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22. Va dunque ribadito che l’atto del 9 gennaio 2008 va correttamente qualificato come permesso di costruire ordinario avente ad oggetto interventi ancora da eseguire.
23. Ne consegue che si deve escludere che la tettoia attualmente in essere, realizzata in assenza di titolo, sia stata oggetto di sanatoria; è ciò nonostante l’avvenuto eventuale pagamento dell’oblazione prevista dal secondo comma dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto, in assenza di un esplicito provvedimento che disponga in tal senso, il versamento dell’oblazione non può da solo comportare la sanatoria dell’abuso (si può tutt’al più ammettere che il ricorrente possa chiedere al Comune la ripetizione della somma inutilmente corrisposta).
24. In questo quadro, si deve ritenere che, come ritenuto dall’Amministrazione, alla fattispecie in esame sia applicabile l’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 e, a prescindere da ciò, che, essendo l’opera attualmente in essere abusiva, essa possa costituire oggetto di un provvedimento repressivo?”.
Dal p. 25. al p. 32. della motivazione, il TAR sottopone a verifica la questione su quale sia la sanzione correttamente applicabile: non una sanzione pecuniaria, come il ricorrente aveva sostenuto prendendo le mosse dal carattere asseritamente pertinenziale del manufatto, ma, al contrario, “la sanzione demolitoria prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001” (v. p. 32. sent.), e ciò perché il manufatto oggetto del provvedimento repressivo (v. p. 28. sent.) ha dimensioni non trascurabili (mt. 7 x mt. 3,20 circa ed altezza media pari a circa mt. 2,75).
Si tratta quindi -prosegue il TAR, al p. 29. – di un’opera che deve essere qualificata come nuova costruzione, dovendosi escludere da tale categoria solo le tettoie che, in ragione delle ridotte dimensioni e della loro conformazione, sono destinate ad arredo o a riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono (cfr. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 1 aprile 2016, n. 846).
30. Né la stessa struttura può essere considerata alla stregua di una pertinenza degli edifici circostanti, dato che, dal punto di vista urbanistico, sono tali solo le opere che non alterano in modo rilevante l’assetto del territorio e che non possono essere utilizzate separatamente ed autonomamente dalla cosa principale tanto che le due cose non possono venir separate senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme. (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 4 gennaio 2016, n. 19; T.A.R. Lazio Roma, sez. I quater, 10 marzo 2015, n. 3937).
31. Nel caso concreto, la tettoia originaria, proprio perché di non ridotte dimensioni, ha una propria autonoma funzionalità che ne esclude il carattere pertinenziale rispetto agli edifici circostanti?”.
2.Il signor Si. ha interposto appello con un unico, articolato motivo, concernente “error injudicando”, violazione ed errata applicazione del d.P.R. n. 380 del 2001, erroneità dei presupposti in fatto e in diritto, omessa valutazione della documentazione prodotta in giudizio e difetto di motivazione.
L’appellante premette che il permesso di costruire “in sanatoria” presuppone che le opere della cui “regolarizzazione” si tratta siano state già eseguite, e che tale realizzazione sia stata effettuata in assenza di titolo o in difformità da esso: di conseguenza, venendo in considerazione un permesso in sanatoria riferito a opere già realizzate, non potrebbe – e non può, difatti – operare l’istituto della decadenza per mancato inizio dei lavori, di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nella specie, non si poteva ritenere che la sanatoria riguardasse la demolizione della tettoia e la sua ricostruzione con dimensioni ridotte. Inoltre, la tettoia è una mera pertinenza dei manufatti esistenti all’interno del sito produttivo.
Contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, l’atto del 9.1.2008 (“recte”, del 10.12.2007: l’atto del 9.1.2008 contiene unicamente l’avviso di avvenuto rilascio del “permesso di costruire in parziale sanatoria”) andava qualificato, appunto, quale permesso di costruire a parziale sanatoria, come comprovato da svariate circostanze delle quali però in sentenza non si è tenuto conto.

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