Il testo integrale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 21 settembre 2011, n. 19223
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 30 giugno 1994 G.S., in qualità di condomina dello stabile, evocava, dinnanzi al Tribunale di Roma, il Condominio di **** chiedendo che venisse dichiarata la nullità della Delib. 28 maggio 1994, nella parte in cui nominava quale amministratore del condominio la sig.ra G.A..
Instaurato il contraddittorio, senza che il convenuto si costituisse, il Tribunale adito, acquisita la documentazione, in accoglimento della domanda attorea, dichiarava la nullità della delibera condominiale in contestazione relativamente alla nomina dell’amministratrice, condannando lo stesso convenuto alla rifusione delle spese processuali.
In virtù di appello interposto dal Condominio, nonchè dai condomini M.G., P.A., A.S. e G. M., con il quale veniva censurata la decisione del giudice di prime cure per avere erroneamente annullato la delibera de qua sulla base dell’argomentazione che la nomina dell’amministratore non era prevista in nessun punto dell’ordine del giorno, mentre l’attrice aveva dedotto l’eccezione di nullità per mancanza del numero legale, essendosi peraltro limitata l’assemblea solo a “proporre” il nuovo amministratore, la Corte di appello di Roma, nella resistenza della appellata che preliminarmente eccepiva la carenza di legittimazione dei condomini appellanti, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda attorea.
A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che non poteva trovare accoglimento l’eccezione di difetto di legittimazione sollevata dall’appellata dal momento che essendo il Condominio un ente di gestione e non già un ente giuridico, non privava ciascuno dei singoli condomini del potere di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti l’immobile condominiale.
Nel merito, assumeva che dall’esame del verbale dell’assemblea tenuta il 28.6.1994, la cui convocazione all’ordine del giorno prevedeva la voce “dimissioni amministratore”, si evinceva che l’assemblea aveva accettato le dimissioni dell’amministratore, proposto quale nuovo amministratore la sig.ra G.A. e seppure era stato aggiunto che “il passaggio degli atti avverrà secondo la consuetudine”, ciò non significava avere deliberato alcuna nomina di amministratore in sostituzione del dimissionario, per cui mancava qualsiasi interesse della appellata ad impugnare la delibera de qua.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione al G., che risulta articolato su due motivi.
Nessuno degli intimati si è costituito.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per carenza di legittimazione degli appellanti per violazione degli artt. 1130, 1131 c.c. e art. 1136 c.c., comma 4, e degli artt. 100 e 344 c.p.c., nonchè la nullità della procura per violazione degli artt. 82 e 83 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. In primo luogo la ricorrente denuncia la nullità dell’atto di appello perchè proposto dall’Amministratore privo dei poteri in quanto non autorizzato da alcuna delibera assembleare, essendosi peraltro nella specie verificata la situazione per cui l’amministratore, avv.to Donato Barone, ha proposto appello difendendo lui stesso il condominio, senza alcuna delibera. Inoltre i condomini appellanti – M., P., A. e G. – non avendo partecipato al giudizio di primo grado e non potendo intervenire ai sensi dell’art. 344 c.p.c., difettano della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza del giudice di primo grado, rilevando, altresì, l’illeggibilità delle firme apposte in procura.
La denuncia seppure sussunta sotto un unico motivo formula due diverse doglianze: l’una relativa all’eccezione di carenza di legittimazione dei condomini appellanti, a norma dell’art. 344 c.p.c., l’altra riguardante la nullità della procura del condominio per difetto di autorizzazione.
Quanto alla prima censura si osserva che questa corte ha avuto occasione di affermare (v. Cass. 29 agosto 1997 n. 8257; Cass. 12 marzo 1994 n. 2393) che il principio per cui essendo un condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, resistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, nè quindi del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell’amministratore stesso, non trova applicazione nei riguardi delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni della assemblea condominiale che, come quella relativa alla nomina dell’amministratore, quindi con finalità di gestione del servizio comune, inteso in senso strumentale, tendono ad soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione stessa, senza attinenza diretta all’interesse esclusivo di uno o più partecipanti, con la conseguenza che in tale controversia la legittimazione ad agire e quindi ad impugnare spetta in via esclusiva all’amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino (v. in tale senso più di recente Cass. 29.1.2009 n. 2396).
Ne consegue che l’appello proposto da M.G., P. A., A.S. e G.M. andava dichiarato inammissibile, essendo fondata l’eccezione di mancanza di legittimazione ad impugnare, sollevata dalla ricorrente nei loro confronti; sicchè la sentenza in parte qua deve essere cassata.
