Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 29 novembre 2017, n. 5585. La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo

La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.

Sentenza 29 novembre 2017, n. 5585
Data udienza 9 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9347 del 2015, proposto dai signori Ma. Ma. Za. e Ma. Sc., rappresentati e difesi dall’avvocato St. Be., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lo. Pr. Ma. in Roma, via (…);

contro

il Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Mi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Br. Ma. in Roma, via (…);

per la riforma della sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna – sede di Bologna – Sez. I n. 257 del 2015;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre 2017 il Cons. Dario Simeoli e udito per gli appellanti l’avvocato Pr. Ma.i, in delega dell’avvocato Be.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con il ricorso di primo grado n. 498 del 2013 (proposto al TAR per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna), la signora Ma. Ma. Za. impugnava l’ordine di demolizione emesso dal Comune di (omissis) in data 29 marzo 2013, relativo ad un manufatto ubicato in via (omissis) – nell’area distinta in catasto al foglio (omissis) mappale (omissis) -, nonché (con motivi aggiunti) la nota del 25 giugno 2014, n. 55, con cui la stessa Amministrazione comunale respingeva l’istanza di concessione edilizia in sanatoria relativa alla medesima costruzione.

1.1.- La ricorrente deduceva che:

– la contestazione dell’abuso era stata preceduta da provvedimenti contraddittori della stessa Amministrazione comunale;

– il manufatto trovava legittimo titolo in un atto concessione per ristrutturazione ancora efficace;

– l’ordine di demolizione era stato adottato in violazione del principio del legittimo affidamento, essendo stato emesso dopo oltre quindici anni dall’ultimo sequestro penale avvenuto nel 1997;

– dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 si ricava che il risultato di una ristrutturazione può essere anche un edificio in tutto diverso dal precedente, con eliminazione di elementi anche costitutivi dell’immobile;

– la richiesta di concessione in sanatoria avrebbe dovuto comportare la sospensione del procedimento sanzionatorio;

– (quanto ai motivi aggiunti) il sopravvenuto diniego di concessione in sanatoria, di cui alla nota del 25 giugno 2014, si sarebbe dovuto notificare anche agli eredi del comproprietario, deceduto il 20 aprile 2014.

2.- Il TAR con la sentenza n. 257 del 2015 respingeva il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, rilevando quanto segue:

“Il primo motivo del ricorso principale va rigettato, in quanto il provvedimento è ampiamente motivato e ripercorre tutta la lunga serie di atti che hanno caratterizzato l’immobile, dai quali emerge chiaramente che non vi è più alcuna concessione in essere essendo stata revocata quella a suo tempo accordata. Non deve essere tutelato alcun affidamento poiché era stata ordinata la demolizione del manufatto abusivo, ed in materia edilizia la mancata esecuzione d’ufficio di provvedimenti anche per lungo tempo non crea alcun affidamento.

Il secondo motivo è parimenti infondato in quanto a prescindere da ogni qualificazione edilizia il manufatto era stato costruito ad una distanza minima dal confine e non poteva ivi trovarsi, tanto è vero che i vecchi proprietari erano stati condannati dal Tribunale di Rimini ad arretrare il fabbricato a cinque metri dal confine.

Il terzo motivo è superato dall’intervenuto diniego di concessione in sanatoria.

L’autonomo motivo di ricorso del ricorso per motivi aggiunti non può trovare accoglimento perché è inammissibile non avendo interesse la ricorrente ad eccepire un vizio che eventualmente danneggia altri soggetti. Peraltro la domanda di concessione in sanatoria era stata presentata dalla sola ricorrente ed i provvedimenti sanzionatori sono stati notificati a tutti i comproprietari”.

3.- Avverso la sentenza del TAR, hanno proposto appello i signori Ma. Ma. Za. e Ma. Sc. – quest’ultimo nella qualità di coerede dell’originario comproprietario, signor Al. Sc., deceduto in data 20 aprile 2014 -, chiedendo, in sua riforma, l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Avverso la sentenza impugnata, gli appellanti muovono le seguenti doglianze.

I giudici di prime cure non avrebbero considerato che il manufatto in contestazione era stato costruito in base alla concessione edilizia n. 4749 del 1993 (per ristrutturazione e arretramento dalla linea di confine del fabbricato ad uso civile abitazione) e che il Comune, dopo aver revocato (con ordinanza n. 70 del 23 maggio 1994) tale concessione, ne aveva però ripristinato l’efficacia, revocando (con ordinanza n. 158 del 22 agosto 1995) la precedente revoca della concessione.

