Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 1 febbraio 2016, n. 4097
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO Silvio – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere
Dott. MANZON Enrico – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso la sentenza del GIP del tribunale di TORINO in data 15/05/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza limitatamente alla confisca.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 15/05/2014, depositata in pari data, il GIP del tribunale di TORINO, in accoglimento della richiesta delle parti, applicava a (OMISSIS) la pena di 2 anni e 7 mesi di reclusione ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., per i reati al medesimo ascritti, ritenuta la continuazione, disponendo – per quanto di interesse in questa sede – la confisca per equivalente dei beni nella disponibilita’ del medesimo per un valore corrispondente a euro 5.072.000,00; giova precisare, per migliore intelligibilita’ dell’impugnazione, che la confisca per equivalente e’ stata disposta, ai sensi della Legge n. 243 del 2007, articolo 1, comma 143, quanto al profitto del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, contestato al capo b) della rubrica (perche’, in qualita’ di a.u. della societa’ (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita in data (OMISSIS), al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte di ammontare complessivo ad euro 5.272.432,00, alienava simulatamente o comunque compiva atti fraudolenti sui beni della societa’ idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, il tutto secondo le modalita’ esecutive e spazio – temporali meglio descritte nell’imputazione relativa).
2. Ha proposto ricorso (OMISSIS) a mezzo di difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), sotto il profilo della violazione di legge in relazione alla Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, laddove il giudice ha disposto la confisca per equivalente pur non essendo stati individuati ne’ individuabili beni riconducibili all’imputato da sottoporre a confisca.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, il Gip avrebbe errato nel disporre la confisca per equivalente della somma sopra indicata, in assenza di qualsivoglia individuazione specifica di beni nella disponibilita’ dell’imputato da sottoporre alla misura ablativa, fatta salva la somma di euro 50.000 che il medesimo imputato risulta aver depositato in favore del fondo unico giustizia nell’ambito del procedimento penale 4025/11 r.g.n.r. procura tribunale Torino; rileva il ricorrente che, pur trattandosi di confisca obbligatoria, la stessa non possa prescindere dalla effettiva e concreta disponibilita’ in capo all’imputato o di interposta persona delle somme di denaro, beni ed utilita’ da sottoporre alla stessa; l’individuazione specifica di cio’ che deve essere confiscato sarebbe il presupposto strutturale di ogni provvedimento ablativo di questo tipo, come del resto richiesto dalla giurisprudenza di legittimita’ richiamata del ricorso; cio’ varrebbe, secondo il ricorrente, anche nelle ipotesi di confisca per equivalente; in altri termini, laddove il bene costituente profitto o prezzo del reato non sia possibile, e’ certamente possibile spostare la ablazione su altri beni che ricadono nella sfera di disponibilita’ dell’imputato, ma a condizione che si tratti di beni che gia’ esistono nella sua sfera di disponibilita’, e non certo su beni futuri, non individuati ne’ individuabili; detta conclusione contraddice dunque quanto sostenuto dal Gip in ordine alla confiscabilita’ di beni non individuati, non ricadenti pertanto nella disponibilita’ nota dell’imputato, ma che potrebbe un giorno ricadervi ancorche’ siano stati acquisiti non con il profitto del reato del cui vantaggio oggi si discute, ma del tutto lecitamente; non sarebbe dunque possibile comprendere come possa avere ad oggetto detto provvedimento ablativo i beni futuri, i quali, in quanto tali, se lecitamente acquisiti, certamente non possono dirsi eziologicamente collegati a profitti di natura delittuosa; a ragionare diversamente, si finirebbe per impedire a qualsiasi imputato che sia stato condannato per reati per cui e’ prevista la confisca obbligatoria per equivalente, di procurarsi per il tempo a venire, qualsiasi bene, con mezzi leciti quali ad esempio il guadagno lavorativo, pena la confiscabilita’ per fatti per i quali ipoteticamente potrebbe gia’ aver pagato il suo debito con la giustizia e che soprattutto non siano assolutamente il frutto dell’arricchimento conseguito dal reato.