cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 19 febbraio 2015, n. 7429

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI POTENZA;
nei confronti di:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 87/2014 TRIB. LIBERTA’ di POTENZA, del 30/07/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
sentite le conclusioni del PG Dott. F. Baldi, annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Potenza, con ordinanza del 30/7/2014 ha annullato il sequestro preventivo per equivalente disposto in data 1/7/2014 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale sui beni, fino all’ammontare di euro 3.492.333,00, nella disponibilita’ di (OMISSIS), indagato, quale legale rappresentante della ditta individuale ” (OMISSIS), dei reati di cui all’articolo 81 c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 10 bis e 10 ter.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 54 e 43 c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13, rilevando come erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto applicabile, nella fattispecie, la causa di giustificazione dello stato di necessita’, attribuendo rilievo ad una crisi di liquidita’ ritenuta non imputabile all’imprenditore ed escludendo cosi’ la sussistenza del dolo anche in relazione all’assenza di manovre dirette ad ingannare l’erario.
A tale proposito, richiamata la giurisprudenza di questa Corte a sostegno della dedotta inapplicabilita’ dell’articolo 54 c.p., nel caso in esame, rileva come dai contenuti di una istanza di dissequestro, depositata da uno dei difensori il 18/7/2014 e dalla consulenza aziendale allegata all’istanza, emergerebbe una diversa situazione, risultando la disponibilita’ di risorse idonee ad onorare il debito tributario e l’aggiudicazione di alcuni contratti di appalto gia’ stipulati con diversi soggetti, pubblici e privati.
Aggiunge che i giudici del riesame, pur facendo riferimento ad una articolata prova documentale, dimostrativa della condizione di crisi finanziaria, non ne avrebbe comunque indicato nel dettaglio i contenuti ed, inoltre, che la valorizzazione del riconoscimento dei debiti erariali e della rateizzazione concordata degli stessi si porrebbe in contrasto con altre emergenze documentali e, segnatamente, con una relazione della Guardia di Finanza dalla quale emergerebbe che la rateizzazione riguarderebbe solo alcune delle condotte contestate e l’accordo sarebbe intervenuto soltanto in un secondo tempo, non con l’Agenzia delle Entrate, ma con (OMISSIS), dopo l’iscrizione a ruolo delle somme non versate in mancanza di regolarizzazione nel termine prescritto.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
In data 19/1/2015 veniva recapitata via fax memoria con allegata documentazione finalizzata a dimostrare che il (OMISSIS) sta effettuando il pagamento di tutti i debiti con l’erario e on soltanto di una parte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato nei termini di seguito specificati.
Come ricordato dal Pubblico Ministero ricorrente, nel riconoscere la sussistenza dello stato di necessita’ e la mancanza del dolo, il Tribunale attribuisce sostanzialmente rilievo ad alcuni dati fattuali che lo stesso ricorrente indica nella crisi di liquidita’ determinata dal ritardo nei pagamenti da parte di soggetti istituzionali con cui la ditta ha in corso rapporti lavorativi; nella sostanziale ammissione dell’addebito sia in sede penale che tributaria unita alla volonta’ di provvedere la pagamento di quanto dovuto mediante gli strumenti dilatori previsti dalla legge; nel pagamento degli stipendi ai dipendenti; nel fatto che l’indagato e’ risultati disporre di un patrimonio personale del tutto esiguo rispetto all’ammontare delle somme dovute.
Tali elementi vengono valorizzati dai giudici del riesame attraverso una diffusa disamina della giurisprudenza di questa Corte, all’esito della quale si perviene alla decisione di escludere la sussistenza del dolo in ordine ai reati contestati.
2. Tanto premesso, vale la pena ricordare sommariamente quali siano le conclusioni tratte dalla giurisprudenza di questa Corte sul dibattuto tema della rilevanza della crisi di impresa nei reati tributari.
