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E’ appena il caso di precisare che la sentenza della Corte Costituzionale n. 11 del 2015 che – secondo alcuni interpreti – avrebbe recepito e fatto proprio l’orientamento pregresso di questa Corte sul tenore di vita, si colloca nell’ambito del difficile e complesso rapporto tra le sentenze “interpretative” della Consulta e la posizione della Cassazione, custode della nomofilachia, e dei giudici di merito (al riguardo, tra le altre, Cass. S.U. n. 27986 del 2013). Com’e’ noto, la Corte Costituzionale ha talora ritenuto infondata la questione di legittimita’ di una disposizione di legge, indicando una interpretazione escludente l’accoglimento della questione stessa (cio’ allo scopo evidente di evitare la creazione di troppe “lacune” nell’ordinamento) e tuttavia i giudici (e in particolare questa Corte) non hanno accolto l’impostazione della Consulta, continuando a privilegiare interpretazioni della norma differenti da quella indicata dalla Consulta. Non di rado, il giudice delle leggi, di fronte a questo indubbio conflitto, ha finito per dichiarare l’incostituzionalita’ della norma. Proprio per evitare questa necessaria conseguenza, da tempo la Corte Costituzionale preferisce far propria l’interpretazione prevalente e consolidata tra i giudici (specie se abbia ricevuto la conferma di questa Corte) il cosiddetto diritto vivente, e valutare se essa sia conforme o meno alla Costituzione.
Dunque la Consulta si e’ limitata a ritenere l’interpretazione privilegiata dalla Cassazione (circa il tenore di vita pregresso) conforme a Costituzione, cosi’ come – e’ da ritenere – sarebbe parimenti conforme l’indirizzo giurisprudenziale che l’ha sostituito, inerente all’autosufficienza economica.
Quanto alla fattispecie dedotta, escluso ogni riferimento al tenore di vita pregresso, cosi’ come alle circostanze che riguarderebbero semmai la quantificazione dell’assegno: ragioni della decisione (la presunta relazione amorosa del marito) nonche’ il contributo della moglie alla conduzione familiare ecc., va precisato che per giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. N. 18433 del 2010), 1′ assegno di separazione e gli accordi assunti in tale sede tra i coniugi (salvo che i coniugi stessi non intendano incidere direttamente sul futuro regime del divorzio) non rilevano direttamente ai fini della determinazione di quello di divorzio, stante la differente natura, caratteri e contenuto. Semmai gli accordi pregressi potrebbero considerarsi nella valutazione del patrimonio e del reddito di entrambi i coniugi.
Infine, alla luce del novellato articolo 360 c.p.c., n. 5, non e’ piu’ possibile censurare l’insufficienza o contraddittorieta’ della motivazione, essendo necessario richiamarsi a fatti specifici e determinati, trascurati dal giudice ed oggetto di discussione tra le parti (tra le altre, Cass. S.U. n. 8053 del 2014). In sostanza la ricorrente propone inammissibilmente una generale valutazione alternativa rispetto a quella effettuata dal giudice a quo, con motivazione adeguata e non contraddittoria: la Corte di merito sostiene che, con gli accordi omologati. i coniugi hanno proceduto alla divisione del patrimonio immobiliare e la moglie ha ottenuto il riconoscimento della proprieta’ esclusiva della casa coniugale nonche’ di altro appartamento sito in (OMISSIS) che si sono aggiunti ad altro di sua proprieta’, pervenutole per successione. Continua il giudice a quo osservando che, dalla gestione di tali immobili – uno dei quali avente specifica destinazione commerciale – la (OMISSIS) puo’ ricavare reddito adeguato a consentirle un tenore di vita dignitoso, pur osservando che in nessun caso sarebbe possibile mantenere il pregresso tenore di vita, essendo venute meno le economie gestionali consentite dalla convivenza. E’ appena il caso di precisa che eventuali errori sulla consistenza dei redditi e patrimoni avrebbero dovuto semmai essere oggetto di un ricorso per revocazione.
Per quanto finora osservato, i motivi del ricorso principale presentano profili in parte di inammissibilita’, in parte di infondatezza e vanno rigettati.
Conclusivamente va rigettato il ricorso.
Ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4, non va cassata la sentenza impugnata, essendo conforme al diritto il dispositivo, e va corretta la motivazione, escludendosi ogni riferimento al tenore di vita pregresso, sostituito dal principio di autosufficienza economica del coniuge.
Pur trattandosi di orientamento consolidato, posto che, al momento della presentazione del ricorso era ancora operante l’orientamento pregresso si ritiene di compensare totalmente le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese di giudizio tra le parti.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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