SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 29 novembre 2012, n.21237
Ritenuto in faato
La Carm S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, la Chantiers Beneteau S. A., la Beneteau Italia s.r.l. e M..M. esponendo: a. che fin dagli anni 70 aveva mandato di distribuzione di imbarcazioni Beneteau; b. che i rapporti erano stati da ultimo regolati con due scritture concernenti la distribuzione di prodotti vela (contratto datato 4/10/2003) e motore (contratto datato 27/9/2003) del Chantiers Beneteau S.A.; c. che dal 1996 entrava a far parte della Carm Gi..Ca. ; d. che, per comportamenti pregiudizievoli per la Carm da parte del Ca. , essa gli aveva revocato le deleghe e il 24.1.2004 il Ca. aveva dato le dimissioni; e. che in data 7/2/2004 il Ca. costituiva la S.r.l. Oceanis Yachts e, in data 12.2.2004, comunicava di essere il nuovo concessionario Beneteau; f. che diversi dipendenti Carm passavano alla Oceanis Yachts tra il 12 e il 13 febbraio 2004; g. che con lettera raccomandata 16.2.2004 il Mariotti di Beneteau Italia risolveva unilateralmente ed illegittimamente il rapporto di distribuzione Beneteau “motore”, contestando, con lettere RR 18 e 19 febbraio gravi inadempimenti di Carm; h. che con RR 19.9.2004 Beneteau Italia srl, in persone di M..M. , comunicava disdetta dal rapporto di distribuzione dei prodotti vela e che anche tele disdetta era illegittima; i. che essa attrice aveva investito tre milioni di Euro per la promozione del marchio Beneteau; l. che il M. aveva favorito ed avallato l’attività del Ca. e della Oceanis Yachts. La Carm chiedeva, pertanto, che fossero dichiarate l’invalidità, inefficacia e illegittimità degli atti con cui erano stati risolto il contratto 27/9/03, avente ad oggetto la distribuzione delle imbarcazioni a motore, e disdettato il contratto 4/10/03, avente ad oggetto la distribuzione delle imbarcazioni a vela, dichiarandosi tenute le società convenute Chantiers Beneteau S.A. e Beneteau Italia s.r.l., per quanto di spettanza, all’integrale rispetto dei contratti, con condanna di tutti i convenuti al risarcimento dei danni. Le parti convenute si costituivano e, nel merito contestavamo la domanda chiedendone il rigetto. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda della Carm, dichiarando l’illegittimità della disdetta dal contratto di distribuzione di imbarcazioni a vela e ritenendo legittima, invece, la risoluzione di quello relativo alla distribuzione di imbarcazioni a motore.
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il 7 giugno 2010, la Corte d’Appello di Torino.
2.1. respingeva l’appello principale della Carm e riteneva legittima la risoluzione del contratto “motori”. Osservava che nessun rilievo aveva la circostanza che la lettera di risoluzione del contratto fosse a firma del M. , il quale aveva (al momento) il potere di rappresentare la Beneteau Italia e, comunque, quest’ultima ne aveva ratificato l’operato. Il richiamo alle clausole 1, e 2 del contratto da parte del Tribunale non era inconferente, in quanto tali clausole definiscono 1 oggetto del contratto: la Carm richiede di poter distribuire in esclusiva le imbarcazioni e delimita il proprio bacino di utenza. La clausola 7 prevede poi, a carico di Carm, l’obbliga di non svolgere attività di vendita né di promozione per marchi di prodotti a motore apertamente in concorrenza con quelli Beneteau. La clausola certamente prevede un obbligo a carico di Carm (cui corrisponde, peraltro, l’obbligo a carico di Beneteau di non nominare e rivolgersi ad altro distributore a clausola 8). Che la clausola non fosse richiamata nella lettera con la quale veniva risolto il contratto, non appariva circostanza fondamentale, posto che dal testo della medesima si evinceva chiaramente che la Beneteau accusava la propria distributrice di aver intrattenuto rapporti con la concorrenza (si faceva riferimento nella lettera alla “inaccettabile prosecuzione dei rapporti con un cantiere ns. diretto concorrente”).
Quanto poi al problema della mancata precedente diffida, in atti vi era la lettera del 13/11/2003, richiamata dalla lettera di risoluzione, sottoscritta per ricevuta da Gi..Ca. , il quale, ora in causa con la Carm era pur sempre all’epoca amministratore delegato della Carm (le revoche delle deleghe da parte del consiglio di amministrazione risalivano al 2111/2004 e dalla medesima era stato escluso come socio nel febbraio 2005).