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione alla Legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, laddove il giudice ha disposto la confisca per equivalente, in particolare relativamente alla determinazione del profitto effettivamente conseguito dall’imputato e come tale astrattamente confiscabile, denunciando il correlato vizio di carenza della motivazione rispetto agli elementi di prova, laddove ritiene dimostrato che tutte le imposte dichiarate e non versate dal (OMISSIS) siano state dal medesimo effettivamente percepite.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, il Gip avrebbe errato nel disporre la confisca per equivalente della somma sopra indicata, in particolare errando nella esatta quantificazione dell’incremento netto patrimoniale pervenuto, in ipotesi di accusa, al (OMISSIS) e suscettibile di confisca per equivalente; il Gip avrebbe erroneamente disposto la confisca per un ammontare pari al quantum del patrimonio asseritamente sottratto alla esecuzione del Fisco dall’imputato, ma in realta’ non del tutto dimostrato come tale alla luce delle indagini preliminari confluite nel fascicolo del pubblico ministero a disposizione del giudice, soprattutto alla luce di quanto il Fallimento ha recuperato dalle cessioni di ramo d’azienda contestate, dai beni e dai denari che il (OMISSIS) ha versato alla procedura in sede di transazione e quanto alla fine andra’ ripartito a favore dell’Erario; osserva il ricorrente come si tratti di valori che non possono non essere conteggiati al fine di una corretta ed equa determinazione del profitto conseguito; diversamente se il concreto recupero di imposta da parte dell’Erario fosse indifferente rispetto all’entita’ della confisca da disporre in via equivalente, il soggetto confiscato subirebbe una indebita duplicazione della sanzione, laddove da un lato ha soddisfatto la pretesa ed il recupero fiscale, e dall’altro ha subito la misura ablativa per l’intero senza alcuna decurtazione; verrebbe meno o nel concreto si ridurrebbe in maniera corrispondente il profitto da sottoporre a confisca, come del resto affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale il vantaggio economico deve essere stato effettivamente conseguito dal reo, non dovendosi considerare a tal fine quelle utilita’ economiche solo potenziali; ne discenderebbe dunque che il quantum confiscabile per equivalente non puo’ essere pari alla somma aritmetica degli importi contestati come sottratti nei capi d’imputazione, come invece ha ritenuto il Gip; in assenza di ulteriori analisi da parte del Gip, va qui rimarcato, sostiene il ricorrente, che in tema di confisca per equivalente e’ assolutamente necessario individuare in maniera esatta l’effettiva entita’ del vantaggio illecitamente percepito dal reo, che nel caso del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, non puo’ semplicemente corrispondere al patrimonio sottratto, ma deve necessariamente andare ad individuare e distinguere tra quanto alla fine incassato dal Fisco, e quanto invece definitivamente non recuperato perche’ sottratto con la cessione dei rami d’azienda; il giudice, disponendo de plano la confisca per equivalente della somma aritmetica dei valori patrimoniali sottratti al recupero del Fisco come portati nel capo d’imputazione ascritto, ossia senza decurtare la parte fatta pervenire alla procedura fallimentare e che e’ oggetto di riparto finale a favore dell’Erario, sarebbe incorso in un palese vizio di carenza motivazionale; da qui dunque la richiesta a questa Corte di annullare l’impugnata sentenza, invitando il giudice a determinare il quantum del profitto effettivamente percepito, elemento indefettibile ed irrinunciabile per disporre legittimamente la confisca per equivalente del profitto.
3. Con requisitoria scritta pervenuta presso la Cancelleria di questa Corte in data 22/04/2015, il P.G. presso la S.C. ha chiesto accogliersi il ricorso, in particolare sostenendo che non e’ configurabile una sanzione “in incertam rem” sia perche’ non risultano individuati ne’ sottoposti a misura cautelare beni cui rapportare l’equivalente indicato in sentenza come confiscabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ fondato.
5. Al fine di comprendere la soluzione cui e’ pervenuto il Collegio e’ necessario sintetizzare il percorso argomentativo nella decisione qui censurata.
