Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 4 gennaio 2017, n. 8

E’ configurabile l’errore di fatto revocatorio in tutti quei casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 4 gennaio 2017, n. 8

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8281 del 2014, proposto da:

Gi. Di Ba., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Ga. La Ga. – C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Al. Pl. in Roma, via (…);

contro

Comune di Taranto, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Co. Ne., rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Ca. Li. – C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Gi. Ca. in Roma, via (…);

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 00545/2014, resa tra le parti, concernente un concorso pubblico per la copertura a tempo pieno e indeterminato del posto di dirigente della direzione patrimonio del Comune di Taranto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Co. Ne.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2016 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Li. e Ga. La Ga.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con avviso pubblico in data 28 giugno 2011, il Comune di Taranto emanava un bando per la copertura a tempo pieno ed indeterminato del posto di dirigente della Direzione patrimonio, prevedendo tra i requisiti particolari per la partecipazione al concorso l’aver ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche, come contemplate dall’art. 1, co. 2, D. Lgs. 165/2001, per un periodo non inferiore a cinque anni. Il bando prevedeva inoltre che, in sede di presentazione della domanda di partecipazione al concorso, i candidati dovessero esplicitare analiticamente i requisiti culturali di servizio posseduti.

L’ing. Gi. Di Ba. presentava il 28 luglio 2011 domanda di partecipazione, dichiarando di aver ricoperto l’incarico di dirigente presso il Comune di (omissis) dal 21 giugno 2001 con contratto a tempo determinato e dal 18 settembre 2002 in poi con contratto a tempo indeterminato.

A seguito dell’espletamento della procedura il Di Ba. risultava collocato al primo posto della graduatoria del predetto concorso bandito dal Comune di Taranto.

Su ricorso dell’arch. Co. Ne., secondo classificato, il TAR della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, 16 maggio 2013 n. 1122, annullava l’atto di nomina per effetto del decreto del Presidente della Repubblica del 28 novembre 2008, recante accoglimento di ricorso straordinario avverso la procedura concorsuale in base alla quale, al tempo, il Di Ba. era stato nominato dirigente presso il Comune di (omissis).

Ad avviso del TAR, infatti, si era verificato il travolgimento ex tunc degli effetti giuridici del provvedimento di nomina del Di Ba., con la conseguente qualificazione giuridica di “servizio di fatto” degli anni di servizio prestati presso il Comune di (omissis) e l’impossibilità di valutare tale periodo ai fini del concorso bandito dal Comune di Taranto.

2. Con appello in Consiglio di Stato, notificato il 13 giugno 2013, l’ing. Di Ba., impugnava la predetta sentenza, deducendo che:

i) non poteva affermarsi che l’interessato non avesse prestato regolare rapporto di impiego dirigenziale per il periodo richiesto, non essendo ammissibile un effetto caducante del d.P.R. di annullamento della graduatoria sopra menzionato, vista la natura privatistica del predetto rapporto;

ii) nel contratto di lavoro tra l’appellante ed il Comune di (omissis) del 17 settembre 2002 era inserita una clausola risolutiva che avrebbe dovuto essere intesa come collegata ad un eventuale annullamento della procedura di reclutamento per effetto di una pronuncia giurisdizionale, clausola che avrebbe comportato la eventuale caducazione del contratto solo con effetti ex nunc.

In particolare, l’appellante insisteva sulla circostanza per cui la contrattualizzazione del rapporto di lavoro avrebbe impedito che gli annullamenti delle procedure concorsuali di selezione avessero effetti immediatamente caducanti del contratto.

Si costituiva in giudizio il controinteressato arch. Ne., sostenendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto, mentre non si costituiva il Comune di Taranto.

All’udienza pubblica del 26 giugno 2012 la causa è stata trattenuta in decisione

3. Con la sentenza oggetto di ricorso per revocazione, la sezione rigettava l’appello, giudicandolo destituito di fondamento, confermando la sentenza impugnata.

La sentenza oggetto di ricorso rilevava che l’ing. Di Ba. aveva partecipato al concorso per un posto di dirigente indetto dal Comune di (omissis), risultando classificato al primo posto e quindi in posizione utile per l’assunzione.

