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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 7 ottobre 2014, n. 41749

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Sulmona, con sentenza del 21 marzo 2013, resa nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di precedente decisione dello stesso Tribunale del 26 maggio 2011, giusta sentenza di questa Corte di cassazione in data 4 ottobre 2012, ha confermato la decisione del Giudice di pace di Sulmona, emessa il 23 luglio 2010, con la quale G.M. era stato condannato alla pena di Euro cinquecento di multa per il delitto di diffamazione, di cui all’art. 595, commi primo e secondo, cod. pen., in danno di C.V. , con assegnazione alla persona offesa, costituitasi parte civile, di una provvisionale, immediatamente esecutiva, di Euro diecimila.
Secondo il tenore della contestazione criminosa, il G. aveva offeso l’onore e la reputazione dell’avvocato C.V. mediante l’inoltro di un esposto al Consiglio dell’ordine degli avvocati presso il Tribunale di Sulmona, in data 29 agosto 2007, nel quale scriveva che la condotta professionale del C. era stata improntata a fare di tutto perché la società Ecoprogetti s.r.l., legalmente rappresentata dal G. , iniziasse cause al solo fine di assicurare compensi allo stesso avvocato, senza alcun risultato positivo; inoltre, con l’avvento dell’avvocato S.M. , nominato al posto del C. , e già destinatario di precedente esposto del G. al Consiglio dell’Ordine in data 14 dicembre 2006, c’era stata, secondo la testuale espressione utilizzata nella segnalazione del 29 agosto 2007, “la botta finale” in danno del G. , perché, come riconosciuto per iscritto dal terzo legale officiato, l’avvocato Sc.Ro. , i predetti C. e S. avevano attuato una “collusione retributlva” (altra espressione testuale dell’esposto) per gonfiare le rispettive parcelle nei confronti della Ecoprogetti e condurla al fallimento.
La Corte di cassazione, nella sentenza di annullamento del 4 ottobre 2012, ha ritenuto integrato l’elemento oggettivo del reato e, tuttavia, ha rilevato che il Tribunale di Sulmona, nella sentenza di appello del 26 maggio 2011, pur essendo stato espressamente sollecitato sul punto col quarto motivo di impugnazione, non aveva preso in considerazione l’eventuale ricorrenza della causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto di cui all’art. 51 cod. pen. o della causa di non punibilità prevista dall’art. 598 cod. pen., entrambe ignorate anche nella decisione di primo grado del 23 luglio 2010; ha, quindi, rinviato gli atti al Tribunale di Sulmona perché eliminasse la rilevata lacuna argomentativa, riesaminando il fatto con riguardo alla possibile ricorrenza delle predette esimenti nell’esposto presentato dall’Imputato al Consiglio dell’ordine forense per denunciare condotte del professionista ritenute deontologicamente scorrette, in quanto legittima espressione del diritto di critica nei limiti enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
Il Tribunale di Sulmona, giudice del rinvio, a sostegno della decisione di conferma della sentenza di condanna, dopo aver richiamato i limiti connaturati al diritto di critica (fondamento delle accuse o convinzione, sia pure erronea, dell’accusatore della veridicità di quanto affermato), ha ritenuto che il G. non avesse dato la prova, a lui spettante, né della verità dei fatti esposti a carico del C. , né della sua incolpevole convinzione della veridicità di quanto denunciato.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il G. tramite i difensori, avvocati Dario Visconti e Vincenzina Buonajuto, i quali articolano quattro motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere il Tribunale omesso di prendere in considerazione i fatti storici, che si assumono incontroversi, documentati nel corso del processo, e in particolare: a) l’effettivo rapporto professionale intercorso tra l’avvocato C. e l’imputato; b) le parcelle professionali particolarmente elevate presentate dal professionista (circa diecimila Euro) per una causa che sarebbe stata male impostata fin dall’inizio; c) il non puntuale adempimento degli obblighi professionali da parte del C. al punto che il G. gli aveva revocato la procura; d) la conoscenza della situazione economica dell’impresa rappresentata dall’imputato, da parte del professionista, intenzionato a richiederne il fallimento pur di riscuotere le sue esose parcelle.
