Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 19 gennaio 2018, n. 2209. Alla fattispecie prevista dall’art. 434 cod. pen., possono essere ricondotti non soltanto gli eventi disastrosi di grande immediata evidenza che si verificano magari in un arco di tempo ristretto, ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili

segue pagina antecedente
[…]

Sulla base di tale ineccepibili considerazioni, il Tribunale di Rovigo, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 78 della sentenza di primo grado, evidenziava conclusivamente che “a fronte di tale dato, non e’ possibile ravvisare (…) un “macroevento” che abbia concretamente prodotto danni “gravi, complessi ed estesi” alle persone, tali da assumere le caratteristiche necessarie per la configurabilita’ di un disastro”.
Questa impostazione, a sua volta, veniva recepita dalla sentenza impugnata, emessa dalla Corte di appello di Venezia il (OMISSIS)2017, che evidenziava come il concretizzarsi del pericolo per la lesione di beni personali costituiva un dato estraneo ai requisiti necessari per l’integrazione del reato di disastro innominato, con la conseguenza che l’eventuale verificarsi di singoli eventi lesivi per la vita o l’integrita’ fisica – analoghi a quelli indicati nella tabella 4 del capo B della rubrica – poteva considerarsi come l’individualizzazione del pericolo comune, ma risultava inidoneo a concretizzare l’aggravamento circostanziale previsto dall’articolo 434 c.p., comma 2.
Ne discendeva che, come correttamente evidenziato nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 73 della sentenza impugnata, nel caso in esame “l’evento del reato non puo’ che essere ricondotto ad una situazione di macroscopico inquinamento dell’aria (…), che comporta, sotto il profilo della sua proiezione naturalistica, il pericolo di malattie respiratorie estese e di una certa gravita’ che interessino un numero indeterminato di persone”.
Sulla scorta di tale ineccepibile e conforme percorso argomentativo, i Giudici di merito escludevano la possibilita’ di configurare la circostanza aggravante prevista dall’articolo 434 c.p., comma 2 cosi’ come contestata agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), non potendosi ritenere l’aumento delle patologie respiratorie sopra richiamato una concretizzazione dell’evento disastroso contestato al capo B della rubrica, conformemente alla giurisprudenza di legittimita’ consolidata richiamata nei paragrafi 2.1.3 e 2.1.3.1, cui si deve ulteriormente rinviare.
Deve, infine, rilevarsi che queste conclusioni sull’insussistenza del reato aggravato dall’evento di cui all’articolo 434 c.p., comma 2 riverberano i loro effetti sul computo della prescrizione del delitto contestato al capo B a (OMISSIS) e (OMISSIS), nei termini di cui si dira’ nel paragrafo 3, cui si deve ulteriormente rinviare.
2.3. La terza questione ermeneutica di carattere generale su cui occorre soffermarsi riguarda la configurazione del concorso nel reato di cui al capo B della rubrica, proposta dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, nell’ambito dei primi due motivi di ricorso, in correlazione ai principi che sovrintendono all’esercizio dei poteri di cognizione da parte del giudice di secondo grado.
Secondo la parte ricorrente, la Corte di appello di Venezia, nella motivazione della sentenza impugnata, aveva ritenuto di svolgere alcune “considerazioni preliminari sulla impostazione accusatoria e sulla formulazione dei capi di imputazione”, soffermandosi sull’incriminazione del reato di cui al capo B, cosi’ come ascritto agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione al quale si ravvisavano i soli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 434 c.p., comma 1, che il pubblico ministero aveva contestato in forma concorsuale.
In questo modo, non si teneva conto del fatto che, negli atti di appello proposti dalle singole parti, la questione dell’inquadramento del reato di cui al capo B e della forma concorsuale con cui veniva contestato non era stata dedotta dagli appellanti. L’operazione di ermeneutica processuale compiuta dalla Corte territoriale veneziana, quindi, non considerava che tale questione applicativa non aveva costituito oggetto di impugnazione a opera delle parti, le quali non avevano contestato l’esistenza del concorso doloso degli amministratori delegati della societa’ (OMISSIS) s.p.a., succedutisi dal (OMISSIS) al (OMISSIS).
