Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 18 febbraio 2016, n. 6623
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Catania respingeva la richiesta di riesame proposta nell’interesse di D.C.I.M. avverso quella del G.I.P. dello stesso Tribunale applicativa della misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato.
D.C. è accusato di essere il conducente di uno dei due gommoni intercettati nelle acque internazionali da una nave della Marina Militare tedesca che aveva caricato a bordo i passeggeri e li aveva trasportati al porto di Catania.
Il Tribunale affermava la giurisdizione dell’A.G. italiana sulla base della giurisprudenza di questa Corte, respingeva l’eccezione di nullità dell’ordinanza custodiale per omessa traduzione in lingua inglese, atteso che l’indagato aveva perfettamente compreso l’accusa mossa nell’interrogatorio per la convalida, assistito da un interprete, tanto da essersi difeso in modo pertinente, accusando un minore di essere il comandante e così permettendo al difensore di proporre istanza di riesame anche nel merito; riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, atteso che quattro migranti, provenienti diversi Paesi e autonomamente tra loro, lo avevano indicato come uno dei due conducenti del gommone (l’altro era il minore), in possesso di telefono satellitare e di bussola, che utilizzava il primo per comunicare con l’organizzazione criminale alla quale essi avevano corrisposto il compenso per il trasporto; riteneva irrilevante la circostanza che il ricorrente facesse o meno parte di detta organizzazione; valutava sussistenti le aggravanti contestate e pregnanti le esigenze cautelari del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie e del pericolo di fuga, tutelabili soltanto con la misura più grave.
2. Ricorre per cassazione il difensore di D.C.I.M. , deducendo violazione dell’art. 143 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Nonostante il G.I.P. avesse dato ordine di tradurre l’ordinanza cautelare, ciò non era avvenuto; il difensore aveva eccepito l’omessa traduzione con la richiesta di riesame, presentando soltanto in via subordinata motivi di merito.
Secondo il ricorrente, la circostanza che il G.I.P. avesse spiegato la natura dell’accusa nell’interrogatorio di convalida del fermo all’indagato, assistito da un interprete, era ininfluente perché la mancata traduzione riguardava un atto che il Giudice aveva emesso successivamente all’interrogatorio; né la richiesta di riesame da parte del difensore aveva effetto sanante: non solo il difensore aveva espressamente evidenziato che la difesa nel merito era subordinata all’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare, ma nell’atto era anche spiegato che la difesa nel merito era sostanzialmente impossibile per le difficoltà del difensore di rapportarsi con l’indagato, che non aveva affatto compreso gli elementi indiziari a suo carico.
Si trattava, quindi, di motivo generico e proposto in via subordinata, non utile a sanare il vizio del provvedimento.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Considerato in diritto
1. Come è noto, l’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., così come modificato dal D. L.vo n. 32 del 2014 dispone che, se l’imputato non conosce la lingua italiana, “l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e della facoltà della difesa (…) dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali (…)”.
Ciò è avvenuto nei confronti del ricorrente, avendo il G.I.P. del Tribunale di Catania disposto la traduzione dell’ordinanza cautelare.
Il ricorrente deduce che la traduzione non è stata depositata nei termini indicati dal giudice e ne fa derivare la nullità dell’ordinanza stessa.
L’impostazione non può essere accolta.
Da una parte l’art. 143 cod. proc. pen. non contiene alcuna sanzione processuale per gli atti in relazione ai quali è stata omessa l’obbligatoria traduzione – tanto meno ne sancisce espressamente la nullità – dall’altra la norma contiene un esplicito riferimento alla finalità della traduzione: quella di consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa.
Se ne può, quindi, ragionevolmente dedurre che l’omessa (o comunque, non tempestiva) traduzione non attiene alla struttura dell’atto – quindi non ne determina la nullità, non rientrando in alcuna delle nullità di ordine generale di cui all’art. 178 cod. proc. pen. – ma concerne la sua efficacia e, quindi, eventualmente può incidere sulla validità degli atti successivi e conseguenti all’atto non tradotto.
Questa Corte ha costantemente insegnato che l’omissione dell’adempimento non incide sulla perfezione e sulla validità dell’atto stesso ma sulla sua efficacia, con la conseguenza che la traduzione può essere successivamente disposta, determinandosi una sorta di restituzione nel termine, con riferimento al momento produttivo degli effetti, per consentirne l’eventuale impugnazione da parte dell’indagato/imputato alloglotta (con riferimento alle sentenze: Sez. 6, n. 5760 del 04/02/2011 – dep. 15/02/2011, Anokhin, Rv. 249453; Sez. 6, n. 38639 del 30/09/2009 – dep. 05/10/2009, Pantovic, Rv. 245314; Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003 – dep. 09/02/2004, Zalagaitis, Rv. 226717).
Non vi sono motivi per modificare questa linea interpretativa, tenuto conto della scelta del legislatore di non sanzionare espressamente l’omessa traduzione nonché della finalità della norma.