Pertanto, la lettera del 13/11/2003 poteva ritenersi nota alla Carm e quindi valere come precedente diffida ad adempiere, posto che essa era stata dalla medesima ricevuta e non vi era in atti la prova di un preordinato disegno fraudolento al danni, di Carm, da parte di M. e Ca. . In detta lettera del 13/11/203 (per la quale non vi era risposta in atti, non avendo sul punto nulla evidenziato l’appellante), si leggeva che “per la nostra azienda i prodotti ACM costituiscono un’alternativa in palese concorrenza con la nostra produzione”.
In essa veniva quindi individuato uno specifico comportamento, che costituiva per la Beneteau atto di concorrenza sleale e quindi violava la clausola n. 7 del contratto.
Parimenti, la violazione di tale clausola configurava certamente un grave inadempimento ai sensi, dell’att. 1453 c.c. (tale dovendosi, intendere il riferimento all’art. 1253 c.c.), nonché 1218 c.c. e 1454 c.c..
Dalla lettera del Ca. del 24/1/2004 indirizzata alla Carm (che, parimenti, non vi era motivo per ritenere preordinata a favorire Beneteau) si evinceva che l’appellante intratteneva rapporti con altre aziende, concorrenti delle appellate (fra esse, la ACM). Dai documenti da 70 a 76 risultava che la “Equinoxe” (marchio utilizzato dalla Carm, secondo quanto affermato da quest’ultima in citazione) commercializzava anche barche ACM e che lo avesse fatto in precedenza non rilevava, posto che la eventuale tolleranza (indimostrata) non implicava il venir meno ad un preciso impegno contrattuale, di cui alla scrittura del 27/9/2003;
2.2, accoglieva l’appello incidentale della Beneteau e riteneva legittima anche la disdetta del contrato “vela”. Rilevava, al riguardo, che la Carm aveva chiesto la risoluzione anche del contratto relativo alla fornitura della imbarcazioni a vela, oltre che l’illegittimità della disdetta inviatale in data 19/4/2004.
Nella comparsa costitutiva in primo grado, le appellate – appellanti incidentali facevano riferimento, fra l’altro, a mancati pagamenti. Il Tribunale aveva affermato che: a. risultava dai documenti che la Carm aveva ottemperato ai minimi contrattuali; b. la medesima circostanza risultava dalle dichiarazioni del Rampini. In realtà, quest’ultimo, sentito in sede di interrogatorio formale sui capitoli 54 e 56 dedotti dalla Carm aveva semplicemente confermato che il doc. 30/a prodotto da Carm (listino prezzi) indicava le tariffe dei natanti con gli optianals, ma di nulla sapere in ordine ai soggetti indicati nel capitolo (56) ed al contenuto del doc. 88 prodotto dalle appellanti incidentali, precisando che la sua società guardava il fatturato base. Il doc. 88 degli appellanti incidentali indicava la cifra di fatturato obiettivo di Euro 2.012.999, 86 e quella di Euro 2.274.185,93 con opzioni.
L’art. 11 del contratto prevedeva un premio al raggiungimento dell’obiettivo fissato a Euro 2.600.000,00 opzioni escluse. La clausola 6 prevedeva poi il rinnovo automatico a seguito dell’acquisto di imbarcazioni per un valore di Euro 2.500.000,00. La cifra indicata dal Tribunale, di acquisto di imbarcazioni per un valore di Euro 3.193.137,00 era quella indicata in comparsa conclusionale di primo grado dall’appellante Carm (pag. 29) ove alla cifra di Euro 2.274.185, 93, (quindi comprensiva, in contrasto con la clausola n. II del contratto) delle opzioni, venivano aggiunti gli importi, dell’imbarcazione asseritamente venduta al c. pari a Euro 147.574,00, nonché le vendite concluse da Carm, ma sottrattele da Oceanis Yachts (nuova società fondata dai soci che avevano lasciato Carm), a favore di Ca. , della s.r.l. Maisale, di Sa..Co. e M..D.P. .
Tuttavia, agli atti non vi era prova (perlomeno in questa causa) della sottrazione della vendite già effettuate da Carm e del passaggio degli acquirenti a Oceanis Yachts a seguito di un accordo fraudolento. Risultava in realtà che il contratto con il Co. era stato annullato, a seguito della mancata consegna della barca, così come quello con il D.P. , mentre l’imbarcazione del c. (e la circostanza non era smentita dalla controparte) era stata venduta l’anno successivo, a contratto non rinnovato. Infine, nulla si precisava in ordine al contratto con la s.r.l. Maisale.