Ne derivava che, escludendo la possibilita’ di configurare il concorso doloso nel reato di cui all’articolo 434 c.p., comma 1, cosi’ come contestato agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello di Venezia effettuava un’atomizzazione dei loro comportamenti illeciti, senza tenere conto del fatto che, su tali punti della pronunzia emessa dal Tribunale di Rovigo il (OMISSIS)2014, si era formato il giudicato.
Osserva, in proposito, il Collegio che, attraverso tali doglianze, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia introduceva due differenti questione processuali, riguardanti i poteri di cognizione del giudice di appello conseguenti all’introduzione del giudizio di secondo grado e l’esclusione della forma concorsuale dell’ipotesi delittuosa di cui al capo B della rubrica, contestata ai sensi dell’articolo 434 c.p., comma 1, agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Di tali doglianze, che venivano proposte promiscuamente dalla parte ricorrente, occorre occuparsi partitamente.
2.3.1. Occorre anzitutto occuparsi della questione processuale sollevata dalla parte ricorrente in relazione ai poteri di cognizione di cui dispone il giudice di appello, a seguito dell’introduzione del giudizio di secondo grado, conseguente all’impugnazione delle parti, evidenziandosi che costituisce espressione di un orientamento ermeneutico incontroverso quello secondo cui, nel giudizio di appello, si verifica la piena devoluzione della cognizione rispetto alla decisione impugnata.
Sul punto, e’ sufficiente richiamare il principio di diritto, pacificamente applicabile al caso di specie, secondo cui: “L’appello del P.M. contro la sentenza di assoluzione emessa all’esito del dibattimento, salva l’esigenza di contenere la pronuncia nei limiti della originaria contestazione, ha effetto pienamente devolutivo, attribuendo al giudice “ad quem” gli ampi poteri decisori previsti dall’articolo 597 c.p.p., comma 2, lettera b). Ne consegue che, da un lato, l’imputato e’ rimesso nella fase iniziale del giudizio e puo’ riproporre, anche se respinte, tutte le istanze che attengono alla ricostruzione probatoria del fatto ed alla sua consistenza giuridica; dall’altro, il giudice dell’appello e’ legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, non essendo vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello e non potendo comunque sottrarsi all’onere di esprimere le proprie determinazioni in ordine ai rilievi dell’imputato” (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, cit.).
Ne discende che l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo, avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Rovigo il (OMISSIS)2014, esplicava un effetto pienamente devolutivo, con la conseguenza che, attribuendo al giudice di secondo grado gli ampi poteri giurisdizionali previsti dall’articolo 597 c.p.p., comma 2, lettera b), legittimava la rivalutazione da parte della Corte di appello di Venezia dei profili concorsuali censurati dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia.
Pertanto, la Corte territoriale veneziana, al contrario di quanto dedotto dalla parte ricorrente, non violava i limiti posti ai suoi poteri di cognizione dall’articolo 597 c.p.p., comma 2, lettera b), affrontando correttamente la questione relativa alla configurazione concorsuale del reato di cui al capo B della rubrica, che, peraltro, era stata sollevata nello stesso appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo.
2.3.2. Quanto all’ulteriore profilo censorio, relativo all’esclusione della forma concorsuale dell’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 434 c.p., comma 1 nei confronti degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), deve rilevarsi che la doglianza in esame non tiene conto del fatto che i reati omissivi impropri consentono di incriminare l’agente, sulla base della clausola di equivalenza prefigurata dall’articolo 40 c.p., comma 2 – a tenore della quale: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” – che la Corte di appello di Venezia, attraverso un percorso argomentativo esente da discrasie motivazionali, non riteneva applicabile nel caso di specie.
Nell’effettuare tale verifica, la Corte territoriale veneziana valutava correttamente la possibilita’ di configurare una posizione di garanzia nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che ne imponeva una valutazione correlata al ruolo apicale svolto all’interno della societa’ (OMISSIS) s.p.a. dagli imputati, nel rispetto della giurisprudenza consolidata di questa Corte in tema di reato omissivo improprio, secondo cui: “La titolarita’ di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilita’ colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso” (Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv. 264128; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 34375 del 30/05/2017, Fumarulo, Rv. 270823; Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016, dep. 2017, Ferrentino, Rv. 270380; Sez. 4, n. 7783 dell’11/02/2016, Montaguti, Rv. 266356).