Di converso, l’ulteriore questione circa l’eccezione di nullità della procura rilasciata nell’atto di appello dal Condominio è inammissibile.
Invero, come si evince dal contesto del motivo attentamente esaminato, la ricorrente non addebita al giudice di appello l’omessa rilevazione d’ufficio, in assenza di eccezione dell’appellata, della nullità della procura apposta a margine del ricorso di secondo grado. è evidente, dunque, che l’eccezione d’improcedibilità dell’appello per nullità della relativa procura non venne sollevata nel secondo grado; infatti, la Corte di appello capitolina non fa alcun richiamo a tale eccezione.
Se ne deduce che l’eccezione in esame è stata proposta per la prima volta in questa sede di legittimità.
Com’è noto, in cassazione non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Suprema Corte (cfr. fra le tante Cass. 12 febbraio 1993 n.1772; Cass. 30 marzo 1995 n. 3810).
E’ poi di tutta evidenza che la decisione della questione prospettata postula accertamenti di fatto e valutazioni (esame di documenti prodotti in relazione alle norme citate), inammissibili in questa sede.
E se anche in fattispecie processuali analoghe si è deciso, sia pure in tempi non recenti, che la nullità di atti processuali, verificatasi nei pregressi gradi del giudizio di merito (in tema di legittimazione ad causam, di difetto di legittimazione processuale, di nullità del procedimento sotto il profilo della non integrità del contraddittorio), può essere eccepita per la prima volta in cassazione o da questa rilevata anche d’ufficio, anche se richiede indagini ed accertamenti di fatto, va tuttavia osservato che “tali accertamenti debbono potersi compiere sui documenti e sugli altri elementi già acquisiti al processo”, non essendo ammissibile la produzione di nuovi documenti nemmeno sotto il profilo che essi riguarderebbero la nullità della sentenza impugnata, perchè la nullità cui fa riferimento la norma dell’art. 372 c.p.c., è solo quella che inficia la sentenza in sè direttamente e non già anche quella che sia effetto di altra nullità che riguardi il procedimento. La ragione della limitazione sta nella natura e nella funzione del giudizio di cassazione, che vuole essere giudizio sul processo e quindi giudizio di valore sui dati del processo, e non può quindi di regola consentire la deduzione o la prova di fatti nuovi (in tal senso vedasi: Cass. Sez. Unite 23 marzo 1963 n. 738;
Cass. 12 agosto 1963 n. 2299; 30 marzo 1966 n. 845; più di recente, Cass. 23.12.1998 n. 12843; Cass. 8.5.2006 n. 10437; nello stesso senso, con riferimento a negozi di natura sostanziale Cass. 30 aprile 1979 n. 2515; Sez. Un. 24 marzo 1976 n. 1035; 3 gennaio 1984 n. 11; Sez. Un. 3 novembre 1986 n. 6418; 15 febbraio 1992 n. 1873).
Ciò premesso in linea di diritto, va rilevato in punto di fatto che la ricorrente non ha affatto dimostrato che, sulla base di documenti o di altri elementi ritualmente acquisiti nei pregressi gradi di merito, questa Corte potrebbe e quindi dovrebbe rilevare anche d’ufficio la nullità della procura in questione, con le relative conseguenze.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1129, 1130 c.c. e art. 1136 c.c., comma 4, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte e comunque rilevabile di ufficio, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte di merito erroneamente interpretato il verbale dell’assemblea in contesa dal momento che con l’accettazione delle dimissioni dell’amministratore uscente, l’adunanza doveva in ogni caso provvedere alla nomina di un nuovo amministratore, incombendo altresì l’obbligo di dare esecuzione alla delibera con il passaggio delle consegne (artt. 1129 e 1130 c.c.). Inoltre il giudice del gravame è incorso nella violazione dell’art. 1362 c.c., applicabile anche alle delibere assembleari, che impone al giudice di ricercare la comune volontà delle parti e ciò omettendo di motivare i passaggi logici-giuridici sopra esposti.
