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La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico / edilizi.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. Sez. VI, 2.2.2017, n. 694; Sez. VI, 4.1.2016, n. 19; Sez. VI, 11.3.2014, n. 3952; Sez. V, n. 817 del 2013; Sez. IV, n. 615 del 2012).
La giurisprudenza di questo Giudice di appello è costante nel ritenere che, a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un “nuovo volume” (Cons. Stato, Sez. IV, 2.2.2012, n. 615, cit.).
Nell’ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un “manufatto edilizio” (cfr. Sez. VI, 24.7.2014, n. 3952): salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opere, come ad es. una tettoia, che ne alteri la sagoma.
Nella specie, anche alla luce della documentazione in atti, inclusa quella fotografica, il carattere pertinenziale dell’opera è escluso proprio in ragione del fatto che, come osserva il TAR, “la tettoia originaria, proprio perché di non ridotte dimensioni, ha una propria autonoma funzionalità che ne esclude il carattere pertinenziale rispetto agli edifici circostanti”: di qui, la correttezza della decisione del Comune, avallata in sentenza, di applicare la sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del t. u. n. 380 del 2001 (a differenza di quanto sostiene l’appellante, il quale invoca “l’irrogazione di una mera sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 37 del TU edilizia”, considerando inapplicabile il regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del t. u. medesimo).
Infine, la questione dell’ampiezza dell’area di sedime della cui acquisizione di diritto gratuita al patrimonio del Comune si tratta, esula dall’ambito della verifica sulla (il) legittimità della ingiunzione di demolizione, in quanto tale individuazione ben potrà essere compiuta con atti successivi, “a valle” dell’ordine di demolizione.
In conclusione, in disparte il possibile profilo di inammissibilità dell’appello e del ricorso di primo grado, in relazione alla mancata tempestiva impugnazione del provvedimento del 26.2.2015 di decadenza dell’efficacia del permesso di costruire, l’appello va respinto e la sentenza confermata.
Tuttavia, le peculiarità della vicenda e il carattere oggettivamente non agevole della “identificazione e qualificazione” dell’atto del 9.1.2008 giustificano in via eccezionale la compensazione tra le parti delle spese e dei compensi del grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Spese del grado del giudizio compensate.
Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere

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