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Ne discende, pertanto, che il ricorso si appalesa inammissibile in quanto proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge.
6. I profili di doglianza prospettati in sede di primo motivo, si appalesano, in ogni caso anche manifestamente infondati, soprattutto alla luce del cospicuo apparato argomentativo e tenuto conto dei ristretti limiti del sindacato esercitabile da questa Corte (e dal tribunale del riesame) in sede di incidente cautelare reale. Questa Corte, ha, infatti, piu’ volte affermato che in tema di misure cautelari reali, sia nel giudizio di riesame sia in sede di sindacato di legittimita’, non e’ dato verificare la sussistenza del fatto reato ma solo accertare se la fattispecie astratta di reato ipotizzata dall’accusa trovi conforto nella previsione penale, sulla base della probabile commissione del fatto medesimo. Parimenti, per quel che attiene in particolare alle condizioni di applicabilita’ del sequestro preventivo nella fase delle indagini preliminari, devono configurarsi quelle ragioni di prevenzione e di attinenza della cosa da sequestrare con il fatto reato, come sopra prospettato, previste dall’articolo 321 c.p.p., commi 1 e 2, da verificare anch’esse in termini di sommarieta’ e provvisorieta’ (Sez. 6, n. 3590 del 26/11/1993 – dep. 07/02/1994, Pomicino ed altro, Rv. 196629).
Ed e’ questo cio’ che ha correttamente fatto il tribunale del riesame, anzitutto valutando il profilo della c.d. esterovestizione societaria riguardante le due societa’ in verifica. I giudici, infatti, hanno, quanto alle contestazioni relative ai capi da a) ad f), ritenuto che gli elementi indiziari in atti fossero idonei a sostenere la tesi della esterovestizione societaria, condividendo quanto argomentato dall’organo dell’accusa e ritenendo che quanto emergente dalla CNR fosse sufficiente a sostenere la prospettazione accusatoria. Nel pervenire a tale approdo, i giudici hanno correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di societa’ avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 5, sussiste se detta societa’ abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinche’ sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi (Sez. 3, n. 7080 del 24/01/2012 – dep. 23/02/2012, Barretta, Rv. 252102; Sez. 3, n. 32091 del 21/02/2013 – dep. 24/07/2013, Mazzeschi, Rv. 257043). Il ricorrente ha contestato tale approdo valutativo sostenendo che i giudici del riesame non avrebbero, per cosi’ dire, “modellato” la motivazione ritagliandola sulla struttura societaria della (OMISSIS) illustrando una serie di elementi che avrebbero escluso la sussistenza della c.d. estero vestizione.
Sul punto, a parte il rilievo che il ricorrente attraverso la prospettazione di tali elementi in sostanza chiede a questa Corte di sostituirsi alla valutazione operata dai giudici del riesame cosi’ cercando di sottoporre un controllo sulla logicita’ della motivazione (operazione del tutto vietata non solo in questa sede incidentale cautelare reale ex articolo 325 c.p.p., ma del tutto inibita in sede di legittimita’, tant’e’ che piu’ volte si e’ affermato che il controllo di legittimita’ sulla correttezza della motivazione non consente alla Corte di cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito in ordine alla ricostruzione storica delle vicenda ed all’attendibilita’ delle fonti di prova, e tanto meno di accedere agli atti, non specificamente indicati nei motivi di ricorso secondo quanto previsto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) come novellato dalla L. n. 46 del 2006, al fine di verificare la carenza o la illogicita’ della motivazione: Sez. 1, n. 20038 del 09/05/2006 – dep. 13/06/2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783), deve qui essere aggiunto che la questione “giuridica” che il ricorrente prospetta al fine di sollecitare l’intervento di questa Corte nell’esercizio del suo sindacato in presenza di un vizio di violazione di legge, viene affrontata dagli stessi giudici del riesame, osservando correttamente come dei versamenti dell’IVA da parte degli importatori delle autovetture commercializzate dalla (OMISSIS) nulla e’ dato sapere in quanto sarebbero stati solo ipotizzati come risultato di obblighi di legge ma non documentati. Si tratta di affermazione che – unitamente alle ulteriori due ragioni indicate a confutazione della prospettazione difensiva (v. supra) – non merita censura, in quanto costituisce frutto di una constatazione oggettiva circa la mancanza di prova circa l’assolvimento dell’IVA sulle autovetture commercializzate, rispetto alla quale la deduzione difensiva fondata sulla previsione del Decreto Legge n. 262 del 2006, articolo 1, comma 9, conv. in L. n. 286 del 2006 (secondo cui “Ai fini dell’immatricolazione o della successiva voltura di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi, anche nuovi, oggetto di acquisto intracomunitario a titolo oneroso, la relativa richiesta e’ corredata di copia del modello F24 per il versamento unitario di imposte, contributi e altre somme, a norma del Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n. 241, articolo 17 e successive modificazioni, recante, per ciascun mezzo di trasporto, il numero di telaio e l’ammontare dell’IVA assolta in occasione della prima cessione interna. A tale fine, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, al modello F24 sono apportate le necessarie integrazioni”), costituisce solo una argomentazione logica, ma di per se’ inidonea ad incidere sul ragionamento svolto da parte dei giudici del riesame.
7. Ed invero, tale misura, rappresentata da una particolare modalita’ di versamento dell’Iva posta a carico degli operatori commerciali del settore auto, in relazione alle vendite di autoveicoli nuovi ed usati oggetto di acquisti intracomunitari di cui al Decreto Legge 30 agosto 1993, n. 331, articolo 38, si aggiunge ad altre che il legislatore aveva introdotto precedentemente al fine di contrastare il fenomeno dell’evasione dell’IVA all’importazione nel settore del commercio autoveicoli. Si ricordano, sul punto, la L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, commi 378 e 386, (Finanziaria per il 2005), con cui il legislatore aveva inteso introdurre un’incisiva strumentazione di contrasto dei fenomeni di frode che affliggono endemicamente il settore del commercio, comunitario e non solo, di autoveicoli, subordinando (comma 378) l’immatricolazione dei veicoli di importazione alla trasmissione al Dipartimento dei trasporti terrestri (da effettuarsi con le modalita’ indicate nel successivo comma 379), entro 15 giorni dall’acquisto, dei dati identificativi degli stessi mezzi ed imponendo (comma 381) analoghi obblighi di comunicazione degli estremi delle dichiarazioni di intento ricevute anche ai cedenti ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8, comma 2, e prevedendo pesanti conseguenze, rappresentate da sanzioni e da nuove ipotesi di responsabilita’ solidale, a carico dei soggetti inadempienti. Di particolare rilevanza, ancora, rappresentava l’introduzione, ad opera dell’articolo 60-bis, comma 386 nel corpo del decreto Iva, a mente del quale, in relazione ai beni la cui individuazione era rimessa ad un apposito decreto ministeriale e per l’ipotesi di “mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale”, il cessionario e’ considerato solidalmente responsabile nel pagamento del tributo evaso, fatta salva la possibilita’ riconosciuta a quest’ultimo di poter “documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni e’ stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non e’ connesso con il mancato pagamento dell’imposta”.
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