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L’abusività del manufatto in contestazione è oramai irretrattabile.
E’ dirimente infatti osservare che sono rimaste inoppugnate sia l’ordinanza sindacale n. 70 del 23 maggio 1994 – con cui era stata ordinata la demolizione del manufatto, sul duplice presupposto che la concessione edilizia n. 4749 del 1993 aveva assentito soltanto l’esecuzione di opere di ristrutturazione dell’originario manufatto in “lamiera ed onduline”, e che in ogni caso esso non poteva essere ricostruito nella medesima posizione di quello demolito in quanto si trovava ad una distanza di soli mt. 1,50 dal confine -, sia l’ordinanza n. 174 del 12 settembre 2005 – che prescriveva la demolizione della platea in cemento armato (delle dimensioni di ml. 12,60 di lunghezza e mt. 5,20 di larghezza e cm. 23 di spessore), dei muri perimetrali (di mt. 12,60 – mt. 4,10 – mt. 4,10 con altezza di mt. 2,85) e di n. 10 pilastri in ferro.
2.2.- Per quanto riguarda la distanza dal confine, non è fondata l’affermazione secondo cui esulerebbero dalla sfera di competenza comunale i rapporti con i terzi confinanti.
Sebbene il rilascio del titolo abilitativo (anche in sanatoria) faccia salvi i diritti dei terzi e non interferisca, pertanto, nell’assetto dei rapporti fra privati, resta fermo il potere-dovere dell’Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica per la realizzazione dell’intervento edilizio da assentire (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3027, 16 marzo 2012, n. 1488 e 1513, 4 aprile 2012, n. 1990, 5 giugno 2012, n. 3300).
Nel caso di specie, il Tribunale di Rimini – con sentenza passata in giudicato – ha accertato che l’edificio violava le distanze dal confine, condannando i precedenti proprietari ad arretrare il fabbricato a cinque metri dal confine.
3.- L’appellante invoca il principio del legittimo affidamento.
In particolare, si afferma che la signora Za. è divenuta comproprietaria dell’immobile per effetto di aggiudicazione del bene in sede di esecuzione immobiliare e che il decreto di trasferimento non recava alcun cenno alla pendenza del procedimento sanzionatorio afferente il fabbricato oggetto dell’odierno giudizio, sicché ella poteva nutrire affidamento circa la possibilità di mantenere lo stato di fatto dell’immobile al momento dell’acquisto presso il Tribunale.
Il Comune, a distanza di circa vent’anni dall’esecuzione delle opere in oggetto, avrebbe inteso demolire integralmente un manufatto, dopo aver posto in essere una congerie di atti contraddittori nel corso del tempo ed avere avviato procedimenti sanzionatori nei confronti degli originari responsabili delle opere senza mai condurli a termine.
3.1.- Anche questo motivo è infondato.
Il Collegio fa proprie le considerazioni da ultimo espresse dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017.
La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sinetitulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica.
Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria.
Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento.
Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse.
Si osserva in primo luogo al riguardo che il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso.
Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale. Ed infatti il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può – al contrario – rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa).
In altri termini, le vicende di natura civilistica, aventi per oggetto la titolarità di un bene, non incidono sul doveroso esercizio dei potere, conseguente alla violazione delle regole urbanistiche ed edilizie.
4.- Secondo l’appellante, l’ingiunzione a demolire relativa alla struttura principale (il fabbricato già oggetto delle precedenti ordinanze di demolizione) sarebbe illegittima, rientrando l’intervento in oggetto nel concetto di ristrutturazione edilizia, in conformità all’originaria concessione.
4.1.- La censura è infondata
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