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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza del 24 aprile 2014, n. 9271

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 9618-2012 proposto da:
KM
BE
– RICORRENTI –
CONTRO
MG
PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA PROCURA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BASSANO DEL GRAPPA, PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’PPELLO DI VENEZIA
INTIMATI –
NONCHÉ CONTRO
MG nella qualità di curatore del Fallimento L S.N.C. di KM & C. IN LIQUIDAZIONE e dei soci illimitatamente responsabili KM , E S.A.S. dell’ing. EB & C., nonchè di EB
 
– CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE – 
CONTRO
 
KM, BE nella qualità di liquidatori e legali rappresentanti della L S.N.C. DI KM & C. IN LIQUIDAZIONE, inoltre il primo anche nella qualità di socio della predetta società ed il secondo nella qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della E S.A.S. DELL’ING. EB
– CONTRORICORRENTI AL RICORSO INCIDENTALE –
CONTRO
PROCURATORE GENERALE ‘DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, PUBBLICO MINISTERO PRESSO PROCURA REPUBBLICA TRIBUNALE BASSANO DEL  GRAPPA;
– INTIMATI –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con sentenza dell’8 marzo 2012 la Corte di appello di Venezia rigettava il reclamo proposto dalla s.n.c. L di MK, nonché dai suoi soci illimitatamente responsabili MK e s.a.s. E dell’ing. EB, e da quest’ultimo in proprio avverso la sentenza in data 7 ottobre 2011 con cui il Tribunale di Bassano del Grappa aveva dichiarato il loro fallimento, a seguito della revoca, con decreto del 16 luglio 2011 emesso ai sensi dell’art. 173 1. fall., dell’ammissione della s.n.c. L alla procedura di concordato preventivo. In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava che: 1) il decreto di revoca era stato impugnato con reclamo che era stato dichiarato inammissibile in quanto non proposto anche avverso la (non ancora intervenuta) dichiarazione di fallimento; ciò, tuttavia, non escludeva che con l’impugnazione di quest’ultima fossero deducibili anche motivi attinenti alla revoca del concordato; 2) l’art. 173 1. fall. prevede esplicitamente il potere del tribunale di attivare d’ufficio il procedimento di revoca dell’ammissione al concordato quando il commissario giudiziale riferisce intorno ad atti di frode compiuti dal debitore; 3) nella specie il commissario giudiziale aveva evidenziato, nella relazione ex art. 172 1. fall., che la s.n.c. L aveva esposto nella proposta di concordato una situazione dell’attivo, con particolare riferimento ai crediti, assai diversa da quella accertata; tale divergenza aveva certamente un connotato fraudolento, come poteva desumersi non solo dall’anomala impennata dei crediti dal 2008 al 2009, ma anche dalla presenza di forniture a clienti esteri senza richieste di anticipi o di garanzie nonché dalla inattendibilità dei dati relativi a tali clienti. La situazione non integrava gli estremi di una mera inesigibilità dei crediti, la cui valutazione doveva ritenersi affidata ai creditori, ma di una condotta diretta ad ingannare questi ultimi, fornendo loro informazioni non veritiere; 4) il procedimento per la dichiarazione di fallimento era stato avviato su richiesta del pubblico ministero formulata all’udienza fissata dal Tribunale per la revoca dell’ammissione al concordato. La s.n.c. L di N , nonché i suoi soci illimitatamente responsabili W e s.a.s. E dell’ing. EB e quest’ultimo in proprio propongono ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi. I fallimenti dei predetti ricorrenti resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale affidato ad un motivo, al quale i ricorrenti principali resistono con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il PRIMO MOTIVO i ricorrenti principali deducono la violazione dell’art. 173 1. fall. e dell’art. 112 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto possibile l’avvio del procedimento di revoca in assenza di una specifica richiesta in tal senso del commissario giudiziale, il quale si era limitato a riferire di una difficile se non impossibile riscossione dei crediti. Inoltre, l’eventuale alterazione dei valori di stima dell’attivo non poteva assumere rilievo di atto di frode nel concordato proposto che non prevedeva la cessione dei beni ai creditori, ma il loro pagamento in percentuale, con l’assunzione da parte del debitore di ogni rischio relativo alla liquidazione dell’attivo.
Il motivo è infondato sotto entrambi i profili. La lettera dell’art. 173, primo coma, 1. fall. è esplicita nel senso che il tribunale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato preventivo quando il commissario giudiziale ha accertato e riferito il compimento di atti di frode da parte del debitore. Al riguardo occorre solo chiarire che la frode ha carattere oggettivo e la relativa qualificazione spetta al tribunale indipendentemente dalle espressioni usate dal commissario giudiziale, il quale ha il compito di accertare i fatti e di riferirli al tribunale. Quanto, poi, alla qualificazione come atto di frode dell’alterazione dei valori di stima dell’attivo nell’ambito di un concordato che prevede il pagamento in percentuale dei creditori, è evidente che, quando le risorse per l’adempimento del concordato sono rappresentate dal provento della liquidazione dell’attivo, una falsa rappresentazione della sua consistenza incide certamente sul consenso informato dei creditori.
Con il SECONDO MOTIVO i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 160, 161, 162 e 173 1. fall. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello lungi dall’individuare gli asseriti atti di frode aveva, in realtà, effettuato un giudizio di fattibilità ed espresso un giudizio di meritevolezza. In particolare, la fatturazione per operazioni inesistenti, ritenuta dalla Corte di appello e mai affermata dal commissario giudiziale, pur costituendo un fatto di rilevanza penale, non costituiva una frode che legittimava la revoca dell’ammissione al concordato, considerato anche che quest’ultimo prevedeva il pagamento in percentuale dei creditori e non la cessione dei beni. Nella specie, inoltre, la fatturazione per operazioni inesistenti non era stata accertata, ma desunta sulla base di deboli indizi relativi alla difficile esigibilità dei crediti.