Tali fatti sarebbero stati documentati con la produzione e acquisizione dei seguenti atti: e) atto di citazione nel confronti degli eredi Gi. , redatto il 3 settembre 1999 dall’avvocato C. , in qualità di procuratore dell’impresa Ecoprogetti s.r.l.; f) sentenza del Tribunale civile di Sulmona, in data 21 aprile 2005, di rigetto della suddetta domanda, dalla quale emergerebbe, secondo il ricorrente, la negligente prestazione professionale dell’avvocato C. nei suoi confronti (la domanda nei confronti degli eredi Gi. formulava l’esorbitante richiesta di cinque miliardi a titolo di risarcimento del danno, al solo fine – secondo il G. – di far lievitare il valore della causa e consentire al professionista di pretendere onorari più elevati, e sarebbe stata respinta per mancanza dei requisiti giuridici essenziali); g) ricorso per decreto ingiuntivo proposto dal C. , in data 1 giugno 2005, nei confronti della società Ecoprogetti, rappresentata dal G. , per competenze professionali ascendenti ad Euro 26.866, di cui Euro 9.936 solo per la suddetta causa persa contro gli eredi G. ; h) ricorso per decreto ingiuntivo, recante la data del 18 febbraio 2006, proposto dall’avvocato S.M. , subentrato al C. , per richiedere alla medesima Ecoprogetti onorali professionali assommanti ad Euro 63.255 oltre accessori di legge, di cui Euro 11.548 imputabili alla sola memoria conclusiva nel suddetto procedimento civile contro gli eredi Gi. ; i) opposizione del G. , assistito dal nuovo avvocato, Sc.Ro. , ai decreti ingiuntivi ottenuti dagli avvocati C. e S. .
Nell’opposizione ai decreti ingiuntivi era stato lo stesso redattore, avvocato Sc. , ad usare l’espressione “collusione retribuiva” a proposito dei rapporti tra i due precedenti avvocati in danno del G. , evidenziando che la richiesta di provvisoria esecuzione dei decreti opposti preludeva alla presentazione di istanza di fallimento nei confronti della società debitrice, Ecoprogetti s.r.l.
Tutta la suddetta documentazione, pur risultando acquisita fin dal processo di primo grado davanti al Giudice di pace di Sulmona, unitamente agli esposti del 14 dicembre 2006 e del 29 agosto 2007, era stata completamente ignorata dal giudice di rinvio, sebbene rilevante per accertare la ricorrenza dei presupposti della causa di giustificazione prevista dall’art. 51 cod. pen. o della causa di non punibilità di cui all’art. 598 cod. pen., la cui omessa considerazione aveva determinato l’annullamento della prima sentenza di appello.
Parimenti obliterate dal giudice di merito erano state le dichiarazioni rese dall’avvocato Sc. all’ufficiale del commissariato di Avezzano, delegato dal pubblico ministero, in merito al significato dell’espressione “collusione retribuiva”, utilizzata dallo stesso professionista per stigmatizzare l’operato dei colleghi predecessori nell’assistenza legale del G. , i quali, a suo avviso, avrebbero richiesto all’attuale ricorrente somme esorbitanti e non corrispondenti alle tariffe professionali, considerato anche l’esito delle cause.
Il G. , pertanto, nel rappresentare sia pure con linguaggio colorito tutte le predette circostanze al competente Consiglio dell’ordine forense di Sulmona, non avrebbe fatto altro che esercitare il suo legittimo diritto di critica dell’operato dei professionisti cui si era affidato, tanto più censurabile per la consapevolezza degli stessi legali di poter determinare, con le loro esose richieste, il fallimento della società Ecoprogetti che avevano rappresentato in giudizio.
Trattandosi, inoltre, di fatti storici neppure contestati dalla persona offesa, era evidente che il G. , se anche avesse errato nel l’attribuire all’avvocato C. un comportamento deontologicamente scorretto, lo avrebbe fatto per errore e non dolosamente, nella convinzione di essere stato effettivamente vittima di un comportamento ingiusto da parte del professionista.