Tuttavia, “la graduatoria era stata annullata con decreto del Presidente della Repubblica emesso su ricorso straordinario di altro concorrente, con il quale era stata censurata la valutazione dei titoli di quest’ultimo: la ricostruzione della stessa graduatoria operata sulla base del predetto d.P.R. aveva quindi visto l’ing. Co., proponente il ricorso straordinario, collocato al primo posto in luogo del Di Ba.. Le successive azioni giurisdizionali avviate dallo stesso Di Ba., ossia il ricorso in revocazione del d.P.R. e l’impugnazione davanti al TAR della Puglia della nuova graduatoria, lo avevano visto soccombente, in quanto il ricorso straordinario in revocazione era stato dichiarato inammissibile, il ricorso al TAR respinto con sentenza poi confermata da questa Sezione; né può riconoscersi a questo punto alcun valore alle pronunce cautelari date dal TAR e dal Consiglio di Stato nelle more dei giudizi, in quanto assorbite dalle sentenze definitive.

Dunque il rapporto prestato dal Di Ba. presso il Comune di (omissis) quale dirigente nelle more del giudizio, ossia dal settembre 2002 sino al decreto del Presidente la Repubblica del 28 novembre 2008 e poi sino al 15 ottobre 2012 in forza delle predette ordinanze cautelari del TAR della Puglia e del Consiglio di Stato deve ritenersi irrimediabilmente caducato dalla dichiarazione di illegittimità dell’atto di nomina adottato in attuazione di graduatoria erronea e lo stesso art. 3 del contratto di assunzione, nel prevedere la condizione risolutiva del contratto in costanza di annullamento della procedura di reclutamento presupposta, altro non è che una conseguenza dell’inevitabile travolgimento di tutti gli effetti giuridici del provvedimento annullato e non tanto una patologia del tutto successiva del rapporto di lavoro, così come ritenuto dall’appellante.

Con la conseguenza che il servizio prestato dal Di Ba. presso il Comune di (omissis) non può che essere qualificato come “servizio di fatto” e come tale non valutabile come titolo di servizio in un successivo concorso pubblico; infatti, come correttamente affermato con la sentenza impugnata, il rapporto di pubblico impiego è regolato da atti formali che devono avere un proprio fondamento di validità ed il “servizio di fatto” tutela la continuità dell’azione amministrativa e la sinallagmaticità di un rapporto di lavoro comunque prestato, assicurandone gli aspetti retributivi e contributivi, senza però poter equiparare tale servizio ad un ordinario rapporto di pubblico impiego svolto in costanza di legittimi atti di costituzione e preposizione.”.

4. Avverso tale pronunzia l’originario appellante insorge chiedendone la revocazione. Resiste l’arch. Co. Ne..

5. Alla pubblica udienza dell’1.12.2016 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.

6. La sentenza gravata sarebbe, secondo il ricorrente, il risultato di errori ed omissioni in punto di fatto e sussisterebbe, inoltre, il vizio di omessa pronuncia su domande ed eccezioni avanzate dall’originario appellante per un molteplice ordini di motivi, segnatamente: il rapporto di servizio dell’ingegnere Di Ba. aveva natura privatistica; la dichiarazione di illegittimità della graduatoria ad opera del D.P.R. non avrebbe comportato la caducazione automatica del contratto; le pronunzie cautelari emanate in primo e in secondo grado nel giudizio a quo avevano meramente sospeso l’efficacia del D.P.R e della graduatoria riformulata con Determina n. 60/2010.

Inoltre, secondo il ricorrente, i giudici di appello avrebbe omesso completamente di esaminare, che dal suddetto provvedimento (determina del 2/10/2012) non poteva farsi conseguire la caducazione retroattiva del contratto, atteso che, viceversa, la risoluzione era stata formalmente disposta dallo stesso atto con effetti dichiaratamente ex nunc.

L’elemento di fatto non considerato, integrante il vizio revocatorio della sentenza, deriverebbe dalla circostanza che per partecipare al concorso bandito dal Comune di Taranto, era sufficiente l’aver ricoperto incarichi dirigenziali per almeno cinque anni: requisito, che l’Ing. Di Ba. ha dichiarato di possedere e che sussisteva oggettivamente, atteso che la validità di tale servizio prestato dal 2001 al 2008 non era mai stata oggetto di contestazione.

In definitiva, la risoluzione avrebbe avuto efficacia ex nunc, con la conseguenza che l’attività lavorativa svolta sino a tale momento dall’Ing Di Ba. sarebbe insuscettibile di essere configurata come ”servizio di fatto”, e quindi tale qualificazione sarebbe il risultato di una lacunosa ed erronea percezione dei fatti, dalla quale è conseguita l’omessa pronuncia sulle corrispondenti argomentazioni dell’odierno ricorrente.

7. Il ricorso per revocazione è inammissibile.

In limine va richiamato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa che ammette la configurabilità dell’errore di fatto revocatorio (ex art. 395 n. 4 c.p.c.) in tutti quei casi in cui “il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo” (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5187; Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 241; Consiglio di Stato, Sez. III, 24 maggio 2012, n. 3053; Consiglio di Stato, Sez. V, 5 novembre 2009, n. 6881).

