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Ne’ puo’ rilevare in senso contrario la circostanza che l’emissione di sostanze inquinanti da parte di uno stabilimento industriale, analogamente a quanto riscontrabile con riferimento all’attivita’ produttiva della Centrale di (OMISSIS), non sempre possiede connotazioni tali da potere essere considerato un macroevento naturalisticamente distruttivo.
Invero, recepita la nozione unitaria di disastro alla quale ci si e’ riferiti nel paragrafo 2.1.1, cui si deve rinviare, non e’ possibile limitare l’applicazione dell’articolo 434 c.p. ai soli fenomeni naturalistici macroscopici, visivamente percepibili, nella direzione ermeneutica prefigurata dalla sentenza impugnata, che escludeva erroneamente tutti i fenomeni distruttivi prodotti da emissioni tossiche che, come nel caso di specie, alterano negativamente e continuativamente l’ambiente circostante allo stabilimento industriale e la qualita’ dell’ecosistema, determinando imponenti processi di deterioramento di lunga durata delle condizioni di vivibilita’ umana.
In questo contesto sistematico, priva di rilievo appare la circostanza che, nel corso degli anni, il legislatore italiano interveniva ripetutamente per sanare la situazione di inquinamento ambientale causata dalla Centrale termoelettrica di (OMISSIS), adeguando ex post i livelli delle emissioni tossiche prodotte dallo stabilimento in questione alla situazione di degrado ambientale – come detto incontroverso e non contestato dagli imputati – venutasi a creare nell’area del Delta del Po rodigino.
Osserva, in proposito, il Collegio che la rilevanza di questi interventi legislativi, ai fini dell’esclusione dell’antigiuridicita’ delle condotte di (OMISSIS) e (OMISSIS), che costituisce il principale degli argomenti su cui la Corte di appello di Venezia fondava il suo giudizio assolutorio nei confronti degli imputati, appare smentita dalle risultanze processuali. Condizione di antigiuridicita’ – e’ bene ribadirlo – che deve essere esclusa per (OMISSIS), in relazione al quale le emergenze probatorie hanno consentito di affermare la sua estraneita’ ai fatti che gli vengono contestati, fin dal giudizio di primo grado, conclusosi con la sentenza emessa dal Tribunale di Rovigo il (OMISSIS)2014.
Queste considerazioni, innanzitutto, trascurano di considerare che gli interventi legislativi succedutisi nel corso degli anni, a partire dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988, avevano una funzione meramente transitoria e imponevano l’attivazione dei vertici della societa’ (OMISSIS) s.p.a. allo scopo di ridurre l’impatto ambientale inquinante dell’attivita’ produttiva della Centrale di (OMISSIS). Ne consegue che tale argomento finisce per costituire la dimostrazione della consapevolezza di (OMISSIS) e (OMISSIS) delle condizioni di inquinamento in cui operava lo stabilimento di (OMISSIS) e dell’incompatibilita’ di tale attivita’ produttiva con la situazione di salvaguardia del Delta del Po rodigino; condizioni di incompatibilita’ ambientale che, sulla base di una precisa scelta aziendale, legata a esigenze di massimizzazione dei profitti societari, non venivano mai rimosse dai predetti degli imputati.
Deve, al contempo, evidenziarsi che l’esistenza delle disposizioni normative alle quali si richiama la Corte territoriale veneziana non legittima, di per se’ solo, l’attivita’ di inquinamento portata avanti da (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’arco temporale compreso tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), atteso che tale affermazione, tendente a escludere l’antigiuridicita’ delle loro condotte, cosi’ come contestate al capo B della rubrica, postula la buona fede dei predetti imputati, che, per le ragioni che si sono esposte, deve essere esclusa.
A differenti conclusioni si sarebbe dovuto giungere laddove fosse emerso che i predetti imputati non erano pienamente consapevoli della situazione di inquinamento ambientale prodotta dalla Centrale di (OMISSIS), atteso che, in questo caso, le prescrizioni normative in questione avrebbero reso il loro comportamento se non legittimo quantomeno privo di antigiuridicita’. Le emergenze probatorie, tuttavia, rendono evidente l’atteggiamento pienamente consapevole di (OMISSIS) e (OMISSIS) delle condizioni di deterioramento ambientale prodotte dallo stabilimento di (OMISSIS) che, difatti, nel luglio del 2009, veniva definitivamente chiuso sotto l’amministrazione di (OMISSIS), il quale – unico tra i tre imputati – poneva in essere un comportamento gestionale concretamente finalizzato alla risoluzione della situazione di degrado ambientale che si sta considerando.
