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Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e, per consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1824), l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395 n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).
Inoltre l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006).
L’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.
Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640).
Così, si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053); ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.
In tutti questi casi non sarà possibile censurare la decisione tramite il rimedio – di per sé eccezionale – della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento (ex multis, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; IV, 26 agosto 2015, n. 3993; III, 8 ottobre 2012, n. 5212; IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).
Nel caso di specie, invece, si è in realtà in presenza di una censura attinente al merito del giudizio valutativo espresso in sentenza, finalizzato in ultima analisi ad ottenere – sul punto – una sorta di terzo grado di giudizio, pertanto inammissibile.
7. Con il secondo motivo di gravame il Co. In. deduce una “Illegittima composizione della Commissione giudicatrice – Violazione dell’art. 84 D.Lgs. 163/2006 nonché dell’art. 282 del D.P.R. 207/2010”.
In particolare, nel proprio gravame incidentale, il Co. In. aveva censurato, sotto vari profili, anche l’illegittima composizione della commissione giudicatrice, a suo avviso avvenuta in violazione dell’art. 84 d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) e dell’art. 282 del relativo regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 207 del 2010).
L’odierno ricorrente, nel dedurre che “la sentenza qui impugnata, dopo aver statuito su un unico aspetto della censura (quello inerente alla figura del presidente) ha respinto sbrigativamente, per ravvisata “genericità”, ogni altro contestato profilo di incompatibilità riferito agli altri componenti della commissione, affermando che il ricorrente “non espone in alcun modo le ragioni di tale incompatibilità””, individua un errore revocatorio nella “supposizione del fatto che il Co. In. non avrebbe esposto in alcun modo le ragioni dell’incompatibilità degli altri membri della commissione diversi dal presidente”.
Per contro, precisa il Consorzio ricorrente, sia il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sia l’appello incidentale, “pur nella concisione espressiva necessaria al fine di contenere l’atto impugnatorio nei necessari limiti di sinteticità imposti dalla legge, conteneva puntuali e dettagliate contestazioni concernenti l’illegittimità della nomina dei suddetti commissari diversi dal presidente, articolate in ben tre distinti profili di censura separatamente numerati”.
Anche tale motivo è inammissibile.
Sul punto la sentenza impugnata, dopo aver chiarito che la Commissione non deve essere necessariamente presieduta da un dirigente, rileva che “Un. contesta, inoltre, genericamente, la composizione della Commissione di gara [?]” e che “le ulteriori contestazioni circa presunti profili di incompatibilità degli altri componenti della Commissione sono palesemente generiche, atteso che Un. (si legga, IN., n. d.r.) non espone in alcun modo le ragioni di una tale incompatibilità”.
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