Il GIP, nel disporre la confisca per equivalente della somma dianzi indicata, dopo aver ricordato che la confisca per equivalente e’ applicabile anche in caso di patteggiamento a prescindere dall’accordo delle parti e che la stessa puo’ essere disposta anche nel caso in cui non sia stata preceduta da sequestro ad essa funzionale, precisa, quanto all’oggetto della confisca, che secondo la giurisprudenza, il profitto, confiscabile anche nelle forme per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo del reato (Sez. 3, n. 33184 del 12/06/2013 – dep. 31/07/2013, Abrusci, Rv. 256850); ricorda il GIP che e’ necessario, per l’integrazione del reato, che vi sia un depauperamento del patrimonio attraverso alienazioni simulate o altri atti fraudolenti con la finalita’ di sottrarsi al debito verso il Fisco, ed e’ del pari necessario, per disporre una misura ablatoria per equivalente nei reati tributari, individuare un profitto o un prezzo; sul punto, il giudice richiamando giurisprudenza di questa Corte – secondo cui “…con riguardo in particolare al reato di cui all’articolo 11 cit., il profitto va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo della fattispecie, attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere…” (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012 – dep. 03/07/2012, Caneva e altro, Rv. 252996, in motivazione) – ritiene che, nel caso in esame, considerata la natura simulata delle cessioni di ramo di azienda contestate al capo b), il profitto sia da individuare nel valore stimato delle attivita’ dei suddetti rami d’azienda, pari ad euro 5.072.000,00 posto che, secondo quanto emerge dalla relazione L.F., ex articolo 33, la somma di euro 746.000,00 che risulterebbe percepita dalla societa’ fallita in adempimento parziale del corrispettivo contrattuale anch’esso simulato non risulta sul c/c; da, qui, dunque, la necessita’ di disporre la confisca di beni nella disponibilita’ del (OMISSIS) per un valore corrispondente alla somma dianzi indicata corrispondente alla simulata depauperazione delle garanzie patrimoniali di cui all’articolo 2740 c.c..
6. Tanto premesso, puo’ essere esaminato il primo motivo, con cui, in sostanza, il ricorrente si duole per essere stata disposta la confisca per equivalente su beni futuri non specificamente individuati ne’ individuabili.
7. Sul punto si rendono necessarie alcune considerazioni.
L’ambito di applicazione della confisca per equivalente inizialmente previsto per alcuni reati del codice penale e’ stato esteso anche ai reati tributari dalla Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143, (Finanziaria 2008), secondo il quale “nei casi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di Iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322 ter c.p.”. La disposizione, oggetto di recente abrogazione per effetto del disposto del Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, articolo 14, (recante “Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione della Legge 11 marzo 2014, n. 23, articolo 8, comma 1”, pubblicato nella Gazz. Uff. 7 ottobre 2015, n. 233, S.O.), e’ stata pero’ riproposta, con evidente continuita’ normativa, nell’attuale Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis, in vigore dal 22/10/2015, che cosi’ prevede “1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p., per uno dei delitti previsti dal presente decreto, e’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non e’ possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilita’, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. 2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca e’ sempre disposta”. La confisca per equivalente puo’ quindi riguardare (a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’articolo 240 c.p. avente ad oggetto soltanto cose direttamente riferibili al fatto illecito) beni che, oltre a non avere nessun rapporto con la pericolosita’ individuale dell’agente o della cosa in se’, non hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato: difatti, tale provvedimento non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore di essi.
