Cassazione 6

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 14 marzo 2016, n. 4897

Svolgimento del processo

1. Nel 2002, il gen. De.An. convenne in giudizio i giornalisti C.M. e V.W. , il Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.a. ed il direttore responsabile del quotidiano Repubblica, M.E. , per ottenere il risarcimento del danno da violazione del diritto all’onore ed alla reputazione in relazione a due articoli pubblicati sullo stesso quotidiano del (omissis) – il primo, nell’edizione nazionale, a firma congiunta C. e V. , il secondo, nell’inserto il Lavoro della cronaca di Genova, a firma V. – nei quali si riportava (corredati da foto del De. ) la notizia dell’avvenuto trasferimento del medesimo dall’incarico di Comandante dei Carabinieri della Regione Liguria ad altro incarico, nel contesto degli aggiornamenti sull’indagine scaturita dalle note vicende occorse a Genova in occasione del vertice internazionale del G8.
Si costituirono in giudizio i convenuti eccependo, in via preliminare, la nullità dell’atto di citazione e in ogni caso l’inammissibilità o improcedibilità delle domande attore per l’assoluta indeterminatezza e genericità; il difetto di legittimazione passiva della giornalista V. quanto all’articolo pubblicato nella cronaca di Genova; il difetto di legittimazione passiva di entrambi i giornalisti con riferimento ai titoli e sottotitoli, alle fotografie, alle didascalie e agli altri elementi grafici degli articoli contestati; nel merito, evidenziando l’assoluta liceità degli articoli, frutto di una personale e legittima valutazione critica dei giornalisti della notizia relativa al trasferimento del gen. De. dal Comando dei Carabinieri di Genova al Comando della Legione Carabinieri Piemonte e Val d’Aosta.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 16685/2005, in accoglimento della domanda risarcitoria, condannò i convenuti in solido a corrispondere al gen. De. la somma di Euro 70.000 oltre interessi dalla pronuncia al saldo; condannò inoltre i due giornalisti al versamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 10.000 a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell’art. 12 L. 47/1948; respinse l’istanza di pubblicazione della sentenza; condannò i convenuti a rifondere al D. le spese legali.
Il Tribunale ritenne che la notizia del trasferimento del Generale ad altro incarico, ancorché effettivamente conforme al vero, fosse da reputarsi come diffamatoria, in quanto inserita nel contesto di articoli concernenti i fatti del G8 e dunque indebitamente accostata ad altri trasferimenti di funzionari apicali della polizia di Genova, originati, diversamente da quello del D. , dalle note vicende degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine avvenute in occasione del vertice internazionale; che quindi il fatto di non aver riferito che il trasferimento era stato accordato su domanda avanzata precedentemente, in uno all’accostamento suggestionante con lo scandalo dei disordini del G8, erano idonei a conferire alla notizia valenza diffamatoria, non risultando peraltro sussistente la scriminante del diritto di cronaca neppure sul piano putativo.