In definitiva, non vi era prova che tali imbarcazioni fossero state dagli acquirenti finali ordinate a Carm e poi non acquistate a seguito di comportamenti fraudolenti di terzi.
3. Propone ricorso per cassazione la Carm, sulla base dei seguenti cinque motivi; resistono gli intimati con controricorso e chiedono respingersi il ricorso. Le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi di diritto
3.1. – Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1187, 1218, 1324, 1362, 1363, cod. civ., dei principi generali in materia di interpretazione del contratto, nonché degli artt. 1453, 1454 e 2963 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), per avere la Corte territoriale erroneamente attribuito alla lettera 13 novembre 2003, inviata da Beneteau a Carm la qualifica di precedente diffida ad adempiere, in cui avrebbe individuato ‘uno specifico comportamento, costituente per la prima atto di concorrenza sleale e, quindi, violazione della clausola 7 del contratto’. Tale interpretazione della diffida 13 novembre 2003 risulterebbe del tutto erronea, e urterebbe nel tenore letterale e nella intenzione della parte (artt. 1324 e 1362 cod. civ.). Nel tenore letterale, poiché la Corte attribuisce ad una vaga indicazione (‘entro l’inizio del 2004’) il significato di un preciso termine per l’adempimento; nell’intenzione della parte, poiché il presunto termine non sarebbe posto in relazione all’adempimento, bensì ad un ‘chiarimento di posizioni’. Detta lettera non avrebbe avuto il significato di indicare un preciso termine entro il quale adempiere l’obbligazione, fissata nel contratto, né contenuto, in maniera univoca, l’avvertimento che il persistente inadempimento avrebbe determinato la risoluzione del contratto. La Corte territoriale non avrebbe attribuito alla lettera ‘il senso che risulta dal complesso dell’atto’, così cadendo anche nella violazione dell’art. 1363 cod. civ.. Escluso dunque che tale lettera potesse qualificarsi come “precedente diffida ad adempiere”, la sentenza impugnata non avrebbe potuto ritenere legittima la risoluzione di diritto del contratto di distribuzione “motore”. La Corte di Appello di Torino avrebbe travisato il tenore della lettera 13 novembre 2003, e, considerandola ‘precedente diffida ad adempiere”, avrebbe reputato legittima la risoluzione del contratto “motore” comunicata da Beneteau con lettera del 16 febbraio 2004.
3. 2. – Con il secondo motivo, si lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., e dell’art. 115 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, cod. proc. civ.), per avere la Corte territoriale insufficientemente motivato in ordine alla valutazione dell’importanza del presunto inadempimento della Carm. Sotto il profilo dell’inadempimento delle controparti, rileva la ricorrente Carm (confidando che l’accoglimento del ricorso ne investa il giudice del rinvio) i gravi inadempimenti da lei posti a base della domanda di risoluzione, sulla quale la Corte territoriale non si sarebbe pronunziata, avendo, erroneamente, ritenuto correttamente disdetto il contratto ‘vela’ e violato da parte sua quello ‘motore’. La Corte torinese si sarebbe limitata a rilevare l’inosservanza di Carm all’art. 7 del contratto ‘motore”, senza valutare se lo stesso avesse ‘inciso” in maniera apprezzabile sull’economia del rapporto e senza considerare il contegno di ‘protratta tolleranza’ tenuto dalla Beneteau. Né la tolleranza di detta società avrebbe potuto dirsi ‘indimostrata1 (p. 55 sentenza impugnata). Tale contegno di Beneteau, costituendo fatto pacifico,
non avrebbe avuto bisogno di alcuna dimostrazione, sicché – anche prima della modifica dell’art. 115 cod. proc. civ., che oggi impone al giudice di ‘porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita’ – avrebbe dovuto essere considerato nell’indagine sulla gravità dell’inadempimento. La sentenza impugnata non spiegherebbe per quale ragione la protratta tolleranza di Beneteau non valesse ad attenuare il giudizio di gravità dell’inadempimento. La Corte d’Appello, invece, si sarebbe limitata ad affermare – in maniera affatto apodittica – che ‘la violazione di tale clausola configura certamente un grave inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c. nonché dell’art. 1218, e 1454 c.c.’. La Corte di Appello avrebbe offerto, pertanto, una motivazione del tutto insufficiente a giustificare la decisione, e, non considerando un fatto pacifico (la tolleranza di Beneteau di fronte all’importazione e vendita di prodotti concorrenti), sarebbe caduta anche nella violazione dell’art. 115 cod. proc. civ..
