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8.1. Non possono essere condivisi i passaggi argomentativi che connotano l’impugnata sentenza laddove conducono all’assunto della insufficienza del voto numerico; ciò alla stregua del consolidato orientamento della Sezione (ora definitivamente confermato dall’Adunanza plenaria, n. 7/2017), in forza del quale:
a) in tema di esami per l’accesso alla professione di avvocato, il potere di valutazione esercitato dalle commissioni di esame è espressione di ampia e qualificata discrezionalità tecnica, il cui concreto esercizio può essere soggetto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo solo se viziato da travisamento dei fatti, violazione delle regole di procedura, illogicità manifesta con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti (da ultimo sentenze n. 973/2017, n. 3480/2017, n. 5680/2017, n. 5740/2017, n. 5742/2017; n. 5987/2017);
b) la circostanza che la commissione esaminatrice abbia adottato tout court i criteri dettati dalla commissione centrale non integra alcun vizio, trattandosi di una decisione che rientra pienamente in una sfera di discrezionalità tecnica esercitata in modo non irragionevole e dunque insindacabile; come, all’inverso, non spiegherebbe alcun effetto invalidante l’inosservanza delle raccomandazioni formulate dalla commissione centrale in tema di modalità procedimentali aggiuntive, che non hanno carattere cogente (sentenze n. 8621/2009, n. 673/2012, n. 1723/2013, n. 973/2017);
c) ai fini della motivazione, il voto numerico è pienamente sufficiente, anche alla luce delle note decisioni della Corte costituzionale (n. 328/2008, n. 20/2009 e n. 175/2011; cfr. da ultimo, oltre la ricordata decisione dell’Adunanza plenaria, le sentenze della Sezione n. 5658/2017, n. 5659/2017, n. 5682/2017, n. 5726/2017, n. 5728/2017, n. 5729/2017, n. 5740/2017, n. 5742/2017, n. 5987/2017) e tenuto conto della sufficienza dei criteri generali relativi alla correzione degli elaborati, che non richiedono da parte delle singole commissioni alcuna ulteriore specificazione o collegamento con l’estrinsecazione strettamente docimologica della valutazione (sentenze n. 175/2011 della Corte costituzionale; n. 317/2012 del C.G.A.R.S.; n. 8628/2009, n. 2544/2010 e n. 5726/2017 della Sezione);
d) non ha alcun rilievo l’assenza di segni di correzione, laddove al contrario solo se la commissione ritenga di apporre sottolineature o segni può ammettersi la valutazione della loro coerenza con affermazioni, concetti e principi espressi nell’elaborato, sempre che si tratti di segni non neutri od opachi, ma significativi (ordinanze n. 4798/2017, n. 4802/2017, n. 4803/2017);
e) non consente alcun dubbio interpretativo (nel senso di una pretesa immediata applicabilità immediata) la disposizione dell’art. 46, comma 5, della L. n. 247 del 2012, in combinato disposto con il chiarissimo tenore del successivo art. 49, che tiene ferma l’applicabilità delle norme previgenti “sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame” per i primi due (poi quattro, ora cinque) anni successivi all’entrata in vigore della legge, anche in disparte la considerazione che il comma 6 dell’art. 46 rinvia comunque ad apposito regolamento del Ministro della giustizia, da emanare sentito il Consiglio Nazionale Forense, per disciplinare “le modalità e le procedure di svolgimento dell’esame di Stato e quelle di valutazione delle prove scritte ed orali”, sia pure sulla base dei criteri generali enunciati dal medesimo comma 6 (sentenze n. 4040/2016 e n. 1873/2017);
f) non sfugge che la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 310 del 10 del 5 novembre 2010, ha affermato che è incostituzionale la legge che esclude l’onere della motivazione, ma essa non si attaglia alla legittimità del punteggio numerico in sede di valutazione delle prove di esame, essendosi la Corte espressa in relazione agli atti sanzionatori; con tale pronuncia, in particolare, la Corte ha ritenuto che “È costituzionalmente illegittimo l’art. 14, comma 1, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro (come sostituito dal D.Lgs. n. 106 del 2009), nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale previsti dalla citata norma non si applicano le disposizioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, esclude l’applicazione ai medesimi provvedimenti dell’art. 3, comma 1, che impone l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo. L’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi, infatti, non soltanto è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa, ma anche, nel contempo, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d’imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale”; il principio enucleabile da tale pronuncia è quindi riferibile a disposizioni aventi carattere sanzionatorio, sicché non può estendersi a procedimenti d’indole diversa come quello di valutazione delle prove di un concorso; del resto, “il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle prove scritte nell’esame di abilitazione, nella varietà della graduazione attraverso la quale si manifesta, esterna una valutazione che, sia pure in modo sintetico, si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato” (cfr. Corte cost., n. 175 del 2011 cit.; nonché la sentenza di questa Sezione n. 5726/2017).
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