Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 26 novembre 2015, n. 24150
Ritenuto in fatto
1. – È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Trento, depositata l’11 agosto 2010 e notificata il 18 dicembre 2010, che ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Trento, sezione distaccata di Cles, nel giudizio avente ad oggetto la divisione dei beni che costituivano la massa ereditaria di D.T.G..
1.1. – Il giudizio di primo grado era stato introdotto da D.T.M.C. nei confronti dei fratelli D.T.M. , R. , F. , Al. e F. , nonché nei confronti di D.T.O. , S. e La. , figli del premorto fratello Luigi, affinchè, previa formazione della massa ereditaria con collazione dei beni immobili oggetto di donazione eX riduzione degli atti lesivi del diritto di essa attrice, fosse accertata la quota disponibile in capo al de cuius, e ordinata la divisione.
Si erano costituiti, con separati atti, D.T.M. e F., i quali avevano proposto eccezioni e domande riconvenzionali. L’attrice aveva prodotto atto rinuncia all’eredità dei fratelli Da.To.Fe. e R., e dei nipoti D.T.S., La. e O..
1.2. – Il Tribunale aveva accolto le domande dell’attrice e proceduto alla divisione, ritenuta l’inammissibilità ovvero l’infondatezza delle domande riconvenzionali.
1.2.1 – Il patrimonio ereditario – determinato considerando i beni relitti al momento dell’apertura della successione e aggiungendo a quelli il valore della proprietà piena dei beni immobili donati – era stato valutato in Euro 415.280,12; la quota disponibile, pari ad un terzo dell’asse ereditario, in Euro 138.426,71, e la quota di riserva di ciascuno dei quattro eredi che avevano accettato l’eredità in Euro 69.213,35.
Il Tribunale aveva accertato la lesione della quota di riserva dell’attrice, ed aveva quindi proceduto all’assegnazione alla stessa di alcuni fondi non assegnati dal testatore e alla riduzione delle donazioni ricevute dai convenuti, per l’importo complessivo di Euro 64.971,13, di cui Euro 40.347,07 a carico di D.T.M. ed Euro 24.624,00 a carico di D.T.F. , oltre accessori di legge.
1.3. – La sentenza era impugnata, con distinti atti di appello, da Da.To.Al., rimasto contumace in primo grado, e da D.T.M. . L’appellata D.T.M.C. proponeva appello incidentale. Tutti i gravami contestavano, sotto diversi profili, l’erronea formazione della massa.
2. – La Corte d’appello, dopo aver disposto la rinnovazione della CTU, accoglieva i gravami riguardo alla determinazione della massa ereditaria e delle quote spettanti a ciascun coerede, che il Tribunale aveva erroneamente determinato senza considerare, tra i beni relitti, il danaro giacente sul conto corrente intestato al de cuius e al figlio M. , e comunque facendo riferimento alla quota spettante ai coeredi legittimari, anziché alla quota a ciascuno spettante in base alla successione legittima.
2.1. – La Corte distrettuale confermava, invece, la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva qualificato come domanda riconvenzionale la richiesta – formulata da D.T.M. soltanto alla prima udienza, e quindi tardivamente – di dedurre dalla massa ereditaria le spese sostenute e i miglioramenti e le addizioni apportate sui beni che il de cuius gli aveva donato, sia prima sia dopo la stipula degli atti di liberalità. Non era pertinente, inoltre, il richiamo all’art. 748 cod. civ. dal momento che la donazione a favore di D.T.M. aveva riguardato la nuda proprietà dell’immobile e mancava la prova che il donatario avesse conseguito, il possesso o comunque il godimento del bene, con la conseguenza che, in qualità di nudo proprietario, l’appellante non aveva titolo per pretendere il rimborso di spese e miglioramenti, mentre era tardivo il riferimento alla qualità di affittuario.
2.2. – Era altresì confermato il rigetto dell’eccezione di inefficacia della rinuncia all’eredità dei fratelli R. e Fe. e dei nipoti ex fratre S., La. ed O., sollevata da D.T.M. sull’assunto che i predetti avevano percepito danaro proveniente dall’eredità prima della rinuncia.
2.3. – La Corte distrettuale rideterminava, quindi, il valore dell’asse ereditario all’attualità in Euro 523.510,39, il valore della quota spettante a ciascuno dei coeredi in Euro 130.877,60, procedeva alla divisione dei beni non assegnati dal de cuius secondo il progetto del CTU che le parti non avevano contestato, quantificava il conguaglio dovuto da D.T.M. ai fratelli M.C. e Al. in Euro 196.553,95, e quello dovuto da D.T.F. in Euro 53.736,54, di cui Euro 128.715,20 spettanti ad Al. ed Euro 121.575,31 a M.C. .
La stessa Corte dava atto che D.T.F. aveva corrisposto la quota proporzionale di conguaglio dovuta ad A. , e condannava D.T.F. e M. al pagamento dei rimanenti conguagli.
3. – Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso, in qualità di eredi di D.T.M. , D.C. , D.T.E. , A. e L. , sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso Da.To.Al. , che ha proposto ricorso incidentale condizionato; sono rimasti intimati K.A. – erede di D.T.F. -, D.T.R., Da.To.Fe., D.T.S., Da.To.La. e D.T.O..