Ne’ era possibile ipotizzare soluzioni ermeneutiche alternative, atteso che l’applicazione del principio di colpevolezza esclude ogni automatismo rispetto all’addebito di responsabilita’ penale, imponendo la verifica in concreto sia della regola cautelare sia della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento, che la regola medesima mira a prevenire. L’individualizzazione della responsabilita’ penale imponeva, quindi, di verificare se le condotte gestionali di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero concorso a determinare l’evento in violazione di una regola cautelare e se gli imputati potevano prevedere, con un giudizio ex ante, lo specifico sviluppo causale disastroso, attivandosi per impedirne la concretizzazione (Sez. 4, n. 5404 dell’08/01/2015, Corso, Rv. 262033; Sez. 4, n. 1819 del 03/10/2014, Di Domenico, Rv. 261768; Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526).
In questa cornice, non si possono non condividere le considerazioni esplicitate nelle pagine 66 e 67 della sentenza impugnata, in cui la Corte di appello di Venezia affermava conclusivamente “la difficolta’ di ipotizzare un concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p. nel caso di comportamenti tenuti da amministratori che si sono succeduti in tempi diversi nella carica (…)”. E ancora: “Pur a volere ammettere la “rilevanza concorsuale” del contributo di ciascuno (…), e’ impossibile affermare una consapevolezza da parte del singolo amministratore della condotta del suo successore, che potrebbe adottare, nella sua autonomia, comportamenti “convergenti o divergenti rispetto a quelli del suo predecessore”.
Queste considerazioni impongono di ribadire la correttezza del percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello di Venezia per escludere la configurazione in forma concorsuale dell’ipotesi delittuosa di cui al capo B della rubrica.
3. Ricostruito il contesto ermeneutico nel quale collocare la vicenda processuale in esame, occorre anzitutto ribadire la declaratoria di inammissibilita’ per intervenuta prescrizione del reato di cui all’articolo 434 c.p., comma 1 nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
Deve, in proposito, ribadirsi che i termini di prescrizione risultano interamente decorsi, per le ragioni esplicitate nel paragrafo 2.1.4.1, cui si rinvia, per l’imputato (OMISSIS) alla data del 14/12/2009, mentre, per l’imputato (OMISSIS) alla data del 21/12/2012. Ne consegue che, per i predetti imputati la prescrizione del reato per la quale veniva riconosciuta la colpevolezza da parte del Tribunale di Rovigo interveniva in epoca antecedente all’emissione della sentenza di primo grado, pronunciata il (OMISSIS)2014.
Osserva il Collegio che la declaratoria di inammissibilita’ per intervenuta prescrizione – i cui effetti si riverberano sulle statuizioni civili, per le quali e’ preclusa ogni deliberazione in questa sede processuale per le ragioni gia’ esplicitate nel paragrafo 2.1.4.1 – discende dal contesto sistematico che governa nel sistema processuale penale la nozione di interesse a impugnare, intesa, nell’accezione utilitaristica prefigurata dall’articolo 568 c.p.p., comma 4, quale condizione dell’impugnazione e quale requisito soggettivo del diritto esercitato attraverso la proposizione del gravame. Tale connotazione utilitaristica dell’impugnazione risulta costituita da una finalita’ processuale negativa, consistente nell’obiettivo di rimuovere la situazione di svantaggio derivante dalla decisione giudiziale avverso la quale si ricorre, costituita nel nostro caso dalla sentenza emessa il (OMISSIS)2017 dalla Corte di appello di Venezia, nonche’ da una finalita’ processuale positiva, consistente nel perseguimento di un’utilita’, latu sensu intesa, per la posizione della parte ricorrente, finalizzata all’ottenimento di una decisione piu’ vantaggiosa rispetto a quella oggetto d’impugnazione.