2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1620 del 26 marzo 2012. La Corte ha ritenuto, a differenza del giudice di prime cure, che gli articoli in questione, riportando tra loro frammiste notizie di cronaca e valutazioni critiche (tali dovendo in particolare ritenersi quelle secondo cui l’avvicendamento al vertice dei Carabinieri potesse essere correlato ai riportati avvenimenti di cronaca), dovevano essere inquadrati nell’alveo del diritto di critica e più in particolare nell’ambito del tema dello sviluppo critico della notizia di cronaca; che, quindi, il riferimento al criterio della verità obiettiva del fatto fosse del tutto fuor di luogo, in quanto pertinente all’analisi dei diversi limiti di legittimità del diritto di cronaca. E che, nel caso di espressione di un’opinione critica, la verità dei fatti presupposti non deve essere necessariamente obiettiva, ma può anche rientrare in un ambito putativo, purché fondato su un serio e scrupoloso giudizio di verosimiglianza, che nella prospettazione soggettiva del dichiarante sia ancorato a dati verificabili; che rientra nel diritto di critica la possibilità di sviluppare i dati a propria disposizione ricavandone ragionevole ipotesi ed anche riconducendoli a molteplici causali; che, alla luce di tali parametri interpretativi, l’accostamento della notizia del trasferimento del De. ai fatti del G8 di Genova appariva legittima espressione del diritto di critica, costituendo un ragionevole sviluppo di coevi episodi di cronaca (i tumultuosi avvenimenti di quel particolare contesto temporale, oggetto di inchieste giudiziarie e financo di un’interpellanza parlamentare sull’operato delle Forze dell’Ordine). Che, alla luce delle considerazioni su indicate, appariva ragionevolmente inesigibile e superflua un’ulteriore indagine sulle cause del trasferimento, non essendovi elementi equivoci o ragioni sospetto per dubitare del collegamento causale tra tale trasferimento ed i noti fatti di cronaca. Pertanto, quantomeno sotto il profilo putativo sussisteva la scriminante dell’esercizio del diritto di critica.
3. Avverso tale decisione, propongono ricorso in Cassazione gli eredi del gen. De.An. , sulla base di quattro motivi.
3.1 Resistono con controricorso i signori C.M. , V.W. , M.E. ed il Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.a..

Motivi della decisione

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 Cost. e 51 C.p. e/o comunque insufficiente ed illogica motivazione e/o omesso esame di un punto decisivo della controversia nell’essersi ritenuta critica quella che in realtà era semplice cronaca”.
Dalla motivazione, non sarebbe dato comprendere da dove la Corte di merito abbia ritenuto di poter ricavare che il collegamento con i fatti del G8 fosse percepibile dal lettore come mera opinione degli autori, né il criterio utilizzato per distinguere la cronaca dalla critica.
Al contrario, la correlazione tra il trasferimento del generale ed i fatti del G8 verrebbe presentata come vera, il che escluderebbe la configurabilità dell’esimente del diritto di critica.
Le modalità di presentazione del supposto collegamento ai fatti del G8, in termini assertori e non dubitativi, costituirebbero un fatto, oggetto di discussione tra le parti, sicuramente decisivo della controversia, che la Corte di merito non avrebbe considerato.
4.2. Con il secondo motivo, denunciano la “violazione dell’art. 112 c.p.c. e/o dell’art. 329 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 Cost. 51 c.p. o e/o comunque insufficiente e/o illogica motivazione ed omesso esame circa fatti decisivi della controversia, per essersi ritenuto che l’unica notizia riguardante il Gen. De. fosse vera”.
La Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che la notizia del trasferimento del De. , nei termini in cui è stata riportata, fosse vera. Infatti, il giornale avrebbe taciuto sulla circostanza essenziale che il Generale era stato promosso ad un nuovo e più prestigioso incarico, già assegnatogli prima del G8, ed avrebbe riportato le notizie false che lo stesso Generale fosse stato mandato a Torino “a disposizione” (senza alcun incarico), quando, in realtà, egli era stato assegnato al comando, e che la notizia del trasferimento sarebbe giunta “all’improvviso” e sarebbe stata “sorprendente” dato che prima del vertice internazionale “il generale sembrava destinato a restare come minimo un altro anno a Genova”, quando in realtà il trasferimento era stato programmato in data anteriore al vertice internazionale ed era assolutamente prevedibile, rientrando in una prassi consolidata del Comando Generale dell’Arma.
Di conseguenza, la notizia del trasferimento, così come prospettata, costituiva una notizia falsa, in quanto portava ad un totale stravolgimento dei fatti, al punto da far apparire una punizione quella che realtà era una promozione.