3.2.1. Le prime due censure – da trattare congiuntamente, in quanto entrambe riferite alla risoluzione per inadempimento del contratto ‘motori’ – si rivelano prive di pregio.
In particolare, si sottraggono alle censure mosse gli accertamenti, compiuti con congrua e corretta motivazione dalla Corte territoriale, in ordine alla sussistenza d’una idonea diffida ad adempiere (primo motivo), nonché in ordine alla valutazione dell’importanza dell’inadempimento della Carm (secondo motivo).
3.2.2. Quanto al primo profilo, infatti, la motivazione della sentenza impugnata è ampia, dettagliata e giuridicamente ineccepibile, avendo il giudice di appello accertato, in conformità della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21.2.2006 n. 3742; 11.5.1990 n. 4066, in motivazione; 26.11.1981, n. 3445 e 5.4.1982, n. 2089), che la diffida ad adempiere, conteneva, a norma dell’art. 1554 c.c., la manifestazione univoca della volontà dell’intimante di ritenere risolto il contratto in caso di mancato adempimento entro un certo termine.
In particolare, la Corte territoriale (v. precedente punto 2.1.) ha rilevato che nella lettera del 13/11/203 (per la quale non vi era risposta in atti, non avendo sul punto nulla evidenziato l’appellante), si leggeva che ‘per la nostra azienda i prodotti ACM costituiscono un’alternativa in palese concorrenza con la nostra produzione’. In essa veniva quindi individuato uno specifico comportamento, che costituiva per la Beneteau atto di concorrenza sleale e quindi violava la clausola n. 7 del contratto.
Si tratta di un congruo e corretto apprezzamento di merito, rispetto al quale s’invoca genericamente la violazione dei canoni ermeneutici, senza tenere conto che, relativamente agli atti unilaterali, quali la diffida ad adempiere, detti criteri sono invocabili solo in quanto compatibili con il loro carattere unilaterale (v. tra le molte, Cass. n. 13970/2005).
3.2.3. Quanto al secondo aspetto, la decisione impugnata è conforme al consolidato orientamento secondo cui, anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto, conseguente – come nella specie – a diffida ad adempiere senza esito, intimata dalla parte adempiente, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento; in particolare, dovrà verificare sotto il profilo oggettivo che l’inadempimento sia non di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 cod. civ. (Cass. n. 9314/2007; 5407/2006; 4275/1994; 2979/1991).
Nel caso in esame, tale valutazione vi è stata ed è stata motivata correttamente sotto il profilo logico e quello giuridico. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato – oltre quanto segnalato al precedente punto – che la violazione della clausola 7) configurava certamente un grave inadempimento ai sensi, dell’art. 1453 c.c. (tale dovendosi, intendere il riferimento all’art. 1253 c.c.), nonché 1218 c.c. e 1454 c.c..
Dalla lettera del Ca. del 24/1/2004 indirizzata alla Carm (che non vi era motivo per ritenere preordinata a favorire Beneteau) si evinceva che l’appellante intratteneva rapporti con altre aziende, concorrenti delle appellate (fra esse, la ACM). Dai documenti da 70 a 76 risultava che la ‘Equinoxe’ (marchio utilizzato dalla Carm) commercializzava anche barche ACM e che lo avesse fatto in precedenza non rilevava, posto che la eventuale tolleranza (indimostrata) non implicava il venir meno ad un preciso impegno contrattuale, di cui alla scrittura del 27/9/2003.
Peraltro, anche la valutazione della rilevanza, o meno, del comportamento tollerante dell’altra parte rientra nei compiti del giudice di merito e si sottrae al sindacato in questa sede se congruamente e correttamente condotta (argomento desumibile, tra le altre, da Cass. n. 1773/2001; 11960/19909).
3.2.4. I vizi motivazionali trattati nel secondo motivo vengono solo genericamente dedotti, senza specificare le ragioni che renderebbero la motivazione inidonea a sorreggere la decisione e si rivelano, comunque, inammissibili perché rivolti unicamente a sollecitare una ‘diversa lettura’ delle risultanze di causa congruamente apprezzate dalla Corte territoriale (si veda la giurisprudenza citata al successivo punto 3.4.2).