In data 10 marzo 2015 D.T.M.C. ha depositato memoria di costituzione in giudizio.
In data 8 ottobre 2015 è stato depositato atto di rinuncia del ricorso nei confronti di D.T.A., con contestuale accettazione.
Considerato in diritto
1. – Preliminarmente si deve rilevare l’irritualità della costituzione in giudizio di D.T.M.C. , la quale ha depositato comparsa di costituzione, priva di procura notarile, in data 10 marzo 2015.
1.1. – Ancora in via preliminare si rileva la mancanza di prova della notificazione del ricorso ai sigg. D.T.S. , D.T.L. e D.T.O. , già contumaci e che hanno rinunciato all’eredità. Come risulta dalla sentenza d’appello, alla prima udienza di comparizione D.T.M.C. aveva prodotto verbale di rinuncia all’eredità da parte di D.T.R. , Da.To.Fe. , D.T.O. , D.T.S. e Da.To.La. .
La questione della efficacia della rinuncia all’eredità è stata oggetto di esame da parte sia del Tribunale sia della Corte d’appello, in quanto contestata da D.T.M. . I giudici di entrambi i gradi del merito hanno disatteso le contestazioni, ritenendo efficace la rinuncia, e poiché nell’odierno ricorso la decisione sul punto non è oggetto di censura, si deve ritenere che la stessa non sia ulteriormente controvertibile.
L’estraneità dei rinuncianti D.T.O. , D.T.S. e Da.To.La. alla materia del contendere rende priva di qualsiasi utilità la regolarizzazione del contraddittorio nei loro confronti, con la conseguenza che si deve riconoscere prevalenza al principio di economia dei mezzi processuali e della ragionevole durata sull’esigenza di regolarità formale del processo (ex plurimis, Cass., Sez. u, sentenza n. 26373 del 2008).
2. – Ancora in via preliminare, deve essere dichiarata l’estinzione parziale del giudizio di cassazione, a seguito di per rinuncia dei ricorrenti nei confronti di Da.To.Al. e contestuale accettazione, come da atto depositato in data 8 ottobre 2015, sottoscritto dalle parti personalmente. Il ricorso incidentale condizionato proposto da Da.To.Al. rimane, evidentemente, assorbito nella pronuncia processuale.
3. – Il ricorso risulta pertanto circoscritto, soggettivamente, alla posizione degli intimati D.T.M.C. e K.A. , e, nel contenuto, ai primi due motivi, essendo venuto meno l’oggetto del terzo motivo, imperniato sul contrasto tra le posizioni dei ricorrenti e quella di D.T.A. .
3.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 713, 748 e 936 cod. civ., 99, 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione.
3.1.1. – Si assume in primo luogo l’erroneità dell’affermazione della Corte d’appello, secondo cui “costruzioni e migliorie” asseritamente realizzate da D.T.M. su immobili solo successivamente ricevuti in donazione dal padre costituivano un credito nei confronti del de cuius, con la conseguenza che la relativa richiesta, avanzata ai sensi degli artt. 936 e 748 cod. civ., non era qualificabile come eccezione riconvenzionale, bensì come domanda riconvenzionale e come era inammissibile per tardività.
Secondo i ricorrenti, se anche si fosse trattato di domanda riconvenzionale non sussisteva preclusione poiché si verteva nell’ambito di un giudizio divisorio (è richiamata Cass., sez. 2^, sentenza n. 2568 del 2003), e pertanto la Corte distrettuale avrebbe dovuto pronunciarsi nel merito delle richieste, anche istruttorie, che erano state reiterate con l’atto di appello.
3.1.2. – Si contesta inoltre la decisione, di identico tenore, riguardante la richiesta avanzata da D.T.M. di detrarre dal valore degli immobili ricevuti in donazione le spese straordinarie sostenute e le migliorie e le addizioni apportate nel periodo successivo agli atti di liberalità.
Sul punto i ricorrenti richiamano i principi in materia di collazione per imputazione, e in particolare l’art. 748 cod. civ., in forza dei quali la richiesta avanzata da D.T.M. , di vedersi riconosciuto un diritto di cui era titolare, non costituiva sicuramente oggetto di domanda riconvenzionale, al più configurando una eccezione riconvenzionale.
4. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1005, 2697, 2727 e 2729 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione.
4.1. – Si contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui le spese ed i miglioramenti apportati da D.T.M. sugli immobili ricevuti in donazione, successivamente ai relativi atti di liberalità, non erano deducibili in quanto il richiedente aveva ricevuto in donazione la nuda proprietario e, come tale, doveva presumersi che non avesse conseguito il possesso o comunque il godimento dei beni donati.
I ricorrenti sottolineano che il nudo proprietario ha facoltà di apportare miglioramenti al bene, come dimostrerebbe la specifica disciplina contenuta nella norma di cui all’art. 983, secondo comma, cod. civ., e che, nel rapporto tra usufruttuario e nudo proprietario, si deve presumere che sia quest’ultimo l’autore dei miglioramenti, in quanto titolato a modificare il bene e tenuto conto della prospettiva del consolidamento.