Il motivo è infondato in tutti i suoi profili. Gli atti di frode, dopo che la riforma ha escluso il rilievo della meritevolezza nelle valutazioni affidate al tribunale,esigono una condotta del debitore volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè situazioni che, da un lato, se conosciute, comporterebbero presumibilmente una valutazione diversa e negativa della proposta e che, dall’altro, siano state “accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui “scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori (Cass. 15 ottobre 2013, n. 23387; Cass. 23 giugno 2011, n. 13817). D’altro canto, la divergenza tra la situazione patrimoniale dell’impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale può essere inquadrata tra gli atti di frode soltanto se ha carattere doloso, non essendo concepibile un atto fraudolento, che non sia sorretto da una precisa intenzione di compierlo (Cass. 5 agosto 2011, n. 17038). La dolosa divergenza tra la situazione prospettata e quella accertata non può, poi, essere ricondotta tra le circostanze riservate alla valutazione dei creditori sotto il profilo della convenienza della proposta di concordato e della fattibilità del piano o sotto il profilo della meritevolezza. Di una tale valutazione, infatti, si può parlare soltanto se il debitore non ha nascosto ai creditori le circostanze che su di essa incidono.
A tali principi si è uniformata la Corte territoriale, la quale, da un lato, ha desunto il dolo nella prospettazione nell’attivo di crediti inesistenti da una serie di indizi, con un ragionamento la cui congruità neppure è stata specificamente censurata in questa sede e, d’altro canto, sottolineando la dolosa non veridicità dei dati offerti ai creditori, ha esattamente escluso che nella specie ricorresse una situazione valutabile in termini di meritevolezza del debitore, di convenienza della proposta di concordato e di fattibilità del piano di concordato.
Quanto, infine, al rilievo della divergenza tra la prospettazione dell’attivo e la sua reale consistenza in un concordato con pagamento in percentuale, si rinvia a quanto osservato nell’esame del primo motivo.
Con il TERZO MOTIVO i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 6, 7 e 173 1. fall. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto che la richiesta di fallimento formulata dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 173 potesse prescindere dai limiti previsti dall’art. 7 1. fall.
Il motivo è infondato. Come si è già detto, l’art. 173, secondo comma, 1. fall. prevede che, ricorrendo le situazioni previste dal primo comma, il tribunale «apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero ed ai creditori» e stabilisce che «all’esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui all’art. 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. l e 5, dichiara il fallimento del debitore, con contestuale sentenza, reclamabile ai sensi dell’art. 18». Pertanto il pubblico ministero, il quale è informato della domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161 L.F., in forza dell’art. 173 1. fall., è specificatamente informato della procedura di ufficio per la revoca dell’ammissione della procedura di concordato preventivo. In tale situazione non può pretendersi che la richiesta del pubblico ministero sia circostanziata, come prevede l’art. 7 1. fall., dal fatto che l’insolvenza risulti nel corso di un procedimento penale (o per le altre situazioni previste nel n. i dell’art. 7 cit.) ovvero risulti dalla segnalazione proveniente dal giudice civile che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. Nell’ambito dell’art. 173 sono, infatti, compiutamente disciplinati i poteri del pubblico ministero in caso di revoca dell’ammissione e la stessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca non è riconducibile alle segnalazioni del giudice civile di cui al citato art. 7, trattandosi di un adempimento finalizzato all’eventuale richiesta di fallimento previsto dalla stessa disciplina del procedimento di revoca (Cass. 16 marzo 2012, n. 4209).
Con il QUARTO MOTIVO i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 15, sesto comma, e dell’art. 18 1. fall. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello non aveva neppure preso in considerazione la loro richiesta di un accertamento tecnico in ordine ai crediti posti all’attivo del bilancio concordatario.
Il motivo è inammissibile. Il provvedimento che disponga, o meno, la consulenza tecnica è incensurabile in sede di legittimità poiché rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sul quale grava soltanto l’obbligo di motivare adeguatamente la decisione (e plurimis Cass. 16 aprile 2008, n. 10007).
Con l’unico motivo proposto i fallimenti ricorrenti incidentali deducono la violazione degli artt. 18 e 173 1. fall., lamentando che la Corte di appello, dopo la dichiarazione di inammissibilità del reclamo proposto avverso il solo decreto di revoca, chiamata a pronunziarsi sul reclamo avverso la dichiarazione di fallimento, aveva preso erroneamente in considerazione anche i motivi attinenti al decreto di revoca.
Il ricorso incidentale, in quanto proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito ed in quanto relativo a questione oggetto di esplicita decisione, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte (Cass. s.u. 25 marzo 2013, n. 7381; Cass. s.u. 6 marzo 2009, n. 5456). Pertanto, al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento di quello incidentale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P Q M 
rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese liquidate in € 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 Febbraio 2014

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