Le condotte sanzionate comportano, sostanzialmente, la indebita appropriazione di somme altrui di cui si ha la detenzione e tale evenienza, come pure si e’ ricordato ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale della disposizione in esame per asserito contrasto con l’articolo 3 Cost., (Sez. 3, n. 10120 del 1/12/2010 (dep.2011), Provenzale, Rv. 249753), rende del tutto irrilevanti eventuali difficolta’ economiche impreviste.
Per cio’ che concerne l’elemento soggettivo, questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che il reato e’ punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva (Sez. 3, n. 25875 del 26/5/2010, Olivieri, Rv. 248151. V. anche Sez. U, n. 37425 del 28/3/2013, Favellato, Rv. 255759).
La prova del dolo, secondo la citata pronuncia delle Sezioni Unite, e’ insita, in genere, nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonche’ i versamenti relativi.
Sempre nella medesima decisione, le Sezioni Unite hanno posto in evidenza il collegamento intercorrente tra il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute e l’erogazione degli emolumenti ai collaboratori, con la conseguenza che, quando queste ultime vengono effettuate dal sostituto d’imposta, insorge a suo carico un obbligo di accantonamento delle somme dovute all’Erario e di organizzazione, su scala annuale, delle risorse disponibili, in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
3. La questione e’ stata nuovamente affrontata da questa Corte dopo la pronuncia delle Sezioni Unite di cui si e’ appena detto.
Si e’ in particolare precisato che, nei casi quali quello in esame, la colpevolezza per il reato non puo’ essere esclusa deducendo la crisi di liquidita’ al momento della scadenza del termine per il versamento, quando non sia dimostrato anche che la situazione non sia conseguenza di una deliberata scelta di non far debitamente fronte all’esigenza di opportuna organizzazione al fine di adempimento dell’obbligo tributario (Sez. 3, n. 15416 del 8/1/2014, Tonti, non massimata).
In tale occasione si e’ anche affermato che ben potrebbero verificarsi casi in cui sia possibile invocare l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilita’ di adempiere all’obbligazione tributaria ed il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice del merito (e, come tale, insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato), ma si e’ anche aggiunto che sarebbe in ogni caso necessario l’assolvimento degli oneri di allegazione che, per cio’ che concerne la crisi di liquidita’, devono avere attinenza non soltanto all’aspetto della non imputabilita’ al sostituto di imposta della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche alla circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Segnatamente, e’ necessaria la prova che il contribuente non sia stato in grado, per cause indipendenti dalla sua volonta’, di reperire le necessarie risorse per l’adempimento dell’obbligo tributario nonostante abbia posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidita’, le somme necessarie (veniva richiamata, a tale proposito, Sez. 3, n. 5905 del 9 ottobre 2013, Maffei, non massimata).
Si precisava inoltre, nella medesima occasione, che deve escludersi la sussistenza della scriminante dello stato di necessita’ di cui all’articolo 54 c.p., quando le obbligazioni tributarie siano rimaste inadempiute per l’esigenza di far fronte, prioritariamente, alle obbligazioni di pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, in quanto la norma codicistica esclude la punibilita’ per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessita’ di salvare se’ o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona inteso quale lesione dei soli beni morali e materiali che costituiscono l’essenza stessa dell’essere umano, come la vita, l’integrita’ fisica (comprensiva del diritto alla salute), la liberta’ morale e sessuale, il nome, l’onore, ma non riferibile a quei beni che, pur essendo costituzionalmente rilevanti, contribuiscono al completamento ed allo sviluppo della persona umana, con la conseguenza che, pur dovendosi affermare che il diritto al lavoro e’ costituzionalmente garantito e che il lavoro contribuisce alla formazione ed allo sviluppo della persona umana, deve escludersi, comunque, che la sua perdita costituisca, in quanto tale, un danno grave alla persona sotto il profilo dell’articolo 54 c.p..