Sul punto, non si puo’ che ribadire l’orientamento consolidato di questa Corte, richiamando il principio di diritto secondo cui: “Nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non puo’ essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalita’ negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilita’, ossia di una decisione piu’ vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo” (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693).
Ne discende che il requisito dell’interesse a impugnare deve configurarsi in termini di immediatezza, concretezza e attualita’, oltre che sussistere sia al momento della proposizione del gravame sia al momento della sua decisione, affinche’ questa possa avere un’effettiva incidenza sulla situazione giuridica devoluta alla verifica del giudice dell’impugnazione, costituita, nel caso in esame, dal giudizio di responsabilita’ nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), che veniva affermato dal Tribunale di Rovigo ed escluso dalla Corte di appello di Venezia.
Questo requisito, dunque, presupponeva una valutazione della persistenza, al momento della proposizione del ricorso per cassazione, di un interesse all’impugnazione in capo al Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, la cui attualita’ doveva sussistere all’atto della presentazione del gravame oggetto di vaglio – al contrario di quanto riscontrabile nel nostro caso in conseguenza della maturazione dei termini di prescrizione in epoca antecedente all’emissione della sentenza di primo grado pronunciata, come detto, il (OMISSIS)2014 – e non doveva essere venuta meno per la mutata situazione di fatto o di diritto eventualmente intervenuta con riferimento alla posizione del soggetto impugnante. Tali conclusioni discendono dal fatto che l’interesse a impugnare prefigurato dall’articolo 568 c.p.p., comma 4, quale condizione di ammissibilita’ di qualsiasi impugnazione deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento impugnabile e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di quell’atto, una situazione pratica piu’ vantaggiosa per la parte impugnante (Sez. 6, n. 14510 del 09/03/2016, Tarantino, Rv. 266677; Sez. 5, n. 32850 del 30/06/2011, Giuffrida, Rv. 250578; Sez. 3, n. 24272 del 24/03/2010, Abagnale, Rv. 247685).
Ne’ potrebbe essere diversamente, atteso che la nozione di interesse a impugnare della parte ricorrente, quale condizione indispensabile dell’impugnazione, a prescindere dalla sua introduzione nel sistema processuale penale, risalente al codice di rito del 1930, costituisce, come affermato dalle Sezioni unite, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 5 della sentenza sopra citata, un principio storicamente presente nell’ordinamento giuridico, integrando “un canone generale, ampiamente gia’ elaborato, in particolare dai processualisti del settore civile e proclamato costantemente dalla giurisprudenza di legittimita’”. Le Sezioni unite, inoltre, affermavano: “Dal 1930 in poi il sistema delle impugnazioni penali ha subito, con riferimento alla problematica dell’interesse ad impugnare, una continua evoluzione, che ha portato a profonde modifiche del settore, nel senso che v’e’ stata una progressiva estensione della titolarita’ del diritto d’impugnazione, operata attraverso l’accreditamento di un piu’ ampio concetto d’interesse, ravvisato comunque sempre nella finalita’ di rimuovere un pregiudizio, persino se derivante da una pronuncia favorevole, che incide, pero’, negativamente nella sfera giuridica o in quella morale della parte” (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, cit.).
Il vigente codice di procedura penale, del resto, ha avallato e integrato il percorso ermeneutico avviato dal codice di procedura penale del 1930, tanto che e’ vero che la L.-delega 16 febbraio 1987, n. 81, recante “Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale”, all’articolo 2, n. 86 di tale testo legislativo, prevedeva espressamente il “riconoscimento del diritto d’impugnazione dell’imputato prosciolto che vi abbia interesse”.
L’interesse a impugnare della parte ricorrente, pertanto, deve essere colto, come affermato dalle Sezioni unite, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 6 della pronuncia di legittimita’ gia’ citata, nella “finalita’, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere lo svantaggio processuale e, quindi, il pregiudizio derivante da una decisione giudiziale ovvero deve essere individuato (…) facendo leva sul concetto positivo di utilita’ che la parte mira a conseguire attraverso l’esercizio del diritto di impugnazione e in coerenza logicamente con il sistema legislativo” (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, cit.).
