Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 19 giugno 2018, n. 28179.
La massima estrapolata:
In tema di reati contro la P.A., i dipendenti di un ente o di una societa’ concessionaria, anche in via non esclusiva, di un servizio di interesse pubblico, vanno considerati incaricati di un pubblico servizio, qualora concorrano allo svolgimento dell’attivita’ ad esso connessa espletando mansioni non meramente esecutive o d’ordine, a nulla rilevando la natura pubblica o privata dell’ente o dell’imprenditore al quale questa attivita’ sia riferibile.
Nello specifico e’ stato affermato che l’amministratore di fatto di una comunita’ per il recupero di tossicodipendenti, beneficiaria di erogazioni finanziarie pubbliche vincolate, assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio in relazione all’attivita’ di gestione della suddetta comunita’
Sentenza 19 giugno 2018, n. 28179
Data udienza 31 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. BORSELLINO Maria – rel. Consigliere
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere
Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/02/2017 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIA DANIELA BORSELLINO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ANIELLO ROBERTO che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza, previa riqualificazione del fatto ex articolo 393 c.p..
Sentito l’avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che insiste nei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La CORTE APPELLO di CATANZARO, con sentenza in data 09/02/2017, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di LAMEZIA TERME, in data 10/05/2016, che aveva condannato gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di tentata estorsione, qualificava la condotta loro ascritta come violenza a pubblico ufficiale ex articolo 336 c.p. e rideterminava la pena loro inflitta.
2.Propongono ricorso per cassazione i tre imputati, tramite il loro difensore di fiducia, deducendo con unico atto i seguenti motivi:
2.1 violazione di legge e inosservanza di norme processuali nonche’ vizio di motivazione con riferimento alla qualificazione giuridica delle condotte addebitate agli imputati ai sensi dell’articolo 336 c.p., operata dalla corte di appello sull’erroneo presupposto che le persone offese rivestissero almeno la qualifica di incaricati di pubblico servizio.
Deduce il ricorrente che non e’ stata dimostrata l’esistenza di una convenzione tra la comunita’ “(OMISSIS)” e un ente pubblico e, ad eccezione del (OMISSIS), responsabile della struttura, nessuno degli altri soggetti coinvolti nella vicenda rivestiva un ruolo direttivo nella comunita’ di accoglienza e non poteva essere considerato incaricato di pubblico servizio.
Rileva, inoltre, che con la sentenza Drassich contro Italia dell’11/12/2007 la Corte di Strasburgo ha ritenuto non equo un processo in cui la Corte di cassazione aveva provveduto a dare alla condotta ascritta all’imputato una qualificazione giuridica diversa e piu’ grave di quella contestata, impedendo all’imputato di dibattere la nuova accusa nel contraddittorio e ricorda che anche questa corte di legittimita’ ha affermato che e’ affetta da nullita’ generale la sentenza di secondo grado che attribuisca al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica, senza consentire all’imputato di interloquire sul punto.
2.2 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della condotta di violenza a pubblico ufficiale, poiche’ le persone offese non rivestivano la qualifica di incaricati di pubblico servizio, ne’ quella di pubblici ufficiali, e gli imputati non hanno posto in esser alcuna minaccia e si sono limitati a protestare, ne’ hanno agito per ottenere un ingiusto profitto o per costringere gli operatori della comunita’ a porre in essere un atto contrario ai doveri del loro ufficio, ma al contrario hanno cercato di ottenere quanto loro spettava, almeno secondo la loro opinione
2.3 vizio di motivazione in merito all’elemento psicologico del reato che sarebbe carente: la corte ha sottolineato che gli imputati agivano per ottenere quanto da loro ritenuto legittimo, nella convinzione che fosse stato loro indebitamente negato e, con motivazione contraddittoria, li ritiene responsabili del delitto di violenza a pubblico ufficiale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I ricorsi sono infondati e non possono trovare accoglimento.
1.1 L’eccezione di nullita’ della sentenza per violazione del contraddittorio, in ragione della diversa qualificazione giuridica data al fatto dalla corte di appello, va respinta poiche’, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto del diritto al contraddittorio e’ assicurato anche quando il giudice di appello provveda alla riqualificazione del fatto direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato puo’ comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo ricorso per cassazione. (Fattispecie nella quale il giudice di appello riqualificava l’originaria imputazione ex del Decreto Legislativo 27 settembre 1991, n. 313, articolo 11 nel reato di cui all’articolo 515 c.p.).
(Sez. 2, n. 12612 del 04/03/2015 – dep. 25/03/2015, Bu e altro, Rv. 26277801).
A cio’ si aggiunga che la pena e’ stata comunque determinata in misura inferiore a quella inflitta dal primo giudice e la condotta di tentata estorsione e’ stata derubricata in un reato meno grave, sicche’ gli imputati non hanno interesse a dolersi di questa diversa qualificazione.
