Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 31 marzo 2016, n. 12904
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere
Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. ANDRONIO A. M. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Tribunale di Foggia del 15 aprile 2015;
visti gli atti, il Provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Andronio Alessandro M.;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 15 aprile 2015, il Tribunale di Foggia ha rigettato la richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo del Gip dello stesso Tribunale del 23 marzo 2015, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di un immobile, in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b), perche’ eseguito in presenza di un permesso di costruire evidentemente illegittimo, in quanto emesso in violazione sia della norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale (che avrebbero richiesto la disponibilita’ di un lotto minimo di 5000 m2, a fronte dei 908 posseduti dall’indagato e avrebbero richiesto una distanza minima dal ciglio stradale di metri 10, anziche’ di metri 6,95) sia dell’accordo procedimentale del 22 maggio 2003 (il quale attribuirebbe il diritto di costruire un altro immobile avente uguali tipologia, volume, superficie coperta dell’immobile preesistente e non un immobile destinato a civile abitazione, nonche’ fisserebbe il termine di 12 mesi per la ricostruzione dell’immobile). Il Tribunale ha evidenziato una serie di difformita’ tra le opere realizzate e quelle pur illegittimamente assentite, essendo in corso di realizzazione un edificio con due piani fuori terra, un piano interrato e un sottotetto, a fronte di un permesso di costruire avente ad oggetto un edificio con un piano interrato e un piano rialzato, con conseguente aumento della volumetria dell’edificio, pari a metri cubi 486 rispetto alla volumetria assentita pari a metri cubi 271,20. Il periculum in mora e’ stato individuato nella circostanza che le opere non erano ancora ultimate e che la loro ultimazione avrebbe prodotto ulteriori conseguenze negative sul regolare assetto del territorio.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo l’erronea applicazione delle norme del regolamento edilizio comunale relative ad altezze, volumi e numero di piani, nonche’ la mancanza di motivazione del Provvedimento impugnato sul punto. Si sostiene che il Tribunale avrebbe dato credito a generiche affermazioni del consulente tecnico del pubblico ministero senza considerare che, in corso di esecuzione e prima della sistemazione esterna, non possono essere determinati ne’ le altezze, ne’ i volumi, ne’ il numero dei piani. Sarebbe, inoltre, erronea l’interpretazione data dal Tribunale dell’accordo del 22 maggio 2003, perche’ tale accordo – secondo la ricostruzione difensiva – non avrebbe previsto che il nuovo immobile da realizzarsi in luogo del precedente fosse anch’esso adibito a deposito, cosi’ che lo stesso avrebbe potuto essere destinato, come avvenuto, a civile abitazione. E, del resto, il mantenimento della tipologia dell’immobile nulla avrebbe a che vedere con la destinazione d’uso dello stesso, perche’ l’unico mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante in materia edilizia sarebbe solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell’ambito della stessa categoria possono aversi mutamenti di fatto. Quanto alle difformita’ tra le opere realizzate e quelle assentite, la stessa sarebbe sussistente, perche’ l’immobile preesistente aveva un sottotetto e un piano fondale che non sarebbero stati presi in considerazione. Ne’ si sarebbe considerato che, in un caso analogo, il Tribunale aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere sulla base di una perizia d’ufficio, che aveva evidenziato la conformita’ dell’immobile agli strumenti urbanistici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso e’ inammissibile, perche’ proposto al di fuori dei limiti fissati dall’articolo 325 c.p.p., comma 1. Esso e’ infatti basato su censure che – al di la’ della loro intestazione formale – non sono sostanzialmente riferite a violazioni di legge, ma a pretesi vizi della motivazione. Le censure sono, inoltre, del tutto generiche, perche’ nel ricorso non si indicano gli elementi concreti sulla base dei quali la conforme valutazione dello stato di fatto operata dal Gip e dal Tribunale dovrebbe essere disattesa.
Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve comunque rilevarsi che – contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso – il Tribunale ha evidenziato, sulla base di numerosi convergenti indizi, sia l’illegittimita’ macroscopica del permesso di costruire rilasciato sia, in ogni caso, l’evidente non conformita’ delle opere realizzate a tale permesso. E’ sufficiente qui richiamare, innanzi tutto, il profilo che il Tribunale ha ritenuto assorbente, ovvero la destinazione del nuovo immobile realizzato a civile abitazione, in violazione dell’accordo del 22 maggio 2003, con il quale si era autorizzato l’indagato a demolire un fabbricato adibito a deposito e a ricostruire un altro immobile avente uguale tipologia, nonche’ identici volume e superficie coperta. E sul punto deve essere richiamato il principio, piu’ volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, al fine di ritenere configurabile il mutamento di destinazione d’uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie sono irrilevanti le modifiche – recentemente apportate Decreto Legge n. 133 del 2014, articolo 17, convertito dalla L. n. 164 del 2014, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, il quale, nell’estendere la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unita’ immobiliari con esecuzione di opere, se comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d’uso (sez. 3, 16 ottobre 2014, n. 3953, rv. 262018). E si deve, in particolare, osservare che, per il caso della trasformazione, attraverso opere interne ed esterne, di un immobile da deposito ad uso residenziale, viene in rilievo il disposto del nuovo Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 23-ter, comma 1, ai sensi del quale costituisce “mutamento d’uso urbanisticamente rilevante” ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unita’ immobiliare diversa da quella originaria, ancorche’ non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purche’ tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unita’ immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. E non possono essere qui prese in considerazione le asserzioni svolte dalla difesa sul punto, secondo cui dagli atti non emergerebbe che il fabbricato preesistente fosse un deposito agricolo. Si tratta, infatti, di rilievi puramente fattuali, puntualmente smentiti dal Tribunale e, comunque, inammissibili in sede di legittimita’.
Ne’ possono essere condivise le considerazioni – anche esse puramente fattuali svolte dalla difesa relativamente alla reale consistenza dell’immobile effettivamente realizzato, perche’ la stessa e’ stata constatata dalla polizia giudiziaria e dal consulente tecnico del pubblico ministero e risulta ampiamente confermata dalla documentazione fotografica in atti. Del resto, la linea difensiva dell’indagato muove, sul punto, dall’erroneo presupposto che la volumetria rappresentata da piani che saranno interrati o seminterrati – e che, peraltro, non risultano tali allo stato in cui si trovano i lavori non dovrebbe essere considerata ai fini del computo volumetrico totale.
Si tratta, in ogni caso, di valutazioni che potranno essere oggetto di definitivo approfondimento in sede di merito. Ed anzi la ragione giustificativa della previsione dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, nel senso di limitare alla sola violazione di legge il ricorso per cassazione avverso il riesame del sequestro probatorio, risiede proprio nell’esigenza – rilevante ai fini dell’economia processuale – di evitare che il giudizio di merito sulla responsabilita’ penale possa essere anche parzialmente anticipato in sede cautelare (ex plurimis, sez. 3, 9 luglio 2015, n. 41211; sez. 3, 17 gennaio 2013, n. 24824).
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ “, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Leave a Reply