nella sentenza impugnata per confermare la decisione di primo grado; b) che l’unica espressione rilevante contenuta nel documento del 27/08/2008 era “un autentico educatore e castigatore di enermi (sic) cittadini”, che non contiene alcuna carica lesiva dell’altrui onore e decoro, ma era diretta esclusivamente a censurare i comportamenti tenuti dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e si caratterizzava per un linguaggio proporzionato al fine perseguito.

Considerato in diritto

1. II ricorso è fondato.
Al riguardo, va ribadito che il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, Surano, Rv. 261122). In questa prospettiva, si è, ad es., ritenuto che sussiste l’esimente dei diritto di critica qualora – con una missiva indirizzata al Sindaco e alla Giunta locali – si accusino alcuni vigili urbani di ‘scarsa professionalità’ e di ‘superficialità mista a incoscienza e presuntuosità’ in relazione al rilevamento degli incidenti stradali, considerato che tali espressioni costituiscono giudizi di valore e che essi rispettano i canoni della pertinenza e della continenza (Sez. 5, n. 36077 del 09/07/2007, Mazzucco, Rv. 237726).
Ora, evidente essendo che le contestazioni attribuite al P. scaturiscono da asserite illegittimità nell’esercizio, da parte del P., della pubblica funzione da parte dei comandante della Polizia Municipale, le espressioni indicate nel capo di imputazione, che circoscrivono il perimetro della contestazione mossa all’imputato, non si difettano né di pertinenza all’opinione che il ricorrente intendeva manifestare né di continenza.
Ad identiche conclusioni deve giungersi anche in relazione alle ulteriori frasi, per vero estranee al capo di imputazione, ma valorizzate dalla Corte territoriale per contestualizzare quelle contestate, che, nel censurare l’uso inaudito della ganasce, le angherie dichiaratamente sofferte o gli interventi sanzionatori mirati, comunque non eccedono dall’ambito dell’oggetto della critica – in ciò palesandosi la loro pertinenza -, né trasmodano in un attacco arbitrario alla personalità dei destinatario, del quale, sia pure in forma colorita, ma proporzionata, censurano l’operato.
2. In conclusione, ricorrendo la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

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