Il pagamento in contanti, pur se registrato nella contabilità, è un mezzo anomalo e non tracciabile e dunque indizio della priva di fittizietà
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 6 ottobre 2016, n. 42074
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/01/2015 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS) in sost. Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 gennaio 2015, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Lucca, con la quale (OMISSIS) era stato condannato in relazione ai delitti di cui al Decreto Legislativo 3 marzo 2000, n. 74, articolo 2, in relazione agli anni di imposta 2005-2006, commessi il (OMISSIS).
In particolare, il giudice di secondo grado ha confermato la solidita’ del compendio probatorio posto a base della sentenza di primo grado secondo cui il ricorrente, quale legale rappresentante della societa’ (OMISSIS) Srl, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva indicato, nelle dichiarazioni annuali, elementi passivi fittizi pari a Euro 330.820,00 per l’anno d’imposta 2005, e a Euro 295.000,00 per l’anno d’imposta 2006, e cio’ avvalendosi di numerose fatture, dettagliatamente indicate nei capi d’imputazioni, emesse dalle ditte individuali di (OMISSIS) e (OMISSIS), relative operazioni inesistenti, sul rilievo che l’inesistenza dell’operazione era provata, come risultante dalla documentazione acquisita e dall’esame dei testi, dalla circostanza che gli emittenti non avevano mai versato imposte, non avevano strumenti o mezzi per portarsi sul luogo di lavoro, avevano emesso fatture per un importo inconciliabile, per volume d’affari, con la struttura dell’organizzazione aziendale, i contratti prodotti non davano alcun riscontro dell’effettiva fatturazione ed erano privi di data certa, le movimentazioni bancarie sui conti correnti e i libretti bancari risultavano irrisorie, mentre gran parte di pagamenti erano, asseritamente, eseguiti in contanti.
La Corte territoriale ha, poi, disatteso le censure svolte nei motivi d’appello secondo sarebbero inutilizzabili nel confronti del ricorrente i risultati del verbale di contestazione redatto dalla Guardia di Finanza nei confronti del (OMISSIS), e, quanto alla fittizieta’ delle operazioni sottese alla fatture, la censura secondo cui i contratti, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale attestavano l’affettiva collaborazione, e i pagamenti risultavano effettuati per come risultava dalle scritture contabili.
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione della legge processuale in relazione all’articolo 234 c.p.p. e articolo 220 disp. att. c.p.p.. La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto acquisibile e utilizzabile il processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza, redatto in occasione della verifica fiscale di terzi (ditta (OMISSIS)) e, con la sua utilizzazione nei confronti del ricorrente, avrebbe violato il disposto di legge secondo cui qualora del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalita’ previste dall’articolo 220 disp. att. giacche’, altrimenti, la parte del documento redatto successivamente all’emersione degli indizi di reita’, non potrebbe avere efficacia probatoria e non potrebbe essere utilizzabile nei confronti del terzo. La corte avrebbe omesso di considerare che, durante gli accertamenti in occasione della verifica fiscale effettuata nei confronti del (OMISSIS), erano emersi indizi di reita’ a carico del ricorrente, sicche’ le successive attivita’ avrebbero dovuto svolgersi secondo le garanzie specificatamente previste dall’articolo 220 disp. att. c.p.p.. Nel caso di specie dagli atti ispettivi erano certamente emersi indizi di reato a carico del prevenuto, tant’e’ che era scaturito l’odierno procedimento penale, sicche’, il giudice di primo grado, non avrebbe dovuto ritenere inutilizzabile il documento per sopperire alla evidente lacuna probatoria sottesa all’impianto accusatorio, che il giudice d’appello ha fatto proprio.