3.3. – Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1370 cod. civ., dei principi generali in materia d’interpretazione del contratto, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, cod. proc. civ.), in ordine alla disdetta del contratto ‘vela’ per mancato raggiungimento dei minimi contrattuali. La Corte territoriale, sulla base del documento 88 depositato dalla Beneteau che fissa la ‘cifra di fatturato obiettivo di Carm’ in Euro 2.274.185,93 ‘con opzioni’, aveva reputato erroneo il calcolo operato dal Tribunale (Euro 3.193.137,00), perché non vi era la prova che le imbarcazioni ordinate a Carm da Co. , D.P. , c. e Maisale fossero state dagli stessi poi non acquistate a seguito di comportamenti fraudolenti di terzi. Secondo la ricorrente, infatti, dalla lettura delle clausole del contratto (riportate in ricorso), derivava che essa, per ottenere il ‘rinnovo’ del contratto per il secondo anno, avrebbe dovuto acquistare, nell’esercizio che si concludeva il 31 agosto 2004, imbarcazioni per un ‘controvalore’ di Euro 2.500.000 (‘L’impegno minimo da raggiungere per il rinnovo automatico del rapporto viene definito in tale importo per questo esercizio’); la ‘disdetta’ del contratto era consentita soltanto per ‘gravi e documentati motivi’, e ove non fossero’ottemperati i minimi contrattuali’. La ricorrente si duole, pertanto, che: 3.3.A) l’esclusione delle ‘opzioni’ dal computo del fatturato prodotto da Carm per Beneteau avrebbe riguardato soltanto la maturazione del ‘premio’ previsto dall’art. 11 del contratto, e non il calcolo dei ‘minimi contrattuali’, stabiliti dall’art. 6, ai fini del ‘rinnovo’ del contratto medesimo. La Corte – reputando, invece, le ‘opzioni’ escluse dal computo riguardante il calcolo dei minimi contrattuali – avrebbe travisato il tenore letterale del contratto (art. 1362 cod. civ.), e omesso di svolgere un’interpretazione complessiva delle clausole (1363 cod. civ.);
3.3.B) la ‘disdetta’ del contratto – che non muoveva espressamente dal preteso mancato raggiungimento dei ‘minimi contrattuali’, ma da una serie di contestazioni generiche e indimostrate – era stata comunicata il 19 aprile 2004, e cioè 4 mesi prima della scadenza dell’esercizio (31 agosto 2004). Anche a voler escludere dal computo degli acquisti le imbarcazioni ordinate da Carm, ma successivamente non vendute, alla data della disdetta (19 aprile 2004), Carm aveva acquistato imbarcazioni per Euro 2.274.185,93, e così raggiunto circa il 90 % dei ‘minimi di acquisto. La motivazione della Corte d’Appello sarebbe, dunque, del tutto illogica e insufficiente a giustificare la decisione, poiché trascura che la ‘disdetta’, motivata dal mancato raggiungimento degli obbiettivi minimi, sia stata inviata quattro mesi prima della scadenza annuale dell’esercizio preso in considerazione, e quando il concessionario aveva già quasi raggiunto gli obbiettivi minimi previsti dal contratto. Inoltre, la stessa Corte torinese – trascrivendo la sentenza del giudice di primo grado e condividendone, in difetto di riforma, la decisione – affermava che: ‘… il primo dei motivi non appare fondato [‘risoluzione del contratto ‘motore’ per disattendimento degli obbiettivi commerciali] atteso che il contratto era stato concluso il 27.9.2003 e, quindi, non poteva essere mossa alcuna contestazione in relazione al disattendimento degli obbiettivi commerciali per ben due stagioni successive dopo soli 4 mesi e mezzo di durata del contratto…’.
