La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell’art. 1438 cod. civ., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto; il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento
Suprema Corte di Cassazione
sezione II civile
sentenza 11 agosto 2016, n. 17012
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 24774/11) proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Trento e dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Trento, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to (OMISSIS) (deceduto) in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 287 depositata il 10 novembre 2010e notificata il 28 giugno 2011;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito l’Avv.to (OMISSIS), per parte ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) evocava dinanzi al Tribunale di Trento (OMISSIS) chiedendo l’annullamento, per violenza morale, del contratto concluso con il convenuto in data 27.12.2006 denominato contratto di esecuzione lavori, con il quale le parti avevano concordato la divisione in due porzioni materiali del garage in comunione, con previsione di opere dirette a rendere indipendente l’accesso sulla via pubblica della porzione assegnata all’attore e con disciplina del passaggio nel cortile di proprieta’ esclusiva del convenuto.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del (OMISSIS), il giudice adito, rigettava la domanda, con compensazione integrale delle spese di giudizio.
In virtu’ di rituale appello interposto dall’HAUSER, la Corte di appello di Trento, nella resistenza dell’appellato, il quale proponeva anche appello incidentale relativamente alle spese, accoglieva il gravame e in totale riforma della decisione impugnata, accoglieva la domanda attorea, annullando il contratto in questione.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che lo stesso giudice di prime cure aveva riconosciuto che il consenso dell’ (OMISSIS) alla conclusione del contratto era stato estorto dal (OMISSIS) con la minaccia di non permettere l’uscita dal garage comune del camper di proprieta’ del primo, bloccato da automezzi lasciati parcheggiati dall’appellato nel cortile interno di sua proprieta’, minaccia addirittura resa esplicita nel testo nel contratto, ma ne aveva escluso l’incidenza nella formazione della volonta’ delle parti, conclusione che non veniva condivisa dal giudice del gravame per essere il diritto soggettivo di chiedere lo scioglimento di una comunione di natura potestativa. La corte affermava che al di fuori dell’ipotesi di far valere un diritto, prevista dall’articolo 1438 c.c., ai fini dell’annullamento del contratto per violenza morale, requisito indefettibile era la minaccia di un futuro male ingiusto, specificamente diretta ad estorcere il consenso, non rilevando l’ingiustizia del vantaggio perseguito. Aggiungeva che doveva escludersi che la divisione materiale in concreto pattuita fosse l’unica soluzione possibile; ne’ il contratto aveva ad oggetto la sola divisione dell’autorimessa, ma anche la rinuncia di (OMISSIS) a pretendere qualsiasi diritto di servitu’ di passaggio attraverso il cortile di (OMISSIS), nonche’ la concessione di un diverso diritto personale di passaggio a piedi sul medesimo cortile, ragioni per le quali il contenuto del contratto non poteva considerarsi necessitato o predeterminato.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Trento ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), sulla base di otto motivi, al quale ha replicato I’ (OMISSIS) con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 13908 del 2011 (emessa in riferimento ad un giudizio introdotto prima dell’entrata in vigore della novella dell’articolo 366 c.p.c., u.c., di cui al Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 5) hanno affermato il principio che nel giudizio di cassazione, la morte del domiciliatario del ricorrente determina, ai sensi dell’articolo 141 c.p.c., comma 4, l’inefficacia dell’elezione di domicilio, con la conseguenza che I’awiso di udienza va notificato presso la cancelleria della Corte di cassazione ai sensi del secondo comma dell’articolo 366 c.p.c.. Infatti, il diritto del difensore non domiciliato in Roma di essere informato della data fissata per la discussione del ricorso e’ adeguatamente salvaguardato – nel contemperamento, operato dal legislatore, dei diversi interessi delle parti e delle esigenze dell’ufficio – dalla possibilita’ dello stesso difensore di chiedere che l’avviso gli sia inviato in copia mediante lettera raccomandata, a norma dell’articolo 135 disp. att. c.p.c..
Principio che, applicato al caso di specie – nel quale il difensore del controricorrente non ha indicato alcun indirizzo di posta elettronica certificata – rende idonea la notifica in cancelleria dell’avviso di fissazione dell’udienza pubblica di discussione della causa.
Venendo all’esame nel merito del ricorso, con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione degli articoli 112 e 346 c.p.c., per non essersi la corte territoriale pronunciata sulla eccezione di inammissibilita’ dell’appello da lui sollevata con riferimento alla formulazione delle conclusioni nell’atto di gravame, avvenuta solo per relationem, facendo richiamo a quelle indicate nella citazione di primo grado.