In questa cornice, la facolta’ di attivare i procedimenti di gravame non puo’ ritenersi assoluta e indiscriminata, ma e’ subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento giurisdizionale risulta idoneo a produrre un pregiudizio processuale e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso per la parte ricorrente. Ne consegue che non puo’ ammettersi l’esercizio del diritto all’impugnazione da parte del soggetto avente di mira la sola correttezza giuridica della decisione, senza che alla posizione processuale del ricorrente, in conseguenza della proposizione del gravame, consegua alcun risultato concreto, analogamente a quanto riscontarabile nel caso in esame, tenuto conto del fatto che la prescrizione del reato di cui al capo B risulta maturata in epoca antecedente alla sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Rovigo il (OMISSIS)2014.
Non e’, dunque, possibile ipotizzare un’impugnazione finalizzata alla mera affermazione di principi di diritto, svincolati dalle concrete risultanze processuali, in considerazione del fatto che, come affermato dalle Sezioni unite nella pronuncia in esame, nelle ipotesi in cui il ricorso e’ dichiarato inammissibile, la Corte di cassazione “non puo’ enunciare d’ufficio il principio di diritto nell’interesse della legge, anche quando tale pronuncia non abbia alcun effetto sul provvedimento del giudice di merito, poiche’ nel sistema processuale penale non e’ applicabile per analogia la disposizione di cui all’articolo 363 c.p.c., che disciplina l’esercizio del corrispondente potere nell’ambito del processo civile” (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251692).
Ricostruita in questi termini la nozione di interesse a impugnare, deve escludersi la sussistenza di un interesse del Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia a proporre impugnazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione alla formulazione del giudizio di assoluzione espresso dal Giudice di secondo grado nei loro confronti per il reato di cui all’articolo 434 c.p., comma 1.
Ne’ rilevano ai presenti fini le residue questioni civili, cosi’ come decise dal Tribunale di Rovigo, dovendosi in proposito ribadire, conformemente a quanto gia’ esposto nel paragrafo 2.1.4.1, cui si deve rinviare, la prevalenza, relativamente alla posizione di (OMISSIS) e (OMISSIS), della declaratoria di estinzione del reato di cui al capo B, la cui causa, essendosi verificata prima dell’emissione della sentenza di primo grado e non dipendendo da ulteriori verifiche giurisdizionali, riservate al giudice del merito, inibisce la retrocessione del giudizio e travolge tutte le statuizioni civili precedentemente rese (Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, cit.; Sez. 6, n. 9081 del 21/02/2013, Colucci, cit.; Sez. 2, n. 5705 del 29/01/2009, Somma, cit.; Sez. 6, n. 33398 del 19/09/2002, Rusciano, cit.; Sez. 4, n. 10300 del 25/09/1997, De Meo, cit.; Sez. 2, n. 3899 del 21/12/1990, Pizzillo, cit.).
3.1. Le considerazioni che si sono esposte impediscono di esaminare il merito delle doglianze formulate dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia con riferimento alla posizione di (OMISSIS) e (OMISSIS), risultando la carenza di legittimazione a impugnare riscontrata nel caso di specie preclusiva rispetto al vaglio delle censure proposte con il ricorso in esame.
4. Ad analoghe conclusioni deve giungersi con riferimento all’imputato (OMISSIS), pur nel contesto di un differente percorso argomentativo, atteso che, con riferimento alla sua posizione processuale, il reato contestato al capo B della rubrica, ai sensi dell’articolo 434 c.p., comma 1, risulta prescritto il (OMISSIS)2017, in epoca antecedente alla proposizione del ricorso in esame, datato 01/06/2017, ma successiva all’emissione della sentenza di appello, pronunciata il (OMISSIS)2017.
Osserva, in proposito, il Collegio che, nei confronti di (OMISSIS), il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia si incentrava esclusivamente sull’esatta configurazione del reato di cui all’articolo 434 c.p., comma 1, atteso che il delitto di cui al capo B, a differenza degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), veniva contestato all’imputato in esame in forma semplice.
In questa cornice, occorre preliminarmente evidenziare che, nel caso in esame, non e’ possibile fare applicazione al caso di specie dell’articolo 578 c.p.p., a tenore del quale: “Quando nei confronti dell’imputato e’ stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.