Tuttavia, non costituisce vizio revocatorio per errore di fatto l’omessa pronuncia, da parte del giudice, su tutte le argomentazioni poste dalla parte a sostegno del medesimo motivo di ricorso.

In particolare, l’Adunanza plenaria (sentenza Cons. St., A.P., 27 luglio 2016, n. 21), decidendo sulla richiesta di revocazione di una propria sentenza (la n. 5 del 2016), ha enunciato il principio secondo cui l'”errore di fatto” revocatorio, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., richiamato dall’art. 106 c.p.a.: a) deve consistere nella pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale di atti ritualmente prodotti in giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto; b) deve attenere ad un punto non controverso sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) deve avere esercitato una valenza causale determinante sulla decisione impugnata.

Ha precisato che, nel caso di omessa pronuncia su autonoma domanda, eccezione, vizio – motivo impugnatorio (ipotesi sub. d), l’errore si configura solo se: I) risulta in via immediata e diretta dal testo della pronuncia; II) nella decisione contestata non si sia fatto univoco (ancorché implicito) riferimento agli scritti difensivi di parte ed alle tesi ivi richiamate; III) nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio – motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto (in tema si veda anche la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, 1° settembre 2015, n. 4099).

Tanto premesso, nel caso di specie non sussistono gli elementi dell’errore di fatto revocatorio.

Le deduzioni del ricorrente in revocazione non consentono di individuare quale sia la errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale di atti ritualmente prodotti in giudizio che abbia condotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto.

Le omissioni di cui il ricorrente si duole non individuano un presupposto di fatto su cui sia caduto un “abbaglio dei sensi” del giudicante, ma piuttosto presunte omissioni di valutazioni e deduzioni in diritto sugli atti di causa quale la qualifica come ”servizio di fatto” del lavoro svolto dal ricorrente, che è valutazione giuridica espressa in sentenza.

Parimenti è a dirsi in ordine agli effetti del D.P.R di annullamento del concorso del Comune di (omissis) e alla valenza formalmente ex nunc della risoluzione del rapporto di lavoro disposta dalla Amministrazione.

In aggiunta, il ricorso non consente di rilevare omissioni ed errori che abbiano valenza causale determinante sulla decisione impugnata. La pronuncia sull’effetto conseguente all’annullamento dell’atto amministrativo (a monte) sulla sorte del contratto (a valle) non è incisa dagli elementi evidenziati dal ricorrente, trattandosi di una ricostruzione in diritto fondata essenzialmente sul concetto di inefficacia del contratto (di lavoro) della P.A. non sorretto da un legittimo provvedimento a monte. Pertanto, la pronunzia è basata su coordinate ampiamente trattate in giurisprudenza, e certamente ritenute dal giudice a quo autonomamente idonee a fondare una decisione nel senso della impossibilità di ricondurre al rapporto di lavoro intrattenuto dall’Ing. Di Ba. effetti ulteriori rispetto alla garanzia della continuità amministrativa, e della salvezza della retribuzione percepita (e del resto anche in base ai principi europei appartiene alle prerogative del giudice stabilire, pur nel rispetto del principio dispositivo, quale debba essere la sorte del contratto a seguito dell’annullamento degli atti amministrativi che ne rappresentano il presupposto).

Il ricorso, inoltre, non consente di individuare una omessa pronuncia su autonoma domanda, eccezione, vizio o motivo impugnatorio, essendo stati piuttosto evidenziati profili attinenti ad argomenti e deduzioni di causa “interni” ai motivi di ricorso (i.e. venir meno del contratto ex nunc, ed effetti non caducanti del D.P.R.), non riproponibili in sede revocatoria.

In definitiva, le valutazioni e le omissioni di questioni di diritto, in quanto tali, sfuggono allo scrutinio del giudizio revocatorio.

Né sussiste errore revocatorio per il mero “fatto” che alcuni documenti o atti (le ordinanze di sospensiva, ovvero il provvedimento di risoluzione del contratto) siano stati non esplicitamente esaminati o valorizzati in sentenza nel senso preteso dal ricorrente, giacché non sussiste alcun obbligo di motivare sulla corretta lettura di ciascun documento di causa, essendo sufficiente rispondere al motivo proposto, dando atto naturalmente di averlo rettamente inteso nella sua reale portata giuridica in ragione dei fatti a cui esso fa riferimento.

8. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna Gi. Di Ba. alla rifusione delle spese di lite in favore di Ne. Co. che si liquidano in complessivi 2000,00 (duemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli – Presidente

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Alessandro Maggio – Consigliere

Oreste Mario Caputo –

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