Integra il reato di cui all’art. 348 c.p. anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica della stessa, allorché gli atti vengano realizzati con modalità tali da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI penale
sentenza 1 dicembre 2016, n. 51362
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/11/2015 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Delehaye Enrico, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente all’articolo 485 c.p. e per il rigetto nel resto.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano con sentenza del 20 maggio 2011 ha condannato (OMISSIS) alla pena di giustizia per i reati, in forma continuata ed aggravata al primo contestati, di esercizio abusivo di professione, sostituzione di persona e falso in scrittura privata (articoli 81 e 348 c.p., articolo 61 c.p., n. 2, articoli 494, 481 e 485 c.p.).
Si e’ in tal modo ritenuto che il prevenuto abbia esercitato senza idoneo titolo abilitativo l’attivita’ di commercialista sia fornendo prestazioni professionali ad una pluralita’ persone fisiche e societa’ sia assistendo privati innanzi alla Commissione tributaria di Milano, organo che induceva in errore attribuendosi il falso nome di (OMISSIS), ragioniere commercialista.
Nel medesimo contesto poi il prevenuto commetteva il reato di cui agli articoli 481 e 485 c.p., falsificando la firma del (OMISSIS) in calce ai ricorsi presentati dinanzi alla Commissione tributaria ed autenticando quella ivi apposta dai patrocinati, (OMISSIS) e (OMISSIS).
Su impugnativa dell’imputato, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 24 novembre 2015, ha confermato la sentenza del Tribunale.
2. Ricorre per cassazione il prevenuto a mezzo di difensore di fiducia ed articola quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si fa valere inosservanza o erronea applicazione della legge penale e delle norme extrapenali integrative, con riferimento alle previsioni del Decreto Legislativo n. 139 del 2005, istitutivo dell’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Si deduce che la condotta osservata dall’imputato si era concretizzata nella tenuta della contabilita’, nella registrazione di fatture e nella predisposizione della dichiarazione dei redditi, attivita’, queste, che, in quanto rientranti nella sezione B) dell’Albo, potevano essere svolte da esperti contabili che non si trovassero in regime di esclusivita’.
Trattandosi di libero esercizio di attivita’ professionale doveva escludersi la sussistenza del reato di abusivo esercizio della professione.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia il mancato operato assorbimento, ad opera della Corte territoriale, del reato di sostituzione di persona (articolo 494 c.p.) in quello di falso in scrittura privata (articolo 485 c.p.), nella dedotta unicita’ della condotta del prevenuto, che aveva sottoscritto la procura alle liti a nome di altra persona, e nella natura sussidiaria della fattispecie di cui all’articolo 494 c.p..
2.3. Con il terzo motivo, si deduce l’intervenuta depenalizzazione del reato di cui all’articolo 485 c.p. per il Decreto Legislativo n. 7 del 2016 e si chiede quindi l’assoluzione dal relativo titolo dell’imputato e, ancora, dal reato di sostituzione di persona in quanto assorbito nel reato depenalizzato.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente fa valere l’erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133 c.p. per non avere la Corte di appello debitamente valorizzato la condotta di collaborazione del prevenuto che aveva confessato e non si era opposto alle verifiche della Guardia di Finanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato nei termini di seguito indicati.
2. Non e’ fondato il motivo per il quale il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto integrata, per la condotta ascritta al prevenuto, la fattispecie di esercizio abusivo della professione e non rilevante la distinzione contenuta nell’Albo unificato dei dottori commercialisti e degli esperti contabili’ tra attivita’ riservate ai dottori commercialisti (sezione A) ed attivita’ che possono essere liberamente svolte dagli iscritti alla sezione degli esperti contabili (sezione B).
La Corte di appello di Milano ha fatto corretta applicazione, per motivazione che non si presta a sindacato alcuno in sede di legittimita’, del principio di diritto, da cui non si ha qui ragione di discostarsi, persuasivamente affermato dalla Corte di cassazione sin dalla sentenza, a Sezioni Unite, Cani (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011 (dep. 2012), Cani, Rv. 251819; in termini: Sez. 6, n. 23843 del 15/05/2013, Mappa, Rv. 255673), in materia di professioni protette ed esercizio abusivo della professione.