Se, quindi, l’istituto della restituzione nel termine è quello adeguato a sanare la compressione dei diritti difensivi derivante dall’omessa o ritardata traduzione, è evidente che, se tali facoltà sono state pienamente esercitate, non vi è luogo per alcuna dichiarazione di nullità o invalidità: cosicché questa Corte, con riferimento all’ordinanza cautelare e alla successiva impugnazione davanti al Tribunale del riesame, ha recentemente affermato che la proposizione della richiesta di riesame, pur se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall’indagato alloglotta, anche a seguito della riformulazione dell’art. 143 cod. proc. pen., sempre che l’impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (Sez. 3, n. 7056 del 27/01/2015 – dep. 18/02/2015, Owalengba, Rv. 262425) e, con riguardo alla traduzione della sentenza, che la sua mancata traduzione nella lingua nota all’imputato alloglotta, anche dopo l’entrata in vigore della direttiva 2010/64/UE, non integra ipotesi di nullità ma, se vi è stata specifica richiesta, i termini d’impugnazione decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile (Sez. 1, n. 23608 del 11/02/2014 – dep. 05/06/2014, Wang, Rv. 259732).
In definitiva: avendo il giudice disposto la traduzione dell’atto, non si è prodotta alcuna nullità, cosicché l’unico di motivo di ricorso è infondato.
Poiché la richiesta di riesame proposta dal difensore di fiducia dell’indagato ha avuto per oggetto anche il merito del provvedimento cautelare, il potere di impugnazione in capo all’interessato deve ritenersi esaurito.
2. Sotto un altro profilo – ma sempre in conformità alla finalità della riforma di consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa – si deve escludere che il G.I.P. fosse tenuto a disporre la traduzione dell’ordinanza cautelare, con corrispondente diritto del ricorrente: questa Corte ha già affermato che, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 32 del 2014, la traduzione scritta dell’ordinanza applicativa di misura cautelare personale emessa all’esito di udienza di convalida alla quale lo straniero alloglotta in stato di fermo o arresto abbia partecipato con la regolare assistenza di un interprete non è necessaria in quanto l’indagato è stato reso edotto degli elementi di accusa a suo carico ed è posto in grado di proporre ricorso al tribunale del riesame. (Sez. 1, n. 48299 del 08/10/2014 – dep. 20/11/2014, S, Rv. 261162).
La pronuncia, su caso identico, rilevava che all’udienza di convalida si procede all’interrogatorio dell’indagato sugli elementi di accusa dei quali è stato reso edotto a mezzo dell’interprete, e del contenuto del provvedimento con il quale viene applicata la misura cautelare pronunciato nella stessa udienza di convalida l’indagato viene naturalmente a conoscenza – anziché attraverso la notifica del provvedimento, come nel caso di ordinanza pronunciata dal giudice in sua assenza (art. 391 cod. proc. pen., ex comma 7 o ex artt. 291 e ss. cod. proc. pen.) – con la lettura del provvedimento al quale l’indagato presenzia assistito dall’interprete; questi provvede, all’evidenza, ad una traduzione orale, ancorché sintetica, attraverso la quale potranno essere soddisfatte tutte le garanzie cui è finalizzata la norma che, in attuazione della direttiva, ha previsto espressamente il diritto alla traduzione scritta del provvedimento che dispone la misura cautelare distinto da quello all’assistenza all’interprete, prima fra tutte quella di mettere in grado l’indagato di impugnare la misura cautelare al tribunale del riesame, come è avvenuto nella specie.
Secondo un’interpretazione del novellato art. 143 cod. proc. pen. che, superando il mero dato letterale, si collochi in un ragionevole ambito logico e sistematico, deve escludersi che la previsione della necessaria traduzione scritta dell’ordinanza applicativa di misura cautelare personale si riferisca anche all’ipotesi in discorso, nella quale si offre all’interessato la maggiore garanzia di un contraddittorio anticipato e di una conoscenza più tempestiva del provvedimento a suo carico, con conseguente accelerazione anche dell’azionabilità dei rimedi impugnatori previsti, laddove l’imposizione di una inutile traduzione scritta del provvedimento stesso finirebbe per nuocere.
Coerente con tale lettura delle disposizioni esaminate è – oltre al disposto dell’art. 294 cod. proc. pen., comma 1, che esclude la necessità dell’interrogatorio “postumo” da parte del giudice che vi abbia provveduto nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo – anche la previsione, finalizzata a garantire all’indagato (in specie quello che non comprende la lingua italiana) tutte le necessarie informazioni ai fini dell’effettivo esercizio del diritto di difesa, di cui alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 101 del 2014, in attuazione della direttiva 2012/13/UE. Infatti, mentre nel caso di esecuzione di una ordinanza che applica la misura cautelare emessa in assenza dell’indagato l’informazione sulle facoltà ed i diritti, compreso quello all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali, deve essere effettuata attraverso una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e tradotta in lingua comprensibile allo straniero, al momento in cui viene eseguita l’ordinanza, secondo la previsione novellata dell’art. 293, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen. per l’indagato arrestato o fermato tali garanzie sono anticipate al momento dell’arresto o del fermo, attraverso gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, in cui pure è prevista, ex art. 386, commi 1 e I-bis modificato, cod. proc. pen. la medesima comunicazione scritta, ma con la possibilità che il giudice della convalida provveda a dare o completare l’informazione, ai sensi dell’art. 391, comma 2 cod. proc. pen. in tal senso novellato.
3. Si deve ancora aggiungere che il difensore ha dedotto una sua difficoltà a comprendere l’indagato: si tratta ovviamente di questione differente, concernente l’assistenza di un interprete ai colloqui tra indagato e difensore.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma I-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Leave a Reply