4.1.2. – Si censura, infine, la decisione di non ammettere sul punto le prove dedotte da D.T.M. , per erroneità o comunque per insufficiente motivazione.
5. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono parzialmente fondate e meritano accoglimento nei limiti di seguito specificati.
5.1. – La pretesa avanzata da D.T.M. , di dedurre a suo favore il valore di spese e migliorie in assunto sostenute ed apportate sui beni ricevuti in donazione – limitatamente a quelle riferite ad epoca successiva agli atti di liberalità – non è riconducibile alla struttura della domanda riconvenzionale, poiché non amplia il contenuto del giudizio.
Nell’ambito della disciplina della collazione, contenuta negli artt. 737 e ss. cod. civ., è espressamente previsto, all’art. 748 cod. civ., che “In tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione. Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa. Il donatario dal suo canto è obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell’immobile […]”.
La norma, dettata con riferimento alla collazione per imputazione dei beni immobili, si ricollega direttamente alla ratio dell’istituto: il conferimento delle donazioni, finalizzato a ricostituire il patrimonio del de cuius, non può comprendere ciò che, essendo stato realizzato dal donatario, non è mai appartenuto al donante, e, simmetricamente, deve comprendere ciò che il donatario ha deteriorato, per sua colpa.
Da ciò discende, sotto il profilo processuale, che il donatario il quale invochi a suo favore l’applicazione della regola indicata nell’art. 748, primo comma, cod. civ., l’onere di allegare il fatto a mezzo di eccezione, come avvenuto nella specie, e di provarlo, se contestato. La richiesta formulata da D.T.M. era pertanto sicuramente proponibile alla prima udienza di comparizione, secondo il rito applicabile ratione temporis.
6. – La decisione della Corte d’appello contiene una seconda ed autonoma ratio decidendi, pure contestata dai ricorrenti, che attiene alla inapplicabilità della regola prevista dall’art. 748 cod. civ. al nudo proprietario, e alla] mancanza di prova, nel caso di specie, della circostanza che il donatario avesse goduto o conseguito il possesso dell’immobile.
6.1. – L’affermazione non può essere condivisa.
Il principio, risalente a Cassazione, sez. 2^, sentenza n. 2621 del 1974 (che richiama Cass., sez. 2^. sentenza n. 2221 del 1971), secondo cui il donatario che abbia ricevuto la nuda proprietà del bene immobile, con riserva di usufrutto a favore del de cuius, non può invocare a suo favore la regola sancita dall’art. 748 cod. civ., non presenta i caratteri di assolutezza che la Corte d’appello gli riconnette.
6.1.1. – La disciplina dei miglioramenti e delle addizioni nell’usufrutto, contenuta negli artt. 985 e 986 cod. civ., assume a riferimento gli interventi sul bene posti in essere dall’usufruttuario, che si traducono, al momento della restituzione, in altrettanti obblighi del nudo proprietario al pagamento di un indennizzo. È questa la ragione per cui Cassazione n. 2621 del 1974 ha affermato che “i miglioramenti giovano all’usufruttuario o ai di lui eredi, e non già al donatario”. Situazione diversa è quella in cui il donatario nudo proprietario deduca, come nella specie, di avere attuato a sue spese opere sul bene oggetto di usufrutto, che ne abbiano accresciuto il valore. In tale situazione – che può verificarsi in quanto non esiste un divieto, per il nudo proprietario, di effettuare interventi sul bene, con il consenso dell’usufruttuario, come desumibile dall’art. 983 cod. civ. -le opere eseguite dal nudo proprietario non possono “giovare all’usufruttuario o ai suoi eredi”, poiché ad esse non corrisponde affatto un credito dell’usufruttuario nei confronti del nudo proprietario. Viene a mancare, in tale situazione, la giustificazione del conferimento, in sede di collazione, del valore corrispondente al bene donato, comprensivo di opere realizzate dal donatario – nudo proprietario a sue spese.
5.2.2. – Cosi precisata la portata del principio, in armonia con la ratio enucleata nelle stesse pronunce che lo hanno affermato, la questione che si pone, in generale e nel caso di specie, è una questione di prova delle opere asseritamente realizzate dal donatario sui beni che il de cuius gli aveva donato riservandosi l’usufrutto.
Da ciò discende che le istanze istruttorie dedotte e reiterate in appello da D.T.M. , non esaminate dalla Corte d’appello perché assorbite nella ritenuta inammissibilità della richiesta di applicazione dell’art. 748 cod. civ., dovranno essere valutate in sede di rinvio, al fine di stabilire se e quali opere realizzate dal predetto, in epoca successiva alla donazione con riserva di usufrutto, debbano essere dedotte a suo favore in sede di collazione.
4. – All’accoglimento del ricorso segue la cassazione con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Trento. Dichiara estinto il giudizio di cassazione limitatamente ai rapporti tra i ricorrenti principali e il ricorrente incidentale Da.To.Al. .
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