3.4. – Nel quarto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729, e 115 e 116 cod. proc. civ.; insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, cod. proc. civ.), per avere la Corte territoriale erroneamente escluso l’esistenza della prova del raggiungimento dei minimi contrattuali da parte di Carm e del passaggio degli acquirenti a Oceanis Yachts a seguito di un accordo fraudolento’. La Corte avrebbe, così, violato l’art. 115 cod. proc. civ., poiché non avrebbe considerato le prove proposte dalle parti ed offerto una motivazione del tutto insufficiente a giustificare la decisione. Il valore delle imbarcazioni contrattate con Co. , D.P. , Maisale e c. sarebbe stato sicuramente da comprendere nel computo dei minimi contrattuali, nonostante tali beni non fossero poi stati venduti da Carm, bensì da Oceanis Yachts. 2008: Dall’esame dei documenti depositati dalla controparte, sarebbe stato agevole rilevare che Oceanis Yachts aveva poi venduto per Beneteau ai medesimi soggetti le stesse barche già ordinate a Carm. Né la sentenza impugnata aveva tenuto conto di elementi presuntivi, che inducevano a considerare i contratti stipulati da Oceanis Yachts frutto di un disegno fraudolento ai danni di Carro. La Corte di Appello avrebbe omesso di considerare: che la Oceanis Yachts fu costituita dal Ca. , già amministratore delegato di Carm; le circostanze di tempo e di luogo in cui la medesima società era stata costituita; la tipologia di contratti stipulati da tale società sin dal marzo 2004; la zona di attività della Oceanis Yachts ((OMISSIS) ); la identità delle barche vendute e dei soggetti acquirenti rispetto alle precedenti imbarcazioni già vendute da Carm. Tali presunzioni erano dotate dei requisiti di gravità precisione e concordanza. Ove la Corte d’Appello di Torino avesse considerato tali circostanze, avrebbe dovuto reputare ‘ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità’ l’esistenza di un disegno fraudolento ai danni di Carm, e dunque, comprendere le imbarcazioni, successivamente vendute da Oceanis Yachts,. nel calcolo dei minimi contrattuali.
3.4.1. Le censure di cui al terzo ed al quarto motivo – da trattarsi congiuntamente, avendo entrambe ad oggetto il mancato rinnovo del contratto ‘vela’ – sono prive di pregio sotto ogni profilo.
Né rispetto ai canoni di ermeneutica contrattuale, né rispetto alla valutazione del materiale probatorio sono prospettabili le lamentate violazioni di legge ed i vizi motivazionali, genericamente dedotti, si risolvono nell’inammissibile richiesta di una ‘diversa lettura’ delle risultanze di causa, apprezzate con congrua e corretta motivazione dalla Corte territoriale.
3.4.1.a) Con specifico riguardo alle doglianze formulate nel terzo motivo, si deve ribadire che:
a).1. per potersi configurare la violazione delle regole di interpretazione del contratto, non è sufficiente che il ricorrente faccia richiamo agli artt. 1362 ss. c.c., in quanto è necessario che vengano specificati i canoni in concreto non osservati ed il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, non essendo idonea una critica del risultato raggiunto dallo stesso giudice mediante la contrapposizione di una diversa interpretazione: (Cass., sez. lav., 22 novembre 2010, n. 23635; Cass., sez. II, 31 maggio2010 n. 13242; Cass., Sez. lav., 1 luglio 2004, n. 12104; Cass., Sez. II, 20 agosto 1997, n. 7738; Cass., Sez. II, 30 gennaio 1995, n. 1092; Cass., Sez. lav. 23 gennaio 1990, n. 381), con il conseguente obbligo per il ricorrente di richiamare e specificare i canoni ermeneutici di cui assume la violazione, precisando in quale modo e con quali considerazioni il giudice se ne sia discostato.
Quando in sede di legittimità venga denunziata la violazione di tali regole, è necessaria la specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia deviato dalle regole nei detti articoli stabilite, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera proposizione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass. 4 giugno 2007 n. 12946 e n. 12936).
Invero, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 20 novembre 2009 n. 24539; 2 maggio 2006 n. 10131; 17 luglio 2003 n. 11193).
Non può, perciò, trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. 27 marzo 2007 n. 7500); non potendo il ricorrente allegare la violazione da parte del giudice del merito dei criteri di ermeneutica contrattuale, allorché si limiti a contrapporre la propria interpretazione del contratto agli esiti cui si perviene nella sentenza impugnata (Cass. 26 dicembre 2006 n. 26683);
a).2. il sindacato della Corte di Cassazione sugli esiti del procedimento di interpretazione del contratto può essere introdotto – come nella seconda parte del terzo motivo – anche deducendo il vizio di cui all’art. 360 comma 1 n. 5, che fa riferimento ai vizi di motivazione. Infatti, la sentenza di merito è sindacabile in Cassazione sotto il profilo dell’interpretazione data al contratto qualora sia viziata da errori logici o di motivazione (Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178; 21 luglio 2004 n. 13379; 25 febbraio 2004 n. 3772; 13 luglio 1993 n. 7745, in motivazione).