La Corte di Appello, non considerando i fatti, lamentati dall’attore sin dal primo grado, che negli articoli fosse stato taciuto nuovo incarico di maggior prestigio e si fosse falsamente affermata l’assenza di un qualsivoglia incarico, avrebbe omesso di pronunciare su tutta la domanda ed avrebbe, in maniera del tutto apodittica affermato che la notizia (ritenuta costituita dal solo trasferimento e non anche dalla sua correlazione al G8) fosse indiscutibilmente ed incontestatamente vera.
Così facendo, avrebbe ulteriormente violato l’art. 112 c.p.c. per pronuncia ultrapetita e l’art. 329, secondo comma, c.p.c. in quanto la falsità parziale della notizia era già stata rilevata dal Tribunale e non era stata oggetto di alcuna specifica censura dell’appello avversario.
Ogni caso, la motivazione della sentenza impugnata, che non prenderebbe in considerazione le suddette circostanza, risulterebbe viziata per insufficienza ed illogicità.
Le stesse circostanze costituirebbero fatti sicuramente rilevanti per la decisione su cui la Corte di Appello non avrebbe speso neppure una parola.
4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 Cost. e 51 c.p. nell’essersi dato rilievo ad una ritenuta verosimiglianza”.
Non sarebbero rispettosi dei principi enunciati in proposito delle norme indicate gli assunti della Corte di Appello secondo cui non sarebbe stata necessaria alcuna attività di verifica della notizia da parte dei giornalisti, non essendovi motivo di dubitare della loro congettura.
4.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la “insussistenza di una qualsivoglia verosimiglianza ed omessa considerazione del nuovo incarico, decisivo anche a tal proposito”.
L’omessa considerazione del fatto che il generale fosse stato promosso ad un nuovo e più prestigioso incarico avrebbe portato la Corte di merito a formulare un erroneo giudizio di ragionevolezza e verosimiglianza del collegamento del trasferimento ai fatti del G8.
I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione e sono tutti fondati.
Va premesso che il diritto di cronaca e il diritto di critica, espressione entrambi della libera manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelata, presentano differenze che si riflettono sui limiti della scriminante.
Il diritto di cronaca si concretizza nell’esposizione di fatti che presentano interesse per la generalità, allo scopo di informare i lettori. Il diritto di critica, diversamente, consiste nell’apprezzamento e nella valutazione di fatti, nell’espressione di un consenso o di un dissenso rispetto ad una certa analisi.
Queste differenze si riflettono sulle condizioni che legittimano l’esercizio dei rispettivi diritti.
Per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, la giurisprudenza ha individuato tre condizioni: a) la verità della notizia pubblicata; b) l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); c) la correttezza formale nell’esposizione (c.d. continenza) (cfr., per es., Cass. 25 maggio 2000, n. 6877; Cass. 4 luglio 1997, n. 41; Cass. 5 maggio 1995, n. 54871).
La critica, proprio in quanto consiste nella manifestazione di un’opinione, non può che essere soggettiva e corrispondente al punto di vista di chi la esprime. Conseguentemente i giudizi critici non possono essere suscettibili di valutazioni che pretendano di ricondurli a verità oggettiva (cfr., per es., Cass. n. 659/1996; Cass. pen., n. 6493/1993; Cass. pen. n. 11211/1993; Cass. pen., n. 935/1999; Cass. pen. n. 3477/2000). Inoltre, il diritto di esprimere dissensi può comportare che la contrapposizione di idee si manifesti anche in modo aspro, in relazione a fatti compiuti o a giudizi espressi da altri (cfr. Cass. n. 54871/1995).
Peraltro, anche nella valutazione dell’esercizio del diritto di critica giornalistica, pur dovendosi riconoscere limiti più ampi rispetto a quelli fissati per il diritto di cronaca, deve ricercarsi un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con l’interesse a che non siano introdotte limitazioni alla formazione del pensiero costituzionalmente garantita. Questo bilanciamento viene operato dalla giurisprudenza di legittimità prevedendo per il legittimo esercizio del diritto di critica, oltre alla sussistenza della rilevanza sociale dell’argomento, la correttezza di espressione (v. per es. Cass. pen. n. 6548/1998; Cass. pen. n. 935/1999; Cass. pen. n. 3477/2000), la quale impone che la critica si esprima in termini formalmente misurati, e in modo tale da non trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire sul piano morale la figura del soggetto criticato (Cass. n. 13685/2001; Cass. pen. n. 3477/2000).