Nel caso di specie, l’inapplicabilita’ dell’articolo 578 c.p.p. discende dal fatto che l’imputato (OMISSIS) veniva assolto dal reato di cui all’articolo 434 c.p., comma 1 con la sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Rovigo il (OMISSIS)2014, che veniva confermata dalla decisione pronunciata il (OMISSIS)2017 dalla Corte di appello di Venezia, con la conseguenza che, nei suoi confronti, non residua alcuna statuizione civile in relazione alla quale e’ possibile intervenire ulteriormente.
Ne’ e’ possibile ipotizzare, analogamente a quanto affermato a proposito degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), un ulteriore intervento di questo Collegio, finalizzato a valutare la correttezza formale della decisione impugnata, dovendosi ribadire che, nel nostro sistema processuale penale, non e’ ammissibile l’esercizio di un diritto di impugnazione da parte del pubblico ministero, riguardante l’esattezza teorica della decisione gravata, senza che alla posizione giuridica del soggetto ricorrente derivi alcun risultato pratico, atteso che l’impugnazione mira a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un interesse meramente astratto. Sul punto, non si puo’ che richiamare la giurisprudenza di legittimita’ consolidata, secondo cui: “Il ricorso per cassazione del P.M. diretto a ottenere l’esatta applicazione della legge processuale deve essere caratterizzato dalla concretezza e attualita’ dell’interesse da verificare in relazione all’idoneita’ dell’impugnazione a rimuovere gli effetti che si assumono pregiudizievoli” (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244110).
E’ pacifico, del resto, che, nel presente procedimento, la posizione processuale di (OMISSIS), cosi’ come definita nei giudizi di merito, non potrebbe essere utilmente rivalutata, sotto il profilo delle statuizioni civili, in conseguenza dell’intervento del Giudice di legittimita’ invocato dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia.
Si consideri, in proposito, che la parte ricorrente sosteneva nell’atto di impugnazione oggetto di vaglio che, nonostante il decorso dei termini prescrizionali, che risultavano interamente spirati il 21/02/2017, relativamente al reato di cui all’articolo 434 c.p., comma 1, la decisione di assoluzione di (OMISSIS), concordemente espressa nei giudizi di merito, legittimava la tutela giurisdizionale degli obblighi risarcitori spettanti alle parti civili, che risultavano garantiti dal ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia.
Deve, tuttavia, rilevarsi che, al contrario di quanto affermato dalla parte ricorrente, per effetto del combinato disposto degli articoli 576 e 622 c.p.p., la legittimazione all’annullamento della sentenza di merito assolutoria, rilevanti ai soli effetti della responsabilita’ civile, spetta esclusivamente alla parte civile e non anche al pubblico ministero. Sul punto, deve evidenziarsi che, come costantemente affermato da questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato, l’annullamento della decisione di assoluzione consegue esclusivamente al ricorso per cassazione, proposto, agli effetti della responsabilita’ civile, dalle parti private, alle quali e’ riconosciuto il diritto a una decisione sulla propria domanda (Sez. 6, n. 16147 del 02/04/2014, Re Mario, Rv. 260121; Sez. 2, n. 46257 del 17/10/2013, Ranocchia, Rv. 257429; Sez. 5, n. 9638 del 24/11/2011, Banchero, Rv. 249713).
Occorre, pertanto, ribadire che nessun interesse concreto e attuale sorregge il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia nei confronti dell’imputato (OMISSIS), il cui unico scopo risiederebbe, sulla scorta di quanto si e’ affermato, nell’individuazione della soluzione ermeneutica applicabile in relazione alla sua posizione processuale, che non puo’ trovare accoglimento nel nostro ordinamento (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, cit.).
4.1. Le ragioni che si sono esposte, analogamente a quanto affermato con riferimento agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), impediscono di esaminare il merito delle doglianze formulate dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia con riferimento alla posizione di (OMISSIS), risultando la carenza di legittimazione a impugnare riscontrata nel caso di specie preclusiva rispetto al vaglio delle censure proposte con il ricorso in esame.
5. Per le considerazioni processuali che si sono esposte, il ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso

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