L’integrazione del reato di esercizio abusivo della professione di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale, nel vigore del codice di cui al Decreto Legislativo n. 139 del 2005, resta integrata infatti dal compimento senza titolo di atti – quali le condotte di tenuta della contabilita’ aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti – che, pur non rientrando singolarmente nella competenza esclusiva di una determinata professione liberale, siano comunque idonei a creare, in quanto svolti per continuativita’, onerosita’, organizzazione e retribuzione, in assenza di chiare indicazioni diverse, oggettive apparenze di un’attivita’ professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
Poiche’ il prevenuto ha operato, tenendo la contabilita’, registrando fatture, predisponendo la dichiarazione dei redditi per una pluralita’ di societa’ e persone fisiche, in epoca successiva all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 139 del 2005, istitutivo dell'”Albo unificato dei dottori commercialisti e degli esperti contabili”, in applicazione dell’indicato principio, come rilevato dalla Corte di appello di Milano, a nulla vale il rilievo difensivo che il primo si sia limitato a svolgere l’attivita’ dell’esperto contabile che, in quanto prevista dalla sezione B) dell’Albo, sarebbe liberamente esercitabile in quanto non di esclusiva attribuzione ad una determinata categoria professionale.
3. Non e’ poi fondato il motivo con cui si deduce l’assorbimento del reato di sostituzione di persona (articolo 494 c.p.) in quello di falso in scrittura privata (articolo 485 c.p.), attese le specifiche modalita’ per le quali e’ contestata al prevenuto l’integrazione dei quest’ultimo reato.
Per il fatto ascritto e ritenuto infatti, il (OMISSIS) si e’ sostituito ad altra persona, professionista abilitato, sottoscrivendo il ricorso presentato alla Commissione tributaria ed autenticando le firme apposte dai privati, che in detta occasione egli assisteva.
Il reato di sostituzione di persona puo’ ritenersi assorbito da un altro delitto contro la fede pubblica quando si tratti di una unicita’ di azione o di omissione riconducibile contemporaneamente alla previsione dell’articolo 494 c.p. e ad altra norma posta a tutela della fede pubblica (Sez. 1, n. 6098 del 02/05/1984, Pilone, Rv. 165068).
Si ha, per contro, concorso materiale di reati quando ci si trovi in presenza di una pluralita’ di fatti e quindi di azioni diverse e separate (Sez. 6, n. 13328 del 17/02/2015, Scarano, Rv. 263076).
Quest’ultima evidenza e’ stata congruamente apprezzata dalla Corte milanese che ha, in tal modo, escluso il dedotto assorbimento, ed affermato l’autonomina dei contestati reati, nella pluralita’ delle condotte contestate, ravvisabile in chi si attribuisca un falso nome ed una falsa qualifica e poi falsifichi materialmente la scrittura privata – nella specie i due ricorsi presentati davanti alla Commissione tributaria -, apponendovi false sottoscrizioni.
4. In ordine agli indicati motivi il ricorso va quindi rigettato.
5. Il motivo sulla depenalizzazione del reato e’ invece fondato.
Il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 all’articolo 1, lettera a) ha abrogato infatti il reato di cui all’articolo 485 c.p..
All’abrogazione segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’indicato titolo perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato.
All’abrogazione segue altresi’ la necessita’ di rideterminare la pena, operazione, quest’ultima, per la quale si impone l’annullamento con rinvio.
Ed infatti, avendo il Tribunale, che e’ stato confermato per le adottate statuizioni in grado di appello, quantificato la pena da irrogare muovendo da una pena-base determinata sulla violazione piu’ grave, identificata in quella di cui all’articolo 485 c.p., resta sottratto a questa Corte, nella sopravvenuta illegalita’ del trattamento sanzionatorio applicato, il potere di procedere a nuova determinazione della pena (articolo 620 c.p.p., lettera l).
La pena-base e’ espressione infatti della discrezionalita’ propria del giudice del merito al cui esercizio non puo’ supplire la Corte di legittimita’ chiamata invece ad operare sulla misura della pena, per illegalita’ della stessa, nel solo caso in cui la modifica del trattamento sanzionatorio si atteggi quale risultato di una mera operazione aritmetica.
Non soccorrendo la situazione da ultimo indicata, e’ necessario il rinvio alla Corte di appello di Milano, altra sezione, perche’ la stessa provveda alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio all’esito dell’intervenuta depenalizzazione del reato di falso in scrittura privata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 485 c.p. perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato;
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena.
Rigetta nel resto
Leave a Reply