La Corte d’appello avrebbe, reiteratamente, violato le norme citate, non avendo scisso tra parte del documento legittimamente acquisibile al fascicolo del dibattimento, e percio’ utilizzabile, dalla parte afferente agli atti successivi al sorgere indizi di reita’, che come tali dovevano essere corredati dal rispetto delle norme poste a presidio del diritto di difesa, sicche’ il verbale di contestazione redatto in occasione non potrebbe essere utilizzabile nei confronti del ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per travisamento della prova. La sentenza impugnata avrebbe argomentato la prova della sussistenza della fittizieta’ delle operazioni dal fatto che i contratti di collaborazione intercorsi tra le parti sarebbero privi data certa, risultando tale dato incontestabilmente provato in atti. Nessun dubbio vi sarebbe sulla sussistenza del denunciato vizio, posto che il giudici di appello avrebbero confermato la pacifica incontrovertibile sussistenza del fatto decisivo, ovvero l’assenza di indicazione della data di stipulazione e della durata temporale dei relativi contratti, in realta’ sussistente. Il giudice avrebbe operato un travisamento della prova ritenendo che la data dei contratti prodotti non fosse certa, risultando invero, dalle emergenze processuali il contrario. Dunque, avrebbe tratto dalla prova documentale un dato (l’assenza di data certa) che essa non dimostra, integrando cosi’ il vizio di travisamento della prova, vizio che, nel caso in esame, si appalesa elemento decisivo nel percorso motivazionale attraverso cui e’ stata fermata la sussistenza del reato. Il giudice sarebbe nuovamente incorso nel vizio di travisamento della prova con riguardo alla valenza probatoria al pagamento in contanti. In questo caso la corte territoriale, da un fatto pacifico e incontestabilmente certo, l’avvenuto pagamento di ingenti importi registrati nella contabilita’ come pagamenti in contanti, avrebbe dedotto la fittizieta’ dei pagamenti, ignorando le risultanze processuali che dimostravano, appunto, la registrazione del pagamento in contanti nelle scritture contabili, cosi’ giungendo ad una conclusione di senso contrario, ovvero quella di ritenere il mancato pagamento.
3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4.11 primo motivo di ricorso e’ generico, il secondo manifestamente infondato. In definitiva, il ricorso e’ inammissibile.
4.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte il processo verbale di constatazione rientra nella categoria dei documenti extraprocessuali ricognitivi di natura amministrativa e puo’, quindi, essere acquisito ex articolo 234 c.p.p.. Non e’ infatti un atto processuale poiche’ non e’ previsto dal codice di rito o dalle norme di attuazione (articolo 207); ne’ puo’ essere qualificato quale “particolare modalita’ di inoltro della notizia di reato” (articolo 221 disp. att.), in quanto i connotati di quest’ultima sono diversi (Sez. 3, n. 4432 del 10.4.1997, Cosentini, Rv. 208030).
Correttamente pertanto i giudici di merito hanno acquisito i processi verbali di constatazione redatti dalla G.d.F., quali documenti acquisiti al dibattimento ex articolo 234 c.p.p. e come tali utilizzabili per la decisione anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale, acquisizione rispetto alla quale la difesa nulla aveva eccepito, come evincibile dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado.
E’, peraltro, indubbio che, a norma dell’articolo 220 disp. att. c.p.p., quando nel corso di attivita’ ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice.
Dunque, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale; tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalita’ previste dall’articolo 220 disp. att., giacche’ altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non puo’ assumere efficacia probatoria e, quindi, non e’ utilizzabile (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Fiorillo, Rv. 246599; Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, Ceragioli, Rv. 242523).
Ne consegue che la parte di documento compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed e’ utilizzabile, mentre non e’ tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. Difatti, il presupposto per l’operativita’ dell’articolo 220 disp. att. c.p.p., cui segue il sorgere dell’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale, e’ costituito dalla sussistenza della mera possibilita’ di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Fiorillo, Rv. 246599). Sez. Un., 28.11.2004, n. 45477, Raineri, m. 220291; Sez. 2, 13.12.2005, n. 2601, Cacace, m. 233330).
4.2. Cio’ posto, il ricorrente si e’ limitato ad una generica contestazione in ordine alla acquisibilita’ dei verbali di constatazione, senza precisare quali parti di detti verbali siano state redatte dopo l’insorgere degli indizi di reato, ne’ ha indicato il momento nel quale sarebbero sorti gli indizi di reita’, cosi’ come non risulta (non essendo stato neppure dedotto) che tali parti siano state utilizzate a fini probatori.
E’ pacifico, invero, che le deduzioni debbano essere specifiche, altrimenti si versa nella genericita’, con conseguente inammissibilita’ del motivo.
Infine, neppure e’ stata dedotta la rilevanza, sull’economia della decisione, dei verbali di constatazione nella parte eventualmente inutilizzabile. La “prova di resistenza” deve, comunque ritenersi ampiamente superata, sol che si consideri che furono sentiti i militari della Guardia di Finanza e i funzionari dell’Agenzia delle Entrate, vennero svolte indagini bancarie nei confronti del (OMISSIS), oltre alle documentazione (contratti di collaborazione e scritture contabili).
L’aspecificita’ del motivo conduce alla declaratoria di inammissibilita’ ex articoli 581 e 591 c.p.p..
5. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo con cui deduce il travisamento della prova.