2.1.3. Chiarita quale sia la nozione di disastro prefigurata dall’articolo 434 c.p. e come la stessa possa essere applicata alle condotte delittuose contestate agli imputati al capo B della rubrica, occorre confrontarsi con un’ulteriore questione ermeneutica, riguardante la natura dell’ipotesi prevista dal comma 2 di tale disposizione, cui l’atto di impugnazione introduttivo del presente procedimento si riferisce, sia pure promiscuamente, nel terzo, nel quarto e nel quinto motivo di ricorso, chiedendone il riconoscimento, concordemente escluso dal Tribunale di Rovigo e dalla Corte di appello di Venezia.
Osserva il Collegio che, secondo l’originaria contestazione accusatoria, l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’articolo 434 c.p., comma 2 discendeva dall’aumento dell’11% dei ricoveri di minori di eta’ pediatrica residenti nell’area geografica interessata dalla Centrale di (OMISSIS), riscontrato, per l’arco temporale compreso tra il 1998 e il 2002, in riferimento alle patologie respiratorie indicate nella tabella 4 del capo B della rubrica. Tali infermita’, in particolare, venivano accertate sulla base di un’indagine epidemiologica condotta sui minori infraquattordicenni residenti nei Comuni di (OMISSIS), che gravitavano nel territorio rodigino interessato dalle emissioni tossiche della Centrale termoelettrica di (OMISSIS).
Tanto premesso, deve anzitutto evidenziarsi che la giurisprudenza di questa Corte e’ assolutamente concorde nel ritenere che la fattispecie dell’articolo 434 c.p., comma 2 introduce un’ipotesi di reato aggravato dall’evento. Basti, in proposito, richiamare, tra le numerose pronunce di legittimita’ intervenute sul tema in questione, le seguenti decisioni: Sez. 4, n. 15444 del 18/01/2012, Tedesco, Rv. 253501; Sez. 3, n. 46189 del 14/07/2011, Passariello, Rv. 251592; Sez. 4, n. 36626 del 05/05/2011, Mazzei, Rv. 251428; Sez. 1, n. 1332 del 14/12/2010, Zonta, Rv. 249283; Sez. 1, n. 7629 del 24/01/2006, Licata, Rv. 233135.
Ne’ possono rilevare, in senso contrario, gli argomenti che si fondano sulla natura di delitto di pericolo dell’ipotesi disciplinata dall’articolo 434 c.p., comma 1 e sull’assimilabilita’ di questa fattispecie di reato al modello di incriminazione del tentativo.
Invero, come evidenziato nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 69 della decisione di legittimita’ intervenuta nel processo “Eternit”, non e’ contestabile che il primo comma dell’articolo 434 c.p., comma 1 “preveda un’ipotesi a consumazione anticipata, riconducibile allo schema del delitto di attentato, ovvero del tentativo (…)” (Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014, dep. 2015, Schmidheiny, cit.).
Tuttavia, tali profili dogmatici non assumono un rilievo decisivo ai fini dell’inquadramento della fattispecie dell’articolo 434 c.p., comma 2, rispetto alla quale, come evidenziato nel passaggio motivazionale immediatamente successivo della stessa sentenza di legittimita’, esplicitato nelle pagine 69 e 70, occorre comprendere comprendere che “il legislatore, in questo come in altri analoghi delitti di attentato, ha inteso delineare autonomamente una fattispecie a consumazione anticipata, sottraendola alle regole generali della disciplina del tentativo, cosi’ rendendo, tra l’altro, irrilevanti le evenienze dell’articolo 56 (…), commi 3 e 4 e strutturando quindi alla stregua di fattispecie aggravata l’ipotesi dell’evento realizzato. La conformazione del delitto come fattispecie di attentato eventualmente aggravato dall’evento corrisponde dunque ad una precisa scelta normativa, sorretta dalla medesima logica di politica criminale che assiste l’opzione di arretrare, eccezionalmente, la soglia della consumazione (…)”. Ne consegue che la possibilita’ di affermare l’inconciliabilita’ della configurazione dell’evento realizzato come fattispecie aggravata del delitto di attentato, ha “il difetto di pretendere di interpretare la disciplina particolare del delitto di attentato sulla base delle regole generali riferibili al delitto tentato: istituto simile, ma al quale il legislatore, disegnando la fattispecie come delitto di attentato, deliberatamente ha voluto non si facesse ricorso” (Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014, dep. 2015, Schmidheiny, cit.).