Il motivo e’ inammissibile prima che infondato, giacche’ difetta di autosufficienza limitandosi a riferire di avere denunciato con l’atto di costituzione in giudizio in appello l’inammissibilita’ dell’impugnazione, rappresentate dall’appellante le conclusioni solo con semplice richiamo a quelle indicate nella citazione di primo grado, senza indicazione alcuna del tenore della proposizione dell’appello. Il ricorrente deve indicare, infatti, specificamente (e non gia’ soltanto, a sua volta, per relationem) i fatti e le circostanze di cui trattasi, onde consentire al giudice di legittimita’ il controllo sulla loro decisivita’, controllo che deve avvenire sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non e’ possibile sopperire con indagini integrative, prospettando un rapporto di causalita’ fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza (in tal senso, Cass. n. 9368 del 2006).
Risulta, peraltro, infondata l’asserzione in quanto l’indicazione dei motivi di appello non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno del gravame, richiedendosi soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, delle ragioni della doglianza, dovendo detti motivi essere piu’ o meno articolati a seconda della maggiore o minore specificita’ nel caso concreto (cfr. anche Cass. n. 17960 del 2007) e nel caso di specie, seppure fossero sintetiche le ragioni di censura espresse nell’atto d’appello, non puo’ prescindersi dal considerare che ogni difetto dell’atto di gravame risulta sanato dalla costituzione e dalle ampie difese predisposte dall’appellato, di cui il ricorrente stesso da’ contezza, avendo l’atto raggiunto il suo effetto, con effetto sin dalla notificazione dello stesso atto di appello.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli articoli 1427, 1435 e 1438 c.c., per avere la corte territoriale riconosciuto nella sottoscrizione del contratto del 27.12.2006 la consumazione di una violenza da parte del (OMISSIS), nonche’ un’ingiustizia nel vantaggio ottenuto da quest’ultimo, nonostante non fossero stati provati i caratteri di consistenza della minaccia e della ingiustizia derivatane. Aggiunge che l’unico episodio riconducibile alla minaccia e’ stato giudicato dalla Cassazione con annullamento senza rinvio; del resto la divisione della comunione dell’autorimessa e’ stata richiesta dal comproprietario in quanto l’altro comunista la utilizzava in via esclusiva, unitamente al cortile, peraltro di proprieta’ esclusiva del (OMISSIS). In altri termini, sarebbe stato l’ (OMISSIS) ad avere una condotta illecita, impedendo al ricorrente di esercitare i propri diritti. Prosegue il ricorrente assumendo che non vi sarebbe stata alcuna induzione a sottoscrivere l’accordo de quo dal momento che le due uscite dell’autorimessa sono entrambe carrabili, senza alcun pregiudizio per la controparte.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione circa la ritenuta esistenza di una violenza quale elemento causalmente rilevante nella determinazione di (OMISSIS) a prestare il consenso alla firma del contratto in occasione dell’episodio del 24.12.2006, oggetto del procedimento penale, che invece era stato utilizzato dal resistente strumentalmente.
Le due censure per la loro stretta connessione logica – avendo ad oggetto la medesima doglianza, seppure sotto diversi profili – vanno esaminate congiuntamente. Esse sono infondate.
La Corte d’Appello di Trento nell’accogliere l’appello, pur dichiarando che non vi era necessita’ del requisito dell’ingiustizia, ha chiarito che requisito indefettibile della minaccia e’ la prospettazione di un futuro male ingiusto e notevole, specificamente diretto al fine di estorcere il consenso per il negozio; ha inoltre sottolineato che nella specie la divisione materiale in concreto pattuita non era l’unica possibile ed ha rinvenuto il vizio della volonta’ lamentato nella circostanza che “il contratto di divisione non aveva ad oggetto solo la divisione del garage, ma anche la rinuncia di (OMISSIS) a pretendere qualsiasi diritto di servitu’ di passaggio attraverso il cortile di (OMISSIS), nonche’ la concessione di un diverso diritto personale di passaggio a piedi sul medesimo cortile”.
Orbene in merito alla dedotta annullabilita’ per violenza si osserva quanto segue.
Con riguardo alla norma dell’articolo 1438 c.c., va ribadito che la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri delle violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, soltanto se e’ diretta a conseguire un vantaggio ingiusto; il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento (giurisprudenza consolidata; cfr. da ultimo, Cass. 23 agosto 2011 n. 17523).
Nel caso di specie, la minaccia sarebbe consistita nel prospettare l’eventualita’ che, in mancanza di accordi sulla divisione nei termini proposti, il (OMISSIS) avrebbe continuato ad impedire all’ (OMISSIS) l’uscita dall’autorimessa (limitandone quindi il godimento) del suo camper, determinato dall’intralcio di veicoli parcheggiati nel cortile, di cui il primo aveva la disponibilita’, come del resto accertato dal giudice penale, per fatti precedenti, allorquando aveva sbarrato l’uscita dei veicoli che l’ (OMISSIS) aveva in uso. Ragione per la quale la corte territoriale ha raggiunto il convincimento che l’appellante, attuale controricorrente, si sarebbe indotto a stipulare la convenzione denominata “contratto di esecuzione lavori”, onde evitare il perpetuarsi di detti episodi.
