Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 gennaio 2018, n. 2042. Non è rimesso al vaglio delle Sezioni unite il nuovo principio di diritto che governa il riconoscimento dell’assegno divorzile, con la conferma del criterio dell’autosufficienza

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Con il primo motivo, la ricorrente lamenta vizio di nullita’ della sentenza per mancanza e contraddittorieta’ della motivazione, affermando che la Corte di merito, da un lato, sostiene l’assenza di prova del tenore di vita pregresso tra i coniugi, dall’altro, l’impossibilita’, con la crisi familiare, di mantenere tale pregresso tenore di vita. Esamina poi le condizioni economiche dei coniugi, ritenendo la sussistenza di errori ed omissioni del giudice a quo, e si sofferma in particolare sulla somma a suo dire riconosciutole a titolo di mantenimento in sede di separazione. Richiama infine l’esistenza di una relazione amorosa del marito, nonche’ il contributo dato da essa stessa alla vita familiare.
Con il secondo lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, articoli 5 e 6 e successive modifiche, sui presupposti dell’assegno di divorzio.
Con il terzo, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente contesta l’affermazione della sentenza per cui nessuna prova sarebbe stata fornita dall’appellante sul tenore di vita pregresso e sull’effettivo reddito da essa goduto. Analizza quindi le posizioni economiche dei coniugi, a suo dire assai piu’ vantaggiose per il marito.
Con il primo e il secondo motivo, il controricorrente e ricorrente incidentale lamenta l’inammissibilita’ del ricorso in appello, da un lato, per mancata indicazione delle parti del provvedimento impugnato e delle modifiche richieste alla ricostruzione dei fatti, compiuta dal giudice di primo grado”, dall’altro, per omessa indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata (articolo 342 c.p.c., nn. 1 e 2).
Va dapprima considerato, per ragioni sistematiche, il ricorso incidentale, che va rigettato.
Come aveva precisato il giudice a quo, il ricorso in appello indica, nel contesto, le parti impugnate, le motivazioni del gravame, le proprie richieste alla Corte di Appello (il riconoscimento di un assegno di divorzio e di una quota del 40% del TFR, percepito dal (OMISSIS)) con l’indicazione dei presupposti di legge che possono giustificarle.
I motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione.
Il Collegio condivide pienamente il nuovo orientamento introdotto dalla sentenza n. 11504 del 2017, ormai consolidato con varie pronunce conformi; si richiama quindi alla predetta sentenza e alle argomentazioni che la sorreggono.
Pare opportuno, per comprendere meglio il senso del nuovo indirizzo giurisprudenziale, fornire qualche breve cenno, in prospettiva storica.
Come e’ noto, la L. n. 898 del 1970, sul divorzio, estranea al Codice Civile che non va dimenticato – all’epoca conteneva l’originaria disciplina, caratterizzata dalla netta preminenza del marito nel governo della famiglia, cui corrispondevano due status (complesso di diritti e doveri) totalmente differenti per il marito e la moglie. Basti ricordare che l’articolo 143 c.c. prevedeva che il marito somministrasse alla moglie tutto quanto necessario ai bisogni della vita, in proporzione alle sue sostanze (anche paradossalmente, quando la moglie fosse piu’ facoltosa di lui); alla moglie spettava mantenere il marito soltanto se questi non avesse mezzi sufficienti. La separazione giudiziale si pronunciava solo per colpa di uno o di entrambi i coniugi; il coniuge incolpevole conservava la propria condizione personale e patrimoniale.
Nella originaria legge di divorzio, su un piano comunque di totale parita’, si precisava che il Tribunale disponeva assegno periodico, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, a favore di un coniuge, in proporzione alle sostanze e ai redditi dell’altro; nella determinazione, il giudice teneva conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di entrambi.
Fu la riforma generale del diritto di famiglia del 1975 ad introdurre il profilo della inadeguatezza dei mezzi nel regime di separazione. E tale principio passo’ quasi inalterato nella riforma del divorzio (L. n. 74 del 1987), aggiungendosi la previsione dell’impossibilita’ di procurarsi tali mezzi per ragioni oggettive. Si e’ distinto nettamente il momento dell’ammissibilita’ dell’assegno, da quello della sua quantificazione, e infatti, in ordine a questa, vengono in considerazione ulteriori profili: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione dei patrimoni personali dei coniugi stessi comune, e di quello comune. Il reddito di entrambi e la durata del matrimonio.
Tale rigorosa distinzione fu affermata costantemente nell’interpretazione di questa Corte (tra le altre, Cass. N. 2156 del 2010), e tuttavia l’inadeguatezza dei mezzi fu ricollegata, dopo alcune incertezze iniziali, con le note sentenze delle Sezioni Unite n. 11490 e 11492 del 1990. al mantenimento del tenore di vita assunto durante la convivenza matrimoniale (anche se la lettera della norma non vi faceva riferimento alcuno e la ratio palese di essa poneva, come si diceva, una netta distinzione tra le condizioni economiche e sociali dei coniugi e l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno).
L’affermazione, contenuta nelle sentenze predette, fu condotta dalla giurisprudenza successiva ad estreme conseguenze, vincolandola ad aspettative piu’ o meno automatiche (per cui l’assegno doveva risultare piu’ elevato, in relazione all’evoluzione della carriera lavorativa dell’obbligato, posteriore alla convivenza matrimoniale, ove prevedibile, e, addirittura, poteva ulteriormente accrescersi dopo il divorzio, sempre con riferimento a tale evoluzione lavorativa) (tra le altre, Cass. N. 11870 del 2015).
Ancora, in aperta violazione della lettera e dello spirito della norma, si effettuavano commistioni tra le due parti distinte della disposizione, e la valutazione delle condizioni economiche e sociali dei coniugi, inerenti al quantum, veniva sempre piu’ ad interferire sull’an, sostenendosi che il tenore di vita, ove non fosse oggetto di prova specifica, poteva desumersi proprio dalla comparazione tra le condizione dei coniugi (del resto ci si rendeva conto che il tenore di vita, almeno nella sfera dell’obbligato, necessariamente diminuiva, con la separazione e il divorzio e l’esclusione delle opportune economie collegate alla convivenza familiare). (tra le altre, Cass. 2156 del 2010).
Il nuovo indirizzo propone un criterio differente e, a parere del collegio, assai piu’ consono alla lettera e alla ratio dell’articolo 5, comma 6, che nella prima fase sull’an non prevede – conviene ribadirlo – nessuna comparazione delle condizioni economiche dei coniugi e non fa riferimento alcuno al tenore di vita pregresso, orientando l’indagine alla sola situazione del coniuge richiedente, senza alcun riferimento, in questa fase, a quella dell’altro coniuge.

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