E, in proposito, il ricorrente richiama l’esito del procedimento per calunnia iscritto nei suoi confronti sulla base del precedente esposto del 14 dicembre 2006 presentato contro l’avvocato S.M. : tale procedimento era stato definito, su conforme richiesta del pubblico ministero, con decreto di archiviazione, non avendo il G. mosso accuse di commissione di reati nei confronti dell’avvocato S. , ma solo prospettato fatti di rilevanza disciplinare circa l’opera professionale prestata dal legale nei suoi confronti, e comunque difettando l’elemento psicologico del reato.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 51 cod. pen., di cui ricorrerebbero, nel caso in esame, tutti i presupposti non esaminati dal Tribunale: la verità del fatti rappresentati nell’esposto; l’interesse pubblico sotteso alla denuncia presentata al Consiglio dell’ordine degli avvocati, organo competente a sanzionare i comportamenti deontologicamente scorretti; la continenza formale e sostanziale delle espressioni usate, seppure colorite, ma non gravemente infamanti o inutilmente umilianti nei confronti del professionista.
2.3. Il terzo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla causa di non punibilità prevista dall’art. 598 cod. pen., dovendo il G. considerarsi parte del procedimento disciplinare da lui richiesto con l’esposto del 29 agosto 2007 nei confronti dell’avvocato C. , come da giurisprudenza di legittimità (citata sentenza n. 19248 del 2013); d’altronde, non sarebbe conforme a giustizia che una stessa frase, inserita in un atto giudiziario o ricorso amministrativo, non sia punibile come diffamatoria, mentre lo sarebbe solo perché inclusa in un esposto correttamente indirizzato all’autorità competente a promuovere il procedimento disciplinare e, quindi, preposta alla tutela di interessi pubblici.
2.4. Il quarto motivo denuncia violazione di legge penale sostanziale e processuale per inosservanza dei principi direttivi fissati nella sentenza di annullamento con rinvio della quinta sezione di questa Corte di cassazione, richiedente l’esame dei dati probatori già acquisiti, del tutto omesso nella generica motivazione adottata dal giudice del rinvio, al fine di verificare la possibile ricorrenza della causa di giustificazione prevista dall’art. 51 cod. pen. ovvero della causa di non punibilità di cui all’art. 598 dello stesso codice.

Considerato in diritto

1. Il primo e il quarto motivo del ricorso sono fondati.
1.1 La sentenza emessa nel giudizio di rinvio è, innanzitutto, giuridicamente errata, laddove respinge l’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza di condanna per diffamazione, poiché il ricorrente non avrebbe fornito la prova di avere legittimamente esercitato il suo diritto di critica dell’operato professionale della persona offesa.
Nell’ordinamento processuale penale, invero, non è previsto un onere di prova a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le cause di giustificazione, il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l’errore di fatto (Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, dep. 10/05/2013, Weng, Rv. 255916; conforme, tra le molte, con specifico riguardo all’Invocata applicazione di una causa di giustificazione: Sez. 1, n. 717 del 15/04/1988, dep. 21/01/1989, Zirafi, Rv. 180232).
La sentenza impugnata, inoltre, elude l’indicazione della pronuncia di annullamento a colmare la lacuna argomentativa in punto di eventuale ricorrenza della causa di giustificazione prevista dall’art. 51 cod. pen. o dall’art. 598 cod. pen., limitandosi al generico rilievo che l’imputato non avrebbe provato la verità dei fatti rappresentati nel suo esposto al Consiglio dell’Ordine in data 29 agosto 2007 ovvero la sua incolpevole convinzione della veridicità di quanto denunciato.
Al riguardo, dalla lettura della sentenza appellata si evince la produzione difensiva, fin dal primo grado del giudizio, degli atti pertinenti all’assistenza prestata al G. dall’avvocato C. nel processo civile richiamato nell’esposto del 29 agosto 2007, e l’acquisizione d’ufficio di copia degli atti presenti nel fascicolo iscritto presso il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Sulmona sulla base del medesimo esposto.