In questa cornice, non si puo’ non rilevare che la concretizzazione del disastro, cosi’ come prefigurata dall’articolo 434 c.p., comma 2, alla stregua di una circostanza aggravante, non comporta che, ai fini dell’individuazione della data di consumazione del reato e della decorrenza dei termini di prescrizione, l’evento non debba essere considerato.
Una tale opzione ermeneutica, infatti, non tiene conto del fatto che il reato deve ritenersi consumato allorche’ la fattispecie e’ compiutamente realizzata in tutti i suoi elementi costitutivi, realizzando una piena corrispondenza tra il modello legale di incriminazione prefigurato dalla fattispecie di volta in volta considerata e il comportamento illecito oggetto di vaglio.
Si consideri, in proposito, che la giurisprudenza di legittimita’ che sopra si e’ richiamata (Sez. 4, n. 15444 del 18/01/2012, Tedesco, cit.; Sez. 3, n. 46189 del 14/07/2011, Passariello, cit.; Sez. 4, n. 36626 del 05/05/2011, Mazzei, cit.; Sez. 1, n. 1332 del 14/12/2010, Zonta, cit.; Sez. 1, n. 7629 del 24/01/2006, Licata, cit.) tende a distinguere tra la perfezione del reato e la sua consumazione, affermando che la realizzazione di tutti gli elementi della fattispecie nel loro contenuto essenziale coincide con la perfezione del reato, segnando la linea di demarcazione indispensabile alla configurazione del tentativo. Tuttavia, tale coincidenza non necessariamente ne esaurisce la consumazione, che deve essere intesa quale momento in cui il reato perfetto si configura, tenuto conto del modello legale costituito dalla fattispecie incriminatrice, in questo caso rappresentata dal delitto di cui all’articolo 434 c.p., comma 2.
Ne discende che, come evidenziato nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 69 della decisione di legittimita’ intervenuta nel processo “Eternit”, il riferimento alla consumazione del reato “non significa esaurimento di tutti gli effetti dannosi collegati o collegabili alla realizzazione della fattispecie, giacche’: o gli effetti dannosi coincidono con l’evento, ed allora l’esaurimento coincide con la consumazione; oppure si tratta di effetti ulteriori, ed allora questi possono essere presi in considerazione ai fini della gravita’ del reato o del danno risarcibile, ma non incidono sul momento consumativo del reato” (Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014, dep. 2015, Schmidheiny, cit.).
La distinzione, in questo modo, finisce per coincidere con quella tra inizio e cessazione della consumazione, assumendo rilevanza, ai fini del decorso del termine della prescrizione, nei reati a consumazione protratta per definizione normativa, quali sono i reati permanenti (Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, Cavallaro, Rv. 221400; Sez. U, n. 18 del 14/07/1999, Lauriola, Rv. 213932) ovvero i reati necessariamente abituali.
Queste distinzione, al contempo, non svolge alcuna funzione di differenziazione sistematica rispetto all’individuazione del momento consumativo del reato e del dies a quo per il calcolo dei termini di prescrizione, con specifico riferimento agli effetti prolungati o permanenti dei reati istantanei (Sez. U, n. 3 del 22/03/1969, Brunetti, Rv. 111410; Sez. U, n. 8 dei 28/02/2001, Ferrarese, Rv. 218768).
Ne’ potrebbe essere diversamente, atteso che, nei reati a effetti permanenti, non si ha il protrarsi dell’offesa dovuta alla persistente condotta dell’agente, ma il solo protrarsi delle conseguenze dannose del reato, nel valutare le quali occorre considerare che tutti i reati possono produrre effetti piu’ o meno irreparabili in relazione ai singoli casi concreti. Da questo punto di vista, non si puo’ non ribadire la giurisprudenza di questa Corte, laddove afferma che quella dei reati a effetti permanenti e’ una categoria priva di autonomia sistematica, rilevando esclusivamente allo scopo di distinguere i reati permanenti, quelli abituali e quelli a consumazione prolungata (Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014, dep. 2015, Schmidheiny, cit.).
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