In tal caso, il sindacato di legittimità deve essere condotto non sulla ricostruzione della volontà delle parti, in quanto ciò riguarderebbe essenzialmente il risultato interpretativo raggiunto dal giudice del merito nella risoluzione della ‘questio voluntatis’, ma sull’individuazione dei criteri ermeneutici applicati nel processo logico del quale il giudice del merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui assegnati (Cass. 13 maggio 2004 n. 9091; 14 novembre 2003 n. 17248; 16 settembre 2002, n. 13543).
L’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa. In altri termini, il ricorso in sede di legittimità, riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (Cass. 17 luglio 2007 n. 15890, in motivazione; 22 febbraio 2007 n. 4178; 23 agosto 2006 n. 18375);
a.3). nel caso di specie, non sussistevano gli indicati vizi in quanto la Corte territoriale ha correttamente rilevato che L’art. 11 del contratto prevedeva un premio al raggiungimento dell’obiettivo fissato a Euro 2.600.000,00 opzioni escluse. La clausola 6 prevedeva poi il rinnovo automatico a seguito dell’acquisto di imbarcazioni per un valore di Euro 2.500.000,00. La cifra indicata dal Tribunale, di acquisto di imbarcazioni per un valore di Euro 3.193.137,00 era quella indicata in comparsa conclusionale di primo grado dall’appellante Carm (pag. 29) ove alla cifra di Euro 2.274.185, 93, (quindi comprensiva, in contrasto con la clausola n. II del contratto) delle opzioni, venivano aggiunti gli importi, dell’imbarcazione asseritamente venduta al c. pari a Euro 147.574,00, nonché le vendite concluse da Carm, ma sottrattele da Oceanis Yachts (nuova società fondata dai soci che avevano lasciato Carm), a favore di Ca. , della s.r.l. Maisale, di Co.Sa. e M..D.P. .
3.4.1.b) Quanto agli errores in indicando in relazione alla valutazione del materiale probatorio, si deve ribadire, con specifico riguardo alle doglianze formulate nel quarto motivo, che le norme (art. 2697 ss.) poste dal Libro VI, Titolo II del Codice civile regolano le materie: a) dell’onere della prova; b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) della forma che ciascuno di essi deve assumere; non anche la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, che è viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., e la cui erroneità ridonda quale vizio ex art, 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. (Cass. 12 febbraio 2004 n. 2707).
Inoltre, per quanto concerne la prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia – come nella specie (v. precedente punto 2.2) – congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. n. 15219/2007, in motivazione; 16728/2006; 1216/2006; 10135/2005).
Sempre in tema di valutazione delle risultanze probatorie, deve ribadirsi che, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 20 giugno 2006 n. 14267). L’art. 116, primo comma, cod. proc. civ. consacra il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonché l’iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata; e tale apprezzamento è insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione (come sopra richiamata, in ordine alla mancata prova della sussistenza di un intento fraudolento a danno della Carm), immune da vizi logici e giuridici Cass. 13 luglio 2004 n. 12912).
3.4.1.e. Nella specie, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che agli atti non vi era prova della sottrazione della vendite già effettuate da Carm e del passaggio degli acquirenti a Oceanis Yachts a seguito di un accordo fraudolento. Risultava in realtà che il contratto con il Co. era stato annullato, a seguito della mancata consegna della barca, così come quello con il D.P. , mentre l’imbarcazione del c. (e la circostanza non era smentita dalla controparte) era stata venduta Tanno successivo, a contratto non rinnovato, Infine, nulla si precisava in ordine al contratto con la s.r.l. Maisale. In definitiva, non vi era prova che tali imbarcazioni fossero state dagli acquirenti finali ordinate a Carm e poi non acquistate a seguito di comportamenti fraudolenti di terzi.
3.4.2.. Peraltro, quanto all’insussistenza dei vizi motivazionali dedotti in tutti i motivi esaminati, va ribadito che, nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (v., tra le molte, Cass. n. 7972/2006; 13954/2007, in motivazione).
Né questi vizi possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova: l’art. 360 n. 5 non conferisce, infatti, alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (Cass., Sez. III, 7 luglio 2005 n. 14305; Cass., Sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20322; Cass., Sez. trib., 12 agosto 2004, n. 15675; Cass., Sez. lav., 9 agosto 2004, n. 15355; Cass., Sez. lav., 25 agosto 2003, n. 12467, ivi, 2003; Cass., sez. Ili, 14 febbraio 2003 n. 2222)).
