Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 25 settembre 2014, n. 39437
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo – Presidente
Dott. SAVINO Mariapia Gaetana – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 686/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del 22/10/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per l’inammissibilita’;
Udito il difensore (OMISSIS).
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Lecce con sentenza 22.10.2010 ha confermato la colpevolezza di (OMISSIS) per avere, quale legale rappresentante della (OMISSIS) srl, omesso il versamento di ritenute certificate per un importo di euro. 162.474,55 in relazione all’anno di imposta 2004 (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis) rilevando, per quanto qui interessa, che la prova dell’avvenuta certificazione poteva ritenersi raggiunta sulla base dei modd. 770 e che la tesi della insussistenza di consapevolezza e della non ascrivibilita’ del reato all’imputato, gia’ formulata davanti al Tribunale, non poteva trovare accoglimento per le ragioni esplicitate dal primo giudice, ancorate a precisi riferimenti fattuali e temporali e corroborate da ineccepibili rilievi sul piano della logica e della verosimiglianza.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato denunziando due motivi.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato denunziando due motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Col primo motivo denunzia ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b, c ed e, l’inosservanza della Legge n. 638 del 1983, articolo 2, comma 1 bis, (cosi’ testualmente, ndr) nonche’ la mancanza e contraddittorieta’ della motivazione per travisamento del fatto in relazione all’attribuzione di responsabilita’, criticando la decisione laddove non ha tenuto conto del fatto che egli aveva assunto la carica di amministratore della societa’ solo in data 5.8.2005 mentre il termine per il pagamento scadeva il successivo 28 settembre: ad avviso del ricorrente dunque, non poteva essergli attribuito il fatto sia dal punto di vista della condotta che sotto il profilo della consapevolezza intenzione.
Il motivo e’ infondato.
Premesso che la disposizione di legge contestata e’ quella di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, come gia’ evidenziato da questa Corte in fattispecie simile (Sez. 3, Sentenza n. 3636 del 2014), l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilita’, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi. Ove cio’ non avvenga, e’ evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Nel caso in esame, non si trattava di un debito verso l’erario particolarmente remoto o nascosto, poiche’ si trattava di versamenti dovuti sulla base dell’ultima dichiarazione (presentata nello stesso anno 2005) e quindi bastava, prima di assumere la carica di amministratore, chiedere di visionare la documentazione fiscale piu’ recente. Le verifiche dunque erano assai semplici e coincidevano con i minimi riscontri d’obbligo che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica: si trattava di un debito (con conseguente obbligo di versamento) risultante dall’ultima dichiarazione fiscale e quindi facilmente constatabile. E, ammesso che il (OMISSIS) non avesse eseguito neppure tale elementare riscontro, si tratterebbe comunque di un fatto-reato addebitabile a titolo di dolo eventuale, quale sarebbe l’elemento psicologico di colui che (in ipotesi) diviene amministratore di una s.r.l. senza alcun previo controllo di natura puramente documentale almeno sugli ultimi adempimenti fiscali (cfr. sentenza 3636/2014 cit.).
Nel caso in esame dunque, del tutto correttamente la Corte territoriale ha rigettato la doglianza richiamando la decisione del Tribunale che aveva ritenuto, tra l’altro, inimmaginabile che taluno possa assumere un incarico di amministratore ex abrupto e che nessuna norma prevede un periodo di vacanza del ruolo di garanzia assunto nell’ambito di qualsiasi impresa dall’amministratore.
La decisione appare conforme a diritto e congruamente motivata, sicche’ si sottrae anche al sindacato sulla motivazione, anche perche’ – e’ bene precisarlo – il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia Soggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimita’ e’ infatti preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche’ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalita’ e di capacita’ di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicita’ della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
2. Col secondo motivo si denunzia ancora, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b, c ed e, l’inosservanza della Legge n. 638 del 1983, articolo 2 comma 1 bis, (sempre cosi’ testualmente, ndr) e il vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare che il documento acquisito (cioe’ il mod. 770) non era quello richiesto, cosi’ come eccepito con l’atto di appello.
Tale motivo e’ manifestamente infondato.
Nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, puo’ essere fornita dal pubblico ministero mediante documenti, testimoni o indizi (Sez. 3, Sentenza n. 1443 del 15/11/2012 Ud. dep. 11/01/2013 Rv. 254152): se dunque la norma di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, si propone di sanzionare l’omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non vi e’ ragione per ritenere che la prova di cio’ debba ricavarsi solo dalle “certificazioni” senza possibilita’ di ricorrere ad “equipollenti”.
E tra gli atti equipollenti rientra anche la dichiarazione effettuata dall’imputato nel modello 770, nel quale, in veste di sostituto di imposta, dichiara appunto l’ammontare da lui dovuto a titolo di ritenute sui redditi di lavoro (cfr. Cass. cit. nonche’ Sez. 3 Sentenza n. 27718 del 4.4 – 12.7.2012).
La sentenza impugnata pertanto non merita nessuna censura laddove ha attribuito rilievo probatorio ai mod. 770.
Il motivo e’ infondato.
Premesso che la disposizione di legge contestata e’ quella di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, come gia’ evidenziato da questa Corte in fattispecie simile (Sez. 3, Sentenza n. 3636 del 2014), l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilita’, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi. Ove cio’ non avvenga, e’ evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Nel caso in esame, non si trattava di un debito verso l’erario particolarmente remoto o nascosto, poiche’ si trattava di versamenti dovuti sulla base dell’ultima dichiarazione (presentata nello stesso anno 2005) e quindi bastava, prima di assumere la carica di amministratore, chiedere di visionare la documentazione fiscale piu’ recente. Le verifiche dunque erano assai semplici e coincidevano con i minimi riscontri d’obbligo che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica: si trattava di un debito (con conseguente obbligo di versamento) risultante dall’ultima dichiarazione fiscale e quindi facilmente constatabile. E, ammesso che il (OMISSIS) non avesse eseguito neppure tale elementare riscontro, si tratterebbe comunque di un fatto-reato addebitabile a titolo di dolo eventuale, quale sarebbe l’elemento psicologico di colui che (in ipotesi) diviene amministratore di una s.r.l. senza alcun previo controllo di natura puramente documentale almeno sugli ultimi adempimenti fiscali (cfr. sentenza 3636/2014 cit.).
Nel caso in esame dunque, del tutto correttamente la Corte territoriale ha rigettato la doglianza richiamando la decisione del Tribunale che aveva ritenuto, tra l’altro, inimmaginabile che taluno possa assumere un incarico di amministratore ex abrupto e che nessuna norma prevede un periodo di vacanza del ruolo di garanzia assunto nell’ambito di qualsiasi impresa dall’amministratore.
La decisione appare conforme a diritto e congruamente motivata, sicche’ si sottrae anche al sindacato sulla motivazione, anche perche’ – e’ bene precisarlo – il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia Soggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimita’ e’ infatti preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche’ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalita’ e di capacita’ di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicita’ della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
2. Col secondo motivo si denunzia ancora, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b, c ed e, l’inosservanza della Legge n. 638 del 1983, articolo 2 comma 1 bis, (sempre cosi’ testualmente, ndr) e il vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare che il documento acquisito (cioe’ il mod. 770) non era quello richiesto, cosi’ come eccepito con l’atto di appello.
Tale motivo e’ manifestamente infondato.
Nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, puo’ essere fornita dal pubblico ministero mediante documenti, testimoni o indizi (Sez. 3, Sentenza n. 1443 del 15/11/2012 Ud. dep. 11/01/2013 Rv. 254152): se dunque la norma di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis, si propone di sanzionare l’omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non vi e’ ragione per ritenere che la prova di cio’ debba ricavarsi solo dalle “certificazioni” senza possibilita’ di ricorrere ad “equipollenti”.
E tra gli atti equipollenti rientra anche la dichiarazione effettuata dall’imputato nel modello 770, nel quale, in veste di sostituto di imposta, dichiara appunto l’ammontare da lui dovuto a titolo di ritenute sui redditi di lavoro (cfr. Cass. cit. nonche’ Sez. 3 Sentenza n. 27718 del 4.4 – 12.7.2012).
La sentenza impugnata pertanto non merita nessuna censura laddove ha attribuito rilievo probatorio ai mod. 770.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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