La distinzione sopra fatta tra diritto di critica e diritto di cronaca è schematica, poiché nella pratica si verifica che la esposizione di fatti determinati (cronaca) sia resa insieme alle opinioni (critica) di chi la compie, in modo da costituire allo stesso tempo esercizio di cronaca e di critica. In questi casi, in relazione a ciascun contenuto espressivo vanno applicati i corrispondenti e diversi limiti scriminanti che sono propri della cronaca e della critica (Cass. civ. n. 11470/2004). A meno che l’interprete non ritenga, con congrua motivazione, che l’articolo, valutato nel suo complesso, sia prevalentemente e significativamente esercizio del diritto di cronaca o di critica, accordando conseguentemente rilievo all’una o all’altra scriminante (v. per es. Cass. pen. n. 6493/1993).
Enunciati i tratti distintivi del diritto di cronaca e di quello di critica, può passarsi ad esaminare i motivi di censura che – muovendo dalla denuncia di errato inquadramento della fattispecie nell’esercizio del diritto di critica, anziché in quello di cronaca – evidenziano una serie di contraddizioni e omissioni nel percorso motivazionale che testimoniano l’errore in cui è incorsa la Corte di appello.
Al riguardo, si osserva che lo stabilire se con riferimento ad uno specifico articolo si versi nella cronaca o nella critica è un’attività di qualificazione di fatti e costituisce dunque un giudizio di merito, non censurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (Cass. n. 841/2015; Cass. n. 11470/2004).
Tuttavia, dall’esame della sentenza impugnata, non è possibile desumere l’iter logico che ha portato la Corte a qualificare le notizie riguardanti il gen. De. (ad eccezione di quella relativa al suo trasferimento) come valutazioni critiche dei giornalisti.
Infatti, nella motivazione, non si fa riferimento ad alcun indice in grado di indicare che le affermazioni riportate negli articoli, nel contesto di notizie di cronaca, fossero espressione di opinioni personali o supposizioni da parte degli autori dei medesimi articoli.
Di conseguenza, la motivazione della sentenza appare effettivamente carente laddove si limita ad affermare che “diversamente dall’impostazione giuridica operata in primo grado, gli articoli devono essere inquadrati nell’alveo del diritto di critica e più in particolare nell’ambito del tema dello sviluppo critico della notizia di cronaca”.
Ma è anche contraddittoria e viola i principi sopra esposti, laddove, per un verso, dà atto che “il giornalista avrebbe potuto ulteriormente verificare il dato…” e per altro verso, finisce per ritenere che non fosse necessaria alcuna attività di verifica, non essendovi elementi equivoci o ragioni di sospetto per dubitare del collegamento causale tra il trasferimento del generale ed i noti fatti di cronaca.
È in tale contraddizione (che si traduce anche nell’omessa considerazione delle reali ragioni del trasferimento) che emerge il reale vulnus della sentenza impugnata che, confondendo e sovrapponendo diritto di cronaca e diritto di critica, finisce per non verificare l’effettivo rispetto dei limiti dell’uno e/o dell’altro, implausibilmente riconducendo il (suggestivo) accostamento di notizie che si ponevano su piani diversi all’esercizio del diritto di critica.
5. Il ricorso va accolto nei termini innanzi precisati; di conseguenza la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che, nei limiti dei motivi di appello, valuterà nuovamente la vicenda, adeguandosi ai principi sopra esposti nella verifica della reclamata esimente.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche alla statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

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