5.1. In primo luogo, e’ affermazione costante nella giurisprudenza la necessita’, per il principio di autosufficienza del ricorso, di un’integrale allegazione mediante riproduzione integrale dei verbali di prova e/documenti su cui si fonda il vizio denunciato. Sul punto va ricordato preliminarmente che, in tema di travisamento della prova, per orientamento progressivamente consolidatosi, la Corte ritiene che l’esame dell’eccezione presuppone l’autosufficienza del ricorso e che pertanto e’ onere del ricorrente provvedere alla trascrizione in ricorso dell’integrale contenuto degli atti travisati, nei limiti di quanto gia’ dedotto, perche’ di essi e’ precluso al giudice di legittimita’ l’esame diretto, a meno che il fumus del vizio non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso medesimo (ex multis tra le piu’ recenti Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009, Bouyahia, Rv 243225; Sez. 4, n. 37982 del 24/06/2008, Buzi, Rv 241023; Sez. 1, n. 16706 del 18/03/2008, Falcone, Rv 240123). Piu’ di recente la Corte ha peraltro precisato che l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) pone a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca “individuazione” e di specifica “rappresentazione” degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere che puo’ essere assolto nelle forme di volta in volta piu’ adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice, ecc.) (Sez. 4, n. 3360 del 16/12/2009, Mutti, Rv 246499), atteso che la mancata riproduzione integrale dell’atto probatorio non poteva consentire una puntuale valutazione del motivo del ricorso (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, p.c. in proc. Gagliardo, Rv 241449).
5.2. Quanto all’essenza del vizio deducibile in sede di legittimita’, con orientamento altrettanto consolidato – anche dopo le modifiche apportate all’articolo 606 c.p.p., lettera e), dalla L. n. 46 del 2006 – la Corte ha precisato che essa consiste non gia’ nell’errata interpretazione della prova, ma nella palese difformita’ tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione dovendo avere il carattere di decisivita’ del fatto travisato. Di fatti la decisivita’ dell’elemento di prova travisato ricorre allorche’ valutata in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilita’ che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652).
5.3. Nel caso in esame, il ricorrente non ha assolto all’onere di allegazione, non avendo prodotto i contratti la cui prova della data assume travisata dai giudici del merito, ne’ ha argomentato la decisivita’ della stessa ai fini della prova della fittizieta’ delle operazioni sottese alle fatture contestate la cui prova, peraltro, risulta da un complesso di elementi probatori idonei a sorreggere la prova di resistenza (vedi par. 4.2.).
Alcun vizio di motivazione puo’ ravvisarsi con riferimento al profilo della prova della fittizieta’ del pagamento argomentata dalla Corte d’appello, anche, dalla circostanza che erano stati registrati in contabilita’ pagamenti in contanti. Il mezzo di pagamento in contanti, unitamente al complessivo materiale probatorio, costituiva ulteriore elemento a riscontro della fittizieta’ dell’operazione. Orbene, equivoca il ricorrente laddove argomenta che la corte avrebbe ritenuto provata la fittizieta’ dell’operazione pur in presenza di un pagamento (in contanti), laddove, risulta che la corte territoriale ha dato rilievo “al mezzo di pagamento in contanti”, pur registrato nella contabilita’, quale mezzo anomalo non tracciabile e lo ha ritenuto indizio di prova della fittizieta’. Motivazione congrua e immune di censure di illogicita’.
6.Infine, rileva il Collegio, che il ricorrente, nella parte finale del ricorso, lamenta l’eccessivita’ della pena inflitta e l’assenza di un’autonoma valutazione dal parte del giudice dell’impugnazione sulla determinazione della pena. Pur non essendo proposta la censura quale autonomo motivo di ricorso, la doglianza si appalesa del tutto generica e, come tale, inammissibile.
7. Il Collegio rileva che la prescrizione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, commessa il (OMISSIS), e’ maturata al 4 marzo 2015 (pari ad anni sette e mesi sei ex articoli 157 e 161 c.p.p.), in epoca successiva alla deliberazione della sentenza impugnata pronunciata il 16/01/2015.
Peraltro va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni), cosicche’ e’ preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119).
Quanto alla contestazione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, commessa il (OMISSIS), osserva la Corte che non e’ rilevabile l’ufficio l’intervenuta prescrizione del reato maturata al 25/04/2014, prima della pronuncia in grado di appello, perche’ non dedotta ne’ eccepita in presenza di ricorso per cassazione inammissibile (S.U. n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv 266818).
8. Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso consegue l’obbligo del pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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