La Corte rileva l’infondatezza delle dette complessive censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte, sia pur sotto profili diversi, le stesse problematiche (interpretazione delibera condominiale del 28.5.1994 e poteri dell’assemblea condominiale) e, in parte, le stesse disposizioni normative (artt. 1129, 1130, 1136, 1362 c.c.). Ciò posto occorre osservare che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, la delibera condominiale va interpretata secondo i criteri ermeneutici previsti dall’art. 1362 c.c., e segg. ed il relativo compito è affidato al giudice del merito (tra le tante, sentenze: Cass. 28.2.2006 n. 4501; Cass. 27.8.2002 n. 12556;
Cass. 24.1.2001 n. 971; Cass. 20.3.1998 n. 2968; Cass. 8.3.1997 n. 2101; Cass. 25.10.1980 n. 5759). Nello svolgere detto compito di interpretazione il Giudice di merito deve innanzitutto tener presente l’elemento letterale, come dato da cui emerge in modo diretto ed immediato la volontà delle parti, e, quindi, nel caso in cui questo si appalesi insufficiente, in quanto le espressioni usate siano equivoche o poco chiare, procedere alla indagine sulla volontà con l’ausilio graduale degli altri canoni interpretativi sussidiari indicati nell’art. 1362 c.c., e segg., facendo segnatamente ricorso all’altro indefettibile criterio del comportamento delle parti ed a quello della conservazione degli effetti della volontà, che impone all’interprete di conferire alle espressioni letterali un qualche effetto giuridicamente apprezzabile anzichè nessun effetto o un significato meramente programmatico.
In particolare l’indagine compiuta dal giudice del merito al fine di stabilire se la delibera condominiale adottata con l’accettazione delle dimissione dell’amministratore uscente, abbia comportato o meno anche la nomina del nuovo amministratore involge un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se sorretto da corretta ed adeguata motivazione.
Nella specie il giudice di appello ha proceduto alla valutazione del significato letterale e logico delle espressioni adoperate nella delibera in questione ed ha ampiamente giustificato tale valutazione insindacabile in questa sede di legittimità in quanto sorretta da adeguata e congrua motivazione immune da vizi logici o giuridici.
Le censure mosse dalla G. relative al lamentato errore che sarebbe stato commesso dalla corte territoriale nel ravvisare nella delibera 28.5.1994 solo una “proposta” di nomina della sig.ra G.A. quale nuovo amministratore, ossia la presentazione della sua candidatura – e non già la sua nomina nell’incarico – si risolvono essenzialmente in una indagine di fatto affidata al giudice del merito e censurabile in sede di legittimità solo per il caso di insufficienza o contraddittorietà di motivazione tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione, ovvero per il caso di violazione delle regole ermeneutiche. In questa sede di legittimità la censura dell’interpretazione data dai giudici di merito alla delibera in questione, può essere formulata sotto due distinte angolazioni:
denunciando l’errore di diritto sostanziale per non essere state rispettate le regole di ermeneutica dettate dall’art. 1362 c.c., e segg.; ovvero investendo la coerenza formale del ragionamento attraverso il quale la sentenza impugnata è pervenuta a ricostruire il contenuto della delibera e la volontà dell’assemblea dei condomini.
Nel caso in esame, come rilevato, la corte distrettuale ha ampiamente giustificato il proprio convincimento e la propria valutazione: sul punto il procedimento logico-giuridico sviluppato nell’impugnata decisione è coerente e razionale; il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell’interpretazione della deliberazione condominiale è fondato su un’indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione adeguata e corretta.
D’altro canto il ricorso nell’evidenziare che la corte di appello si sarebbe discostata dai canoni interpretativi legali perchè l’accettazione delle dimissione dell’amministratore uscente avrebbe dovuto comportare necessariamente la nomina di un nuovo amministratore, non tiene conto che l’amministratore dimissionario rimane comunque in carica sino alla sua sostituzione per gli adempimenti di ordinaria amministrazione.
Deve pertanto ritenersi corretta l’operazione ermeneutica compiuta dal giudice del merito: ciò rende manifesto che la ricorrente ha inteso investire il “risultato” interpretativo raggiunto; il che è inammissibile in questa sede.
Da quanto precede deriva logicamente l’infondatezza delle critiche (sviluppate con la prima parte del secondo motivo di ricorso) concernenti l’asserita violazione degli artt. 1129, 1130 e 1136 c.c.. per la parte concernente i poteri e le attribuzioni dell’assemblea in tema di successione degli amministratori (v. Cass. 27.8.2002 n. 12556).
In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso in ordine al difetto di legittimazione dei condomini, mentre va rigettato per il resto il ricorso. Poichè l’appello presentato dai condomini era improponibile, ne consegue la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382 c.p.c..
In considerazione della mancata costituzione degli intimati, nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo del ricorso in ordine al difetto di legittimazione dei condomini, cassando sul punto la sentenza impugnata senza rinvio; rigetta per il resto il ricorso.
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