La sentenza civile che ha accertato la violazione delle distanze – pronunciata peraltro nei confronti dei soli precedenti proprietari – non avrebbe alcun effetto sulla legittimità o meno dei provvedimenti amministrativi.

L’ingiunzione a demolire relativa alla struttura principale (il fabbricato già oggetto delle precedenti ordinanze di demolizione) sarebbe illegittima, rientrando l’intervento in oggetto nel concetto di “ristrutturazione edilizia”, in conformità all’originaria concessione.

Il limitato ampliamento di ml. 12,00 x 1,20, eseguito mediante tamponamento dei balconi esistenti su un lato dell’edificio, non potrebbe essere rimosso per il pregiudizio strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell’immobile, con conseguente applicazione dell’art. 15 della legge regionale n. 23 del 2004 e dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, gli atti impugnati con ricorso per motivi aggiunti sarebbero stati indirizzati genericamente agli “Eredi Sc. Al. Via (omissis)”, senza curarsi quindi di notificarli individualmente e personalmente agli effettivi eredi nei rispettivi domicili/residenze. La notifica a tutti i destinatari del provvedimento lesivo costituirebbe condizione di legittimità ed esecutorietà del provvedimento medesimo. A questi fini l’atto di appello è stato presentato anche dal signor Sc. Ma., il quale, avendo ereditato dal fratello defunto Sc. Al., sarebbe interessato a coltivare il giudizio.

La motivazione del diniego di condono – incentrata sul fatto che le opere oggetto dell’istanza di sanatoria non avrebbero configurazione autonoma, rispetto all’edificio previsto in demolizione – costituirebbe una mera tautologia, dal momento che si chiede il condono proprio per evitare l’applicazione della sanzione amministrativa.

Quanto al superamento dei limiti dimensionali stabiliti dalla legge regionale n. 23 del 2004, si afferma che “la rimessione in termini prevista dalla legge statale, in favore dell’aggiudicatario di una procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale (da ultimo, art. 46, o. 5, DPR n. 380/2001), deve ritenersi comprensiva di tutte le possibilità di sanatoria concesse dalla previgente normativa, purché ne sussistano i requisiti di applicazione in relazione alla data di realizzazione delle opere abusive”.

4.- Si è costituto in giudizio il Comune di (omissis), argomentando l’infondatezza del gravame.

5.- Con l’ordinanza n. 4796 del 2016, la Sezione – “Considerato, all’esito di una delibazione tipica della fase cautelare, che le parti hanno dedotto che la demolizione delle opere asserite abusive è prevista per il 26 ottobre 2006 [rectius: 2016]; che, valorizzando il requisito del pregiudizio grave ed irreparabile, sussistono i presupposti per la sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata nelle more della decisione nel merito della controversia” – ha accolto l’istanza cautelare di sospensione degli effetti del provvedimento di demolizione.

6.- All’udienza del 9 novembre 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.- E’ opportuno ripercorrere la scansione degli atti rilevanti ai fini della decisione:

– il signor Ca. Za. presentava al Comune di (omissis) una domanda di condono edilizio, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47 del 1985, con cui chiedeva il rilascio della concessione edilizia in sanatoria relativa ad un “capanno” nell’area distinta in catasto al foglio (omissis) mappale n. (omissis), la quale veniva respinta poiché il capanno da condonare non si trovava nella posizione indicata negli elaborati allegati alla domanda di condono;

– la successiva domanda di condono, per lo stesso immobile, veniva invece accolta con rilascio della concessione edilizia n. 1942 del 9 novembre1993;

– in data 18 novembre 1993 il Comune rilasciava la concessione edilizia n. 4749 del 1993, con cui consentiva l’esecuzione dell’intervento di ristrutturazione e di arretramento dalla linea di confine del medesimo capanno in “lamiera e onduline”, destinato a “civile abitazione”;

– all’esito del sopralluogo della Polizia Municipale, di cui al verbale Prot. 33/PM del 29 marzo 1994 (che accertava la demolizione del vecchio manufatto condonato, l’esecuzione di scavi di fondazione e il riempimento degli stessi con cemento armato), l’Amministrazione comunale adottava l’ordinanza sindacale n. 53 in data 6 aprile 1994, con cui ordinava la sospensione dei lavori;

