Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 7 febbraio 2018, n. 2956. L’interrogatorio formale può essere liberamente rinunciato dalla parte che lo ha chiesto senza necessità di assenso delle controparti o del giudice.

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Considerato che:
1. Con il primo motivo, deducendo violazione degli articoli 356, 230, 232, 115 e 116 c.p.c., si lamenta che la corte d’appello abbia ammesso con ordinanza del 15/6-9/7/2013 l’interrogatorio formale degli attuali ricorrenti ed abbia poi disposto all’udienza del 16/10/2013 l’espletamento del mezzo, senza pero’ che vi si procedesse, stante la rinuncia della signora (OMISSIS) all’espletamento del mezzo istruttorio; e cio’ senza adesione degli odierni ricorrenti e della corte alla rinuncia stessa, nonche’ senza revoca dell’ammissione.
2. Il motivo e’ infondato. La corte d’appello di Torino ha motivato esplicitamente circa il non doversi espletare l’interrogatorio formale degli odierni ricorrenti, in quanto l’efficacia della rinuncia all’espletamento dell’interrogatorio formale da parte di chi lo abbia richiesto non e’ subordinata alla adesione dell’interrogando, ne’ a quella delle alle parti.
3. Tale principio di diritto merita continuita’. Questa corte (Cass. n. 681 del 29/3/1960 e n. 4240 del 29/12/1975) ha gia’ affermato che la rinuncia all’interrogatorio formale puo’ essere anche tacita e desumibile dal contegno della parte richiedente successivamente all’ammissione (ad es., ove siano state rassegnate le conclusioni), nonche’ intervenire anche durante l’espletamento del mezzo istruttorio, quale manifestazione dell’intento di non proseguire nell’ulteriore acquisizione di altre dichiarazioni della controparte, senza alcuna incidenza su quelle gia’ assunte.
4. Cio’ posto, va esaminata la contestazione dei ricorrenti contro la tesi, affermata dai giudici di merito, secondo la quale in materia di rinuncia all’interrogatorio formale non sarebbe necessaria adesione delle controparti e assenso del giudice. In argomento, in disparte ogni altra considerazione (circa il sussistere di un seppur successivo assenso del giudice, quale emergente dalla sentenza), la tesi dei ricorrenti trova avallo in un orientamento dottrinale che contesta il principio di libera rinunciabilita’ da parte del richiedente l’interrogatorio in quanto esso sarebbe in contrasto con l’altro principio dell’acquisizione della prova.
Non e’ questa la sede per esaminare la portata del principio di acquisizione probatoria, secondo cui le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte a iniziativa o a istanza della quale sono formulate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro. Al riguardo va pero’ detto – comunque – che questa corte (v. ad es. Cass. n. 20111 del 24/09/2014 e specificamente n. 15480 del 14/09/2012) intende tale principio come comportante soltanto l’impossibilita’ per le parti di disporre degli effetti delle prove ormai assunte (le quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte), non gia’ anche l’impossibilita’ di rinunciare a quelle solo dedotte, salvo i casi espressamente regolati diversamente dalla legge.
5. Al di la’, quindi, dell’applicazione di tale principio di acquisizione, va detto che l’esigenza dell’adesione della controparte e del consenso del giudice a un mezzo di prova solo articolato e non espletato e’ invero prevista dalla legge (articolo 245 c.p.c., comma 2) ma cio’ (significativamente) solo – per la rinuncia alla audizione dei testimoni.
L’esistenza di una siffatta previsione per l’audizione di testi e non per gli altri mezzi di prova sta nel fatto che la testimonianza affida, come precisato anche dalla corte territoriale, il chiarimento sui fatti di causa a terzi non interessati (v. articolo 246 c.p.c.), che depongono previa dichiarazione solenne (v. articolo 251 c.p.c.) e sotto sanzione penale prevista per le dichiarazioni false, previa ammissione da parte del giudice dei capitoli articolati (articoli 244 e 245 c.p.c.), controlli questi tutti assai piu’ penetranti rispetto a quelli dettati per l’interrogatorio formale, di regola sempre ammissibile (cfr. le pur remote Cass. n. 2867 del 19/07/1975 e n. 1578 del 26/04/1977). Avverso l’articolazione di prova per testi si esercitano, del resto, la specifica facolta’ di articolazione di prova contraria indiretta della controparte, anche mediante gli stessi testi indicati dalla parte richiedente (v. articolo 183 c.p.c., e gia’ l’articolo 244 c.p.c., comma 2), e l’ulteriore facolta’ del giudice di ascoltare anche i testi “dei quali ha consentito la rinuncia” (articolo 257 c.p.c.), facolta’ queste non previste e difficilmente ipotizzabili per le altre prove costituende stante la peculiare imparzialita’ che connota la fonte del solo mezzo testimoniale.
6. Rispetto, poi, all’obiezione secondo la quale il non subordinare l’efficacia della rinuncia all’interrogatorio formale al consenso dell’interrogando violerebbe il diritto alla prova di questi, che verrebbe privato della possibilita’ di rendere dichiarazioni che, al di la’ del capitolo deferito, possano chiarire i fatti di causa, va ricordato che – a differenza di altri ordinamenti in cui le parti hanno ampio spazio dichiarativo, potendo sollecitare il proprio interrogatorio, talora pero’, e opportunamente in tali contesti, con l’obbligo di dire il vero l’interrogatorio formale nel rito civile italiano puo’ essere richiesto solo dalla controparte e non dall’interrogando (Cass. n. 3641 del 09/08/1977): l’obiettivo da raggiungere e’ essenzialmente quello, antiprocessuale, della confessione (“provocata mediante” l’interrogatorio, secondo il testo dell’articolo 228 c.p.c.), mentre “non possono farsi domande su fatti diversi da quelli formulati nei capitoli” (articolo 230 cit.). La circostanza per cui l’interrogatorio formale e’ circondato da garanzie per lo stesso interrogando, per cui non puo’ debordare dal suo oggetto, e’ del resto comprovata dal fatto che le risposte alle domande non “formalmente” poste (e su cui la parte non ha potuto previamente riflettere, assistita dal difensore), da farsi ricadere nell’ambito dell’interrogatorio libero, non possono valere come confessione stante l’eccettuazione che l’articolo 229 c.p.c., fa rispetto al “caso dell’articolo 117 c.p.c.”. D’altro canto, se e’ vero che le dichiarazioni aggiunte alla confessione trovano disciplina nella legge (articolo 2734 c.c.), e’ anche vero che, per quanto detto, nell’ambito dell’interrogatorio formale esse non possono che avere uno spazio limitato, subordinatamente – stavolta, in senso opposto a quello assunto dai ricorrenti – all’accordo di parti e giudice (v. articolo 230 c.p.c., comma 3).

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