1.2 Anche il secondo motivo risulta infondato.
E’ opportuno precisare che in tema di reati contro la P.A., i dipendenti di un ente o di una societa’ concessionaria, anche in via non esclusiva, di un servizio di interesse pubblico, vanno considerati incaricati di un pubblico servizio, qualora concorrano allo svolgimento dell’attivita’ ad esso connessa espletando mansioni non meramente esecutive o d’ordine, a nulla rilevando la natura pubblica o privata dell’ente o dell’imprenditore al quale questa attivita’ sia riferibile. (Sez. 6, n. 7083 del 29/10/2013 -dep. 13/02/2014, Accame e altri, Rv. 25879401).
Nello specifico e’ stato affermato che L’amministratore di fatto di una comunita’ per il recupero di tossicodipendenti, beneficiaria di erogazioni finanziarie pubbliche vincolate, assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio in relazione all’attivita’ di gestione della suddetta comunita’ (Sez. 6, n. 44501 del 29/10/2009 – dep. 19/11/2009, Cardella, Rv. 24500701).
Alla stregua di questi principi puo’ convenirsi con il collegio di secondo grado in merito alla qualifica di incaricato di pubblico servizio rivestita dal (OMISSIS), direttore della comunita’ di accoglienza, e dai suoi piu’ stretti collaboratori, con funzioni non meramente esecutive, che lo coadiuvano nella gestione della comunita’ e delle risorse pubbliche destinate al mantenimento degli ospiti.
Nel caso in esame e’ incontestato che gli imputati abbiano posto in essere condotte violente e minacciose nei confronti del direttore della comunita’ alloggio e di altri suoi collaboratori, al fine di ottenere la liquidazione del cd. “pocket money”, un sussidio di 2,50 Euro al giorno che viene erogato dalla comunita’ con fondi provenienti dalla Prefettura. Deve convenirsi con la corte territoriale che, il ruolo di gestione della comunita’ attribuisce al direttore della stessa la qualifica di incaricato di pubblico servizio, poiche’ il predetto gestisce denaro pubblico, e nel caso di specie la violenza – (OMISSIS) ha sferrato due pugni contro (OMISSIS) e poi ha aizzato i compagni che hanno cominciato ad assumere atteggiamenti minacciosi nei confronti di tutti gi operatori, inducendoli a barricarsi in una stanza – era tesa all’indebita percezione delle erogazioni economiche pubbliche. La corte territoriale ha, infatti, ribadito, aderendo a quanto gia’ evidenziato dal Tribunale, che (OMISSIS) pretendeva il pagamento in anticipo di somme non ancora maturate e di quelle che avrebbero dovuto essergli erogate da altra comunita’.
1.3 Anche la censura relativa alla presunta carenza dell’elemento soggettivo e alla pretesa contraddittorieta’ della motivazione del provvedimento impugnato e’ infondata, poiche’ il reato di violenza a pubblico ufficiale e’ un reato di condotta a dolo specifico, nel senso che l’autore mira a influire sul pubblico ufficiale o sull’incaricato di un pubblico servizio, per indurlo a porre in essere un atto del suo ufficio, anche se in ipotesi conforme ai suoi doverli. Ed infatti l’art 336 c.p., u.c., prevede il fatto di chi commette violenza per costringere il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, fatto meno grave di quello ipotizzato nella prima parte,ma costituente pur sempre reato, non potendosi consentire che il privato usi violenza o minaccia neppure per costringere il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio a compiere un atto conforme ai doveri dell’ufficio o del servizio, non potendosi consentire cioe’ che l’azione violenta del privato si sostituisca a quella dell’autorita’ superiore (Sez. 3, n. 2920 del 29/10/1965 – dep. 03/01/1966, CAMBRIA, Rv. 10012401). Pertanto non rileva ai fini dell’integrazione della condotta illecita, come riqualificata, la convinzione degli imputati di agire per ottenere quanto loro dovuto, in quanto viene punita la condotta violenta e minacciosa posta in essere per influire sull’operato della amministrazione pubblica.
Nel caso in esame, se il direttore (OMISSIS) o la sua collaboratrice delegata al pagamento del pocket-money avesse aderito alla richiesta di ottenere l’anticipazione di somme ancora non maturate o relative a periodi di permanenza trascorsi presso altre strutture di accoglienza avrebbe posto in essere un atto contrario ai propri doveri.
In conclusione la corte ha correttamente proceduto a riqualificare la condotta posta in essere dagli imputati, con argomentazioni immuni dai vizi paventati dai ricorrenti.
2. I ricorsi proposti devono pertanto essere respinti con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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