In altra decisione (Sez. 3, n. 20266 del 8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190), dopo aver richiamato le affermazioni del supremo organo nomofilattico ed i precedenti arresti di questa Sezione (Sez. 3, n. 15416 del 8/1/2014, Tonti, non massimata, cit.; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013 (dep. 2014), Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 37528 del 12/6/2013, Corliano’, Rv. 257683) sono state ritenute non rilevanti, ai fini dell’applicabilita’ della forza maggiore o dello stato di necessita’, le diverse ipotesi in cui si ritenga di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti per evitare licenziamenti, si sia dovuto pagare i debiti ai fornitori, pena il fallimento della societa’, ovvero si sia verificata la mancata riscossione di crediti vantati e documentati, spesso nei confronti dello Stato (v. anche, in tema di crisi di liquidita’, Sez. 3, n.24341 del 14/5/2014, Gentile; Sez. 3, n. 23532 del 14/5/2014, Bucchi; Sez. 3 n. 23531 del 14/5/2014, Ciardi; Sez. 3, n. 28459 del 29/5/2014, Lettieri; Sez. 3, n.19426 del 6/3/2014; Sez. 3, n. 13019 del 25/2/2014, non massimate).
Si rilevava, inoltre, che tale orientamento non si pone in contrasto con altre decisioni (Sez. 3, n. 10813 del 6/2/2014, Servida, non massimata; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013 (dep. 2014), Mercutello, Rv. 258055, cit.. V. anche Sez. 3, n. 3124 del 27/11/2013 (dep. 2014), Murari, Rv. 258842) nelle quali si ammette la possibilita’, in astratto, di casi – il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice del merito e come tale e’ insindacabile in sede di legittimita’, se congruamente motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilita’ di adempiere l’obbligazione tributaria, a condizione, pero’, che l’imputato dimostri che le difficolta’ finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non avrebbero potuto essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.
4. L’orientamento e’ stato confermato anche in successive pronunce (Sez. 3 n. 49214 del 6/11/2014, Marini, non massimata) osservando anche, con riferimento specifico alla forza maggiore, che il mero verificarsi di una situazione di crisi finanziaria non comporta automaticamente la sussistenza di una condizione riconducibile a quella contemplata dall’articolo 45 c.p., assumendo rilevanza le cause e la tempistica di una tale evenienza, nonche’ le scelte in concreto operate dal soggetto agente (Sez. 3 n. 51436 del 19/11/2014, Mele, non massimata).
5. Va poi rilevato che i principi ricordati non sono in contrasto con le decisioni che il Tribunale richiama a sostegno della propria decisione.
Della sentenza 5467/2014 si e’ gia’ detto in precedenza, mentre altra decisione (Sez. 3, n. 27676 del 8/4/2014, Buccilli, non massimata) e’ pervenuta all’annullamento della sentenza impugnata in ragione della totale mancanza di motivazione sull’esistenza dell’elemento psicologico del reato e sui relativi specifici motivi di impugnazione, senza affrontare direttamente la questione della incidenza della crisi dell’impresa sui reati oggetto di contestazione, limitandosi a richiamare precedenti pronunce sul tema.
Inoltre, la sentenza 23532/2014, citata in precedenza, non si discosta dai richiamati principi, mentre in quella n. 17024/14 (Sez. 3, n. 17124 del 18/3/2014, Devitini, non massimata), si rileva il vizio di motivazione in relazione alla omessa valutazione delle conseguenze di un sequestro conservativo o di tutti i beni mobili ed immobili riconducibili alla societa’ dell’imputato.
6. Va poi ricordato come, circa la valutazione sull’elemento soggettivo del reato nel giudizio di riesame, si sia ripetutamente affermato che il controllo demandato al giudice sulla concreta fondatezza dell’ipotesi accusatoria secondo il ricordato parametro del fumus del reato puo’ riguardare anche l’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purche’ di immediato rilievo (Sez. 6, n. 16153 del 6/2/2014, Di Salvo, Rv. 259337; Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008, (dep. 2009), Bedino, Rv. 242650; Sez. 4, n. 23944 del 21/5/2008, Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/5/2007, Chiarella, Rv. 236474. Si veda anche Corte Cost. ord. 157, 18 aprile 2007, menzionata in gran parte delle ricordate decisioni).
7. Tale evenienza non sembra essersi verificata nel caso di specie ed il Tribunale risulta aver fondato la propria decisione su presupposti errati.