Il fondamento della Legge n. 244 del 2007, citato articolo 1, comma 143, e’ stato individuato nell’opportunita’ di consentire l’applicazione di misure ablative patrimoniali anche a quelle fattispecie di reato inequivocabilmente caratterizzate dal conseguimento di un profitto o vantaggio economico realizzato attraverso un “risparmio” di spesa in grado di diminuire o pregiudicare il flusso delle entrate tributarie. Attraverso la confisca si e’ inteso privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attivita’ criminosa, anche di fronte all’impossibilita’ di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacita’ dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione in quanto non e’ commisurata ne’ alla colpevolezza dell’autore del reato, ne’ alla gravita’ della condotta. Per rafforzare gli strumenti di contrasto all’evasione fiscale il legislatore ha introdotto una vera e propria “misura sanzionatoria” che si affianca alla pena detentiva per le violazioni piu’ gravi delle norme tributarie a causa della sostanziale inoperativita’ della confisca ordinaria. Infatti, le ipotesi di confisca obbligatoria e facoltativa, che presuppongono l’accertamento di un necessario rapporto di pertinenzialita’ tra prodotto, profitto, prezzo e reato, avevano trovato un ridotto margine di applicazione in relazione ai reati tributari specialmente nelle ipotesi in cui i vantaggi illeciti erano costituiti da un risparmio di spesa per il mancato versamento di imposte o da un arricchimento derivante da indebiti rimborsi; e cio’ in quanto il profitto, per esigenze processuali discendenti da difficolta’ probatorie, poteva difficilmente adattarsi al concetto di provenienza da reato delle risorse e dei beni gia’ presenti nel patrimonio del colpevole. Al fine di tutelare l’integrita’ patrimoniale dello Stato e di ampliare la base imponibile, sono mutati i presupposti applicativi dell’istituto e, pertanto, la prova del “nesso di pertinenzialita’” che deve ordinariamente sussistere nel sequestro preventivo, non e’ piu’ richiesta per il sequestro finalizzato alla confisca dell’equivalente, che esiste solo in senso astratto come rapporto tra l’ipotizzato profitto del reato e la fattispecie tributaria (v., tra le tante: Sez. 3, n. 7081 del 24/01/2012 – dep. 23/02/2012, Cerato, Rv. 252103).
Orbene, nei casi in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato a causa del loro mancato reperimento e’ consentito, attraverso il trasferimento del vincolo dall’oggetto diretto all’equivalente apprendere utilita’ patrimoniali di valore corrispondente di cui il reo abbia comunque la disponibilita’. Anzi, costituisce proprio una condizione di operativita’ della confisca per equivalente la circostanza che nella sfera giuridico-patrimoniale della persona colpita dalla misura non sia rinvenuto il prezzo o il profitto del reato per cui si procede, ma di cui sia ovviamente certa l’esistenza. Il presupposto e la stessa ragion d’essere della confisca per equivalente risiedono nel fatto che quel prezzo o profitto non sia rinvenuto e tale circostanza autorizza lo spostamento della misura dal bene costituente prezzo o profitto del reato ad altro di valore equivalente ricadente sempre nella libera disponibilita’ dell’indagato (v., in termini: Sez. 5, n. 32797 del 03/07/2002 – dep. 01/10/2002, P.M. in proc. Silletti M, Rv. 222741): in sostanza, la sua caratteristica fondamentale e’ che puo’ essere adottata solo se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell’attivita’ illecita, di cui pure sia certa l’esistenza, non siano rinvenuti nella sfera giuridico-patrimoniale dell’autore del reato, perche’ consumati, confusi o trasformati, in tali casi intervenendo l’ablazione su beni svincolati dal collegamento fisico con il reato stesso: ma una volta accertata la sussistenza dei presupposti – tra cui l’equivalenza di valore tra beni confiscati e prezzo o profitto del reato – tale forma di confisca ha natura obbligatoria e va disposta anche in caso di patteggiamento (v., sul punto: Sez. 3, n. 19461 del 11/03/2014 – dep. 12/05/2014, Pg in proc. Stefanelli e altri, Rv. 260599).
8. La confisca per equivalente (che, come ricorda correttamente il GIP non deve necessariamente essere preceduta dal sequestro preventivo ad essa funzionale: Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013 – dep. 15/04/2013, Volpe e altri, Rv. 255113), deve ricadere sui beni di cui il reo ha la disponibilita’ per un valore corrispondente a quelli costituenti il prezzo o il profitto del reato, che sia stato realmente lucrato dall’indagato.
Nei reati tributari il profitto del reato, generalmente coincidente con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato, si identifica con l’ammontare delle ritenute o dell’imposta sottratta al fisco, che costituisce un vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita, anche se consistente in un risparmio di spesa (v. ad es.: Sez. 3, n. 45735 del 08/11/2012 – dep. 22/11/2012, Bastianelli, Rv. 253999). L’ammontare della imposta evasa e’ certamente riconducibile alla nozione di “profitto del reato”, in quanto sostanzialmente si traduce in un risparmio economico derivante dalla effettiva sottrazione degli importi non versati in conformita’ alla loro destinazione fiscale di cui direttamente beneficia l’autore (v., sul punto: Sez. 3, n. 1199 del 02/12/2011 – dep. 16/01/2012, Galiffo, Rv. 251893).