E’ pacifica, dunque, la valutazione della violenza in termini di ingiustizia riferita proprio all’esercizio di azioni di forza persecutorie finalizzate ad ottenere non gia’ la divisione del bene in comunione, bensi’ la rinuncia da parte del condividente al diritto di servitu’ di passaggio, per cui e’ da escludere l’assunto difensivo appena riportato – sul quale il ricorrente insiste anche al fine di censurare la motivazione che, a suo dire, avrebbe trascurato di considerare la circostanza, avente carattere decisivo – sia coerente con le risultanze processuali.
Del resto la situazione come sopra ricostruita e’ stata scrutinata dal giudice di merito anche sotto il profilo della consapevolezza, nel (OMISSIS), della temerarieta’ della sua pretesa ed e’ stata ragionevolmente ritenuta fondata pure a fronte della positiva valutazione dell’esistenza del diritto allo scioglimento della comunione. A tali argomentazioni, gia’ di per se’ plausibili e convincenti, il ricorrente non oppone alcuna critica.
Con i successivi motivi quattro, cinque, sei e sette, il ricorrente nel denunciare lo stesso vizio di motivazione, censura la decisione impugnata per non avere considerato la inesistenza di un suo illecito profitto e di un danno ingiusto del resistente, nonche’ l’esito necessitato della divisione del garage comune, oltre alla preesistenza di un accordo scritto con la controparte per la divisione del garage comune; infine per non avere considerato la condotta tenuta dall’ (OMISSIS) il 27.12.2006, il quale aveva spostato con un cric il furgone del ricorrente. Al riguardo il ricorrente precisa di avere lui stesso, prima della sottoscrizione dell’accordo de quo, presentato D.I.A. presso il Comune di Mezzocorona per ampliare il portone del garage con accesso da via Verdi, destinato all’ (OMISSIS), anche perche’ a quest’ultimo necessitava per dotare di due posti auto l’appartamento sovrastante di sua proprieta’, indispensabili per il rispetto degli standards urbanistici. Di tutto cio’ la corte territoriale non avrebbe tenuto alcun conto, al pari della insussistenza di una servitu’ di transito rispetto al cortile di proprieta’ esclusiva del (OMISSIS).
Le censure – complessivamente esaminate – sono inammissibili perche’ la valutazione, alla stregua del materiale probatorio, della sussistenza della minaccia di un male ingiusto e della sua efficacia a coartare la volonta’ di una persona, ossia del rapporto di causalita’ tra la minaccia e il compimento dell’atto impugnato, costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimita’ se adeguatamente motivato, come nella specie, risolvendosi il denunciato vizio motivazionale in una difforme valutazione delle risultanze processuali (Cass. n. 368 del 1984; Cass. n. 467 del 1987; Cass. n. 9946 del 1996; Cass. n. 999 del 2003; Cass. n. 13035 del 2003; infine, Cass. n. 3388 del 2007). Il ricorrente, denunciando con i motivi in esame vizi di motivazione, propone, in effetti, una diversa lettura ed interpretazione dei fatti e delle circostanze di causa riguardanti proprio siffatti elementi, che non possono evidentemente trovare ingresso in questa sede, non riscontrandosi, in realta’, nella sentenza impugnata carenze o vizi di carattere logico-giuridico dell’iter argomentativo seguito dalla corte per pervenire alla predetta decisione, la quale deve, pertanto, rimanere ferma nel disposto annullamento della convenzione denominata “contratto di esecuzione lavori” sottoscritta il 27 dicembre 2006.
Con l’ottavo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed erronea applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per la mancata ammissione delle prove orali articolate tendenti da dimostrare lo studio accurato fatto dalla controparte del testo contrattuale predisposto dalla zia del (OMISSIS) per risolvere i loro contrasti.
Del pari e’ insussistente la dedotta doglianza in relazione alla mancata ammissione di istanze istruttorie che, in tesi, avrebbero potuto dimostrare l’intervento di (OMISSIS) e della zia materna, (OMISSIS), per cercare di appianare i contrasti sorti fra le parti, e percio’ tendenti a negare l’esistenza della minaccia per coartare la volonta’ dell’ (OMISSIS).
E’ noto che il ricorrente che, in sede di legittimita’, denunci il difetto di motivazione del rigetto di istanze istruttorie, ha l’onere di indicare in modo adeguato e specifico quali siano le istanze istruttorie respinte dai giudici di merito (e asseritamente decisive al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza) e le circostanze che ne costituivano oggetto, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimita’ il controllo della decisivita’ dei fatti da provare e, quindi, delle istanze stesse, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non e’ possibile sopperire con indagini integrative (tra le tante, Cass. SS.UU. n. 28336 del 2011; Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 1113 del 2006).
Orbene il motivo non presenta le suddette caratteristiche essenziali, ma si risolve nella prospettazione di una valutazione delle questioni di fatto e di diritto in senso difforme da quella operata dai giudici di merito, senza lo svolgimento di argomentate critiche alla completezza e logicita’ delle ragioni della decisione.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio, che si liquidano in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
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