In primo luogo deve ribadirsi quanto gia’ ricordato in precedenza in ordine alla applicabilita’ della causa di giustificazione dello stato di necessita’ ai reati tributari.
Nondimeno, sempre per le ragioni dianzi esposte, non puo’ escludersi che la assoluta impossibilita’ di adempiere il debito di imposta possa avere incidenza sull’elemento soggettivo del reato tributario, ma, nella fattispecie, l’onere di allegazione concernente sia il profilo della non imputabilita’ all’indagato della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilita’ di fronteggiare la crisi di liquidita’ tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto, richiesto dalla menzionata giurisprudenza, non sembra essere stato adeguatamente assolto, avendo il Tribunale valorizzato dati fattuali prospettati dalla difesa che non paiono, pero’, determinanti.
Il Tribunale attribuisce infatti rilievo, come si e’ gia’ detto, alla crisi di liquidita’, rilevando come la stessa sia conseguenza, in maniera prevalente, se non assoluta, del ritardo nei pagamenti da parte dei soggetti con cui la ditta aveva in corso rapporti lavorativi, ma l’inadempimento dei propri debitori e’ pero’ un’eventualita’ insita nel rischio di impresa e non puo’ ritenersi del tutto imprevedibile.
Il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, altro elemento ritenuto significativo, costituisce una precisa scelta dell’imprenditore, come peraltro riconosciuto dagli stessi giudici del riesame, i quali, richiamando le allegazioni difensive, ricordano che l’indagato “…ha preferito corrispondere le somme disponibili a favore dei propri dipendenti”.
8. Non risulta in ogni caso dimostrato, inoltre, l’ulteriore requisito, indicato anche dal Tribunale e ritenuto sussistente, dell’effettiva impossibilita’, per l’imprenditore, di fare altrimenti fronte alla crisi finanziaria.
Senza considerare quanto specificato dal Pubblico Ministero ricorrente, circa la presenza in atti di documenti che attesterebbero la disponibilita’ di risorse finanziarie in capo all’azienda, va osservato che il Tribunale sembra attribuire rilievo determinante alla circostanza, sempre dedotta dalla difesa, che l’indagato disporrebbe di un patrimonio personale del tutto esiguo e che le uniche risorse finanziarie, comunque inferiori a quelle necessarie per far fronte al debito tributario, sarebbero soltanto nella disponibilita’ dell’azienda.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una mera congettura, atteso che non risulta affatto dimostrato che l’indagato si sia effettivamente attivato per ovviare alla mancanza di risorse economiche ne’ che si sia attivato per organizzare quelle disponibili per onorare il debito con l’erario.
Cio’ che emerge dal provvedimento impugnato e’ soltanto la deliberata decisione di utilizzare le risorse a disposizione per le retribuzioni dei dipendenti, mentre non risulta che la crisi finanziaria fosse imprevista ed improvvisa, considerato anche che la stessa viene attribuita, in maniera quasi esclusiva, alla mancata riscossione di crediti e che sia stata posta in essere una qualsiasi attivita’ finalizzata a fronteggiarla, mentre non rileva il fatto che l’indagato non abbia arricchito il proprio patrimonio personale con le somme non versate all’erario, che sono state comunque sottratte alla loro originaria destinazione.
9. Anche per cio’ che attiene al successivo accordo con l’Erario, in disparte la circostanza, sempre addotta dal Pubblico Ministero ricorrente, che esso riguarderebbe una sola parte dei debiti, va rilevato che, come correttamente osservato in ricorso, costituirebbe comunque un fatto posteriore alla consumazione del reato che assume rilievo nei termini delineati dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13.
In definitiva, la ritenuta assenza dell’elemento soggettivo del reato oltre a non risultare di immediato rilievo, risulta fondata su presupposti che si pongono in evidente contrasto con i principi richiamati in precedenza.
L’ordinanza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio al Tribunale di Potenza per nuovo esame, in occasione del quale potra’ prendersi cognizione della documentazione prodotta con la memoria.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Potenza

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