3.4.3. Senza contare che tutte le doglianze di cui ai detti motivi appaiono generiche e formulate, quindi, in violazione del canone di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c., poiché, in base a detta disposizione, è necessario che il motivo di ricorso per cassazione contenga un’esposizione degli elementi di giudizio in fatto tali da consentire al giudice di legittimità di procedere alla valutazione della decisività dei mezzi istruttori della cui mancata o erronea considerazione ci si duole, per cui è necessario, quanto alle prove documentali, che nel motivo siano precisati gli elementi identificativi e riportato il contenuto del documento il cui esame si assume essere stato erroneamente pretermesso o valutato (Cass. n. 11052/2002). Invero, il ricorso per cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto (Cass. n. 4849/2009; 15952/2007; 12362/2006).
3.5. – Nel quinto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 329, 342, 346 e 356 cod. proc. civ.;insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, cod. proc. civ.), per avere la Corte territoriale impropriamente ritenuto inammissibile il motivo di appello riguardante l’omessa ammissione delle prove (addotte in primo grado dalla Carm sugli accordi fraudolenti in suo danno), in quanto, ‘al di là della generica affermazione che il giudice di primo grado aveva errato nel non ammetterle, non si era proposto uno specifico motivo di censura (quale l’omessa pronuncia in sentenza sul punto, o la critica alle ordinanze non ammissive)’. La ricorrente rileva, invece che, in appello, considerato che il giudice di primo grado, ritenute sussistenti questioni pregiudiziali che avrebbero potuto ‘rendere superflua l’ammissione dei testi’ (‘superfluità’ implicitamente confermata con la sentenza), pur non ravvisando ‘l’utilità/necessità’ dell’assunzione delle prove testimoniali dedotte aveva tuttavia riproposto tutte le istanze istruttorie formulate in primo grado, ovviamente rimettendo alla Corte la valutazione della loro ammissibilità e rilevanza. L’integrale riproposizione delle istanze istruttorie disattese dal primo Giudice, subordinata alla valutazione della Corte d’Appello, circa la loro rilevanza ai fini della decisione sui motivi posti a base dell’impugnazione, costituiva una legittima, rituale domanda d’ordine processuale e non già un ‘motivo d’appello’. Pertanto, mentre il primo Giudice, correttamente, non aveva ammesso le prove, la Corte d’Appello, avendo ritenuto non provate con altro mezzo (documentale, confessorio, presuntivo, ecc….) le circostanze dedotte nei capitoli (puntualmente riportati in ricorso), avrebbe errato nel non pronunziarsi sulle medesime. In altre parole, non vi era un errore del primo giudice, che doveva essere censurato, ma un’omessa pronuncia della Corte territoriale, che dovrebbe essere valutata da questa Corte.
3.5.1. Anche questa censura si rivela priva di pregio.
La Corte territoriale, invero, ha correttamente ritenuto inammissibile la doglianza della Carm in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale in primo grado.
I giudici di appello hanno premesso che la società, in relazione ai motivi di appello proposti, non riteneva utile né necessaria l’assunzione delle prove testimoniali in questione, ma affermava che, se al fine della pronuncia sull’appello, la Corte fosse stata di diverso avviso, il giudice di primo grado avrebbe errato nel non ammettere le prove, che riproponeva.
Ritenevano, quindi, che, ‘al di là della generica affermazione che il giudice di primo grado’ aveva ‘errato nel non ammettere’ dette prove, non riteneva che la società avesse proposto uno specifico motivo di censura (in particolare, né l’omessa pronuncia nella sentenza di primo grado sul punto, né la critica alle relative ordinanze del Tribunale).
Nel caso in esame, quindi, la richiesta formulata al giudice di appello era del tutto priva di specificità (art. 342 c.p.c.) ed intrinsecamente contraddittoria: l’ammissione della prova testimoniale non è necessaria, ma se la Corte fosse stata di diverso avviso, il primo giudice avrebbe errato.
Altrettanto genericamente viene prospettata, nella trattazione dell’odierno motivo, un’omessa pronuncia della Corte territoriale, senza che sia stato dedotto il relativo error in procedendo, essendosi la ricorrente limitata a dedurre la violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
4. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 12.200,00= di cui Euro 12.000,00= per onorario, oltre accessori di legge.
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