Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 29 novembre 2017, n. 5585. La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo

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La questione della riconducibilità della tipologia costruttiva in esame nella nozione di ristrutturazione edilizia è inconferente ai fini del decidere.

Salvo il principio per cui occorre un proprio titolo edilizio, l’intervento di demolizione e ricostruzione, ove riguardante un volume edificato senza valido titolo, è per ciò solo anch’esso abusivo.

5.- L’appellante si duole del fatto che l’ordinanza di demolizione avrebbe dovuto motivare circa la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria. Il limitato ampliamento di ml. 12,00 x 1,20, eseguito mediante tamponamento dei balconi esistenti su un lato dell’edificio, non potrebbe essere rimosso per il pregiudizio strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell’immobile, con conseguente applicazione dell’art. 15 della legge regionale n. 23 del 2004, e dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

5.1.- La doglianza non può essere accolta, per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, l’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo, al secondo comma, che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione”.

La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dalla disposizione appena citata, deve dunque essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001).

In secondo luogo, il comma 2 ha attribuito rilievo al pregiudizio conseguente alla “parte eseguita in conformità” e non si riferisce anche ai casi in cui anche il manufatto oggetto di ampliamento deve essere demolito perché abusivo, come nel caso di specie.

6.- I motivi aggiunti relativi al diniego di concessione in sanatoria – di data 25 giugno 2014, n. 10260 – devono essere respinti.

6.1.- Correttamente l’Amministrazione comunale ha rilevato che l’ampliamento oggetto di richiesta di istanza in sanatoria:

– è una parte integrante (nel senso di non essere suscettibile di realizzazione autonoma) di un manufatto oggetto di plurimi e consolidatisi ordini di demolizione;

– esorbita dai limiti dimensionali stabiliti dall’art. 33, comma 3, della legge regionale n. 23 del 2004 (non potendo comportare un aumento di cubatura superiore al 10% della singola unità immobiliare originaria).

6.2.- Diversamente da quanto si desume dall’atto d’appello, l’art. 46, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001 non prevede, in favore dell’aggiudicatario di una procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale, “tutte le possibilità di sanatoria”.

La disposizione – oltre a riferirsi alle sole ipotesi della mancata menzione degli “estremi” del titolo edilizio – si limita soltanto ad escludere la nullità degli atti di trasferimento (aventi ad oggetto immobili abusivi) derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali, lasciando del tutto impregiudicata l’applicazione delle sanzioni ripristinatorie, qualora l’immobile non si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (o del condono).

6.3.- Da ultimo, l’odierna appellante non ha interesse a dedurre che sarebbe mancata la comunicazione del diniego di concessione anche agli eredi del defunto comproprietario.

Peraltro – come osservato dal giudice di prime cure – la domanda di concessione in sanatoria era stata presentata dalla sola signora Ma. Ma. Za..

7.- L’appello, dunque, va integralmente respinto.

7.1.- La liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio segue la regola della soccombenza secondo la regola generale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9347 del 2015, come in epigrafe proposto:

– dichiara inammissibile l’appello, quanto al signor Ma. Sc.;

– respinge l’appello, come proposto dalla signora Ma. Ma. Za..

Condanna gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento dello spese del secondo grado di lite in favore della controparte costituita, che si liquidano in E. 4.000.00 (quattromila), oltre IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Dario Simeoli – Consigliere, Estensore

Italo Volpe – Consigliere

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