Proprio sulla ritenuta completezza di tale compendio documentale era fondata l’ordinanza del Giudice di pace che aveva respinto la richiesta di esame testimoniale, ex art. 507 cod. proc. pen., dell’avvocato Sc.Ro. , il quale, per primo, aveva qualificato il rapporto tra i due precedenti difensori del G. , entrambi richiedenti e beneficiari di decreti ingiuntivi nei confronti dell’impresa rappresentata dall’imputato per cospicue somme di denaro a titolo di onorari e spese, come un sodalizio finalizzato alla “collusione retribuiva”, espressione testualmente mutuata dal G. nell’esposto presentato al Consiglio dell’ordine.
La denuncia del ricorrente alla competente autorità disciplinare non era, pertanto, svestita e il giudice del rinvio, nel doveroso riesame del caso in funzione dell’accertamento dell’eventuale ricorrenza degli estremi della causa di giustificazione, non avrebbe dovuto omettere di valutare la documentazione prodotta e acquisita di ufficio, per stabilire se da essa emergessero elementi idonei a corroborare le censure esposte dal G. o, comunque, a determinare nell’imputato la convinzione di aver subito comportamenti professionali deontologicamente scorretti e meritevoli di essere sanzionati.
E questo in conformità della giurisprudenza richiamata nella stessa sentenza di annullamento, secondo la quale “l’esposto o segnalazione al competente Consiglio dell’ordine forense contenente accuse di condotte deontologicamente rilevanti, tenute da un professionista nei confronti del cliente denunciarne, costituisce esercizio di legittima tutela degli interessi di quest’ultimo, attraverso il diritto di critica, sub specie di esposto, di cui all’art. 51 cod. pen., per il quale valgono i limiti ad esso connaturati, occorrendo, in primo luogo, che le accuse abbiano un fondamento o, almeno, che l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente (ancorché erroneamente) convinto di quanto afferma; tali limiti, se rispettati, escludono la sussistenza del delitto di diffamazione” (Sez. 5, n. 28081 del 15/04/2011, dep. 15/07/2011, Tarante, Rv. 250406; conformi: n. 3565 del 2008, Rv. 238909).
L’omessa verifica, da parte del giudice del rinvio, dell’eventuale legittimo esercizio del diritto di critica dell’operato del professionista nell’esposto presentato dal G. al Consiglio dell’ordine, sulla base dell’erronea attribuzione all’imputato dell’onere probatorio della causa di giustificazione che sarebbe rimasto inadempiuto, integra quindi il vizio di motivazione denunciato col primo motivo nonché l’inosservanza dell’indicazione contenuta nella sentenza di annullamento, come da quarto motivo di ricorso, reiterando il già rilevato vizio del provvedimento annullato per mancato esame del compendio probatorio acquisito In funzione della possibile ricorrenza della causa di giustificazione o di non punibilità.
1.2. La fondatezza delle predette censure assorbe il secondo motivo con riguardo all’osservanza, nel caso di specie, dei limiti di continenza previsti per il legittimo esercizio, anche solo putativo, del diritto di critica ai sensi dell’art. 51, comma primo, o dell’art. 59, comma quarto, cod. pen., supponendo tale verifica l’esame delle risultanze probatorie illegittimamente omesso, come si è detto.
1.3. Patimenti fondato, infine, è il terzo motivo di ricorso, poiché il Tribunale ha anche trascurato di considerare l’eventuale ricorrenza della causa di non punibilità ex art. 598 cod. pen., pur richiamata come oggetto di doverosa verifica nella sentenza rescindente di questa Corte in data 4 ottobre 2012, sulla base dell’interpretazione estensiva della suddetta esimente nella più recente giurisprudenza di legittimità (c.f.r, sul punto, Sez. 5, n. 33453 del 08/07/2008, dep. 14/08/2008, Boschi Benedetti, Rv. 241393; Sez. 5, n. 44148 del 25/09/2008, dep. 26/11/2008, Santulli, Rv. 241806; Sez. 5, n. 19248 del 9/04/2013, dep. 3/05/2013, Russo, quest’ultima espressamente richiamata dal ricorrente).
2. Segue, a norma dell’art. 620, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata con la trasmissione degli atti allo stesso Tribunale di Sulmona diversamente composto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale monocratico di Sulmona in diversa composizione

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