– con l’ulteriore provvedimento n. 6947 del 13 aprile 1994, l’Amministrazione comunale procedeva alla rettifica della concessione edilizia n. 4749 del 1993, precisando che era stata ivi erroneamente indicata l’espressione “civile abitazione”, mentre la destinazione effettiva del fabbricato era “accessorio – sgombero”;

– a seguito dell’ennesimo sopralluogo del 12 maggio 1994, di cui al verbale n. 92221 del 16 maggio 1994 (che accertava la realizzazione di fondazioni in cemento armato con uno sviluppo perimetrale di ml. 12,50 + 4,00 + 12,50 + 4,00, e che appoggiati ai ferri ancora scoperti erano presenti due pannelli in lamiera, presumibilmente appartenenti al tamponamento del vecchio manufatto), veniva emanata l’ordinanza n. 70 del 1994, con la quale si ordinava la demolizione di tutte le opere abusive dal momento che era stata autorizzata soltanto la ristrutturazione di un capanno in “lamiera e onduline ad uso sgombero”, e che il manufatto era comunque posto ad una distanza di mt. 1,50 e doveva quindi essere arretrato; con la medesima ordinanza n. 70 del 1994 veniva nel contempo revocata la precedente concessione edilizia n. 4749 del 1993;

– con atto n. 158 del 22 agosto 1995, veniva disposta la revoca parziale dell’ordinanza n. 70 del 1994, nella parte riguardante la revoca della concessione edilizia n. 4749 del 1993;

– nel prosieguo, essendo proseguita la costruzione dell’opera, veniva emessa una ulteriore ordinanza di demolizione n. 174 del 12 settembre 1995 (con cui si ordinava ai signori Za. Ca. e Za. Ma. la demolizione delle seguenti opere: platea di cemento armato delle dimensioni di ml. 12,60 in lunghezza e mt. 5,20 in larghezza e cm. 23 di spessore; i muri perimetrali dalle dimensioni di mt. 12,60 – mt. 4,40 – mt. 4,10 con altezza di mt. 2,85; – n. 10 pilastri in ferro; – n. 5 finestre di diverse dimensioni ed un ingresso di mt. 1 di larghezza e mt. 2,40 di altezza), la quale veniva impugnata con ricorso giurisdizionale, poi dichiarato perento con decreto del 30 gennaio 2010;

– in data 28 novembre 2012 – accertato il protrarsi della mancata esecuzione delle ordinanze n. 70 del 1994 e n. 174 del 1995 – l’Amministrazione comunale emanava il provvedimento n. 55 del 2014 (impugnato con il ricorso principale), avente ad oggetto la demolizione del suddetto manufatto in muratura, ricadente in zona definita dal vigente P.R.G. E3/zona agricola a campagna-parco, e quindi non conforme al vigente P.R.G. ed oggetto di intervento di demolizione e ricostruzione in assenza del titolo abilitativo;

– nel frattempo, la signora Za. Ma. Ma., nel frattempo divenuta proprietaria dell’immobile, depositava una domanda di concessione edilizia in sanatoria, questa volta ai sensi della legge n. 326 del 2003 e della legge regionale n. 23 del 2004, che veniva respinta con il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti.

2.- Prima di scrutinare partitamente i singoli motivi di gravame, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 102 c.p.a. la legittimazione a proporre appello al Consiglio di Stato avverso le sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali spetta solo alle parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado, nonché all’interventore se titolare di una posizione giuridica autonoma.

Di conseguenza è inammissibile l’appello proposto dal signor Sc. Ma. (nella qualità di erede del defunto Sc. Al.), dal momento che il ricorso di primo grado è stato proposto soltanto da uno dei comproprietari, ovvero dalla signora Ma. Ma. Za..

2.- Con un primo ordine di censure, l’odierna parte appellante contesta ai giudici di prime cure di non aver tenuto conto della perdurante efficacia della concessione edilizia n. 4749 del 1993 (avendone il Comune revocato, con ordinanza n. 158 del 22 agosto 1995, la precedente revoca disposta con ordinanza n. 70 del 1994), cosicché le opere eseguite dai precedenti proprietari dovrebbero considerarsi tuttora assentite da titolo edilizio.

2.1.- La doglianza è infondata.

[…segue pagina successiva]

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