Il profitto, dunque, quale risparmio del contribuente, non puo’ che essere calcolato con riferimento alla totalita’ del credito vantato dall’erario (comprensivo degli interessi e delle sanzioni), essendo del tutto indifferente la natura delle voci che lo compongono, dato che la condotta illecita e’ finalizzata ad evitare complessivamente il pagamento delle imposte, che non esclude il conseguimento di vantaggi ulteriori riflessi per il soggetto evasore (Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011 – dep. 17/01/2012, Mazzieri, Rv. 253480). La nozione di profitto elaborata dalle Sezioni semplici nella materia tributaria e’ stata integralmente recepita da un recente pronunciamento delle Sezioni Unite, secondo cui “il profitto confiscabile puo’ essere costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguente alla consumazione del reato e puo’, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi e sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario” (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013 – dep. 23/04/2013, Adami e altro, Rv. 255036, principio affermato proprio in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11).
In particolare, con riferimento al delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, la giurisprudenza di questa Corte ha, anzitutto, precisato che l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non e’ il diritto di credito del fisco, bensi’ la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori (Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011 – dep. 06/10/2011, Cualbu, Rv. 251077). Si e’ poi chiarito che il profitto, confiscabile anche nelle forme per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’articolo 11 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo del reato (Sez. 3, n. 33184 del 12/06/2013 – dep. 31/07/2013, Abrusci, Rv. 256850) e non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, bensi’ nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere (Sez. 3, n. 40534 del 06/05/2015 – dep. 09/10/2015, Trust e altro, Rv. 265036), precisandosi che lo stesso consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma (Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015 – dep. 11/03/2015, Chiarolanza e altri, Rv. 262754; ad esempio, affermandosi che lo stesso non e’ configurabile, e non e’ quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria: Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015 – dep. 28/09/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789).
9. Chiarito quanto sopra, si pone il problema, oggetto della censura di cui al primo motivo, della possibilita’ di disporre la confisca per equivalente su beni futuri.
La misura in esame puo’ essere imposta, per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, sui beni di cui l’indagato abbia la disponibilita’ e, quindi, non solo sul denaro o sui cespiti di cui il soggetto sia formalmente titolare, ma anche su quelli rispetto ai quali egli possa vantare un potere informale, ma diretto ed oggettivo. La definizione di disponibilita’ dell’indagato, al pari della nozione civilistica del possesso, e’ riferibile a tutte quelle situazioni nelle quali i beni ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorche’ il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (v., ad es.: Sez. 3, n. 15210 del 08/03/2012 – dep. 20/04/2012, Costagliola e altri, Rv. 252378).
Tuttavia, la giurisprudenza di questa Sezione – cui questo Collegio ritiene di dover dare continuita’, pur in presenza di decisioni difformi non condivise dal Collegio (Sez. 6, n. 33861 del 10/06/2014 – dep. 30/07/2014, Riggio, Rv. 260176) – ha chiarito che, a differenza del sequestro preventivo previsto dall’articolo 321 c.p.p., il sequestro funzionale alla confisca “per equivalente” ha natura sanzionatoria, per cui non sono sottoponibili a tale vincolo i beni meramente futuri (Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013 – dep. 31/05/2013, D’Addario, Rv. 256164). In particolare, ha chiarito la predetta decisione “a differenza di quanto puo’ dirsi per il sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p., il sequestro per equivalente ha natura prettamente sanzionatoria e non e’ suscettibile di proiezione sul futuro. Nel primo caso, dunque, l’esigenza di impedire l’aggravarsi delle conseguenze da reato e di prevenire ulteriori offese al bene protetto autorizza l’autorita’ giudiziaria a sottoporre a vincolo anche i canoni di locazione e i vantaggi patrimoniali direttamente derivanti dalla gestione dei beni in sequestro (tali sono i fondamenti della citata sentenza Sez. 6, n.26157 del 16/3/2011); non altrettanto puo’ dirsi per il sequestro disposto ex articolo 322 ter c.p., con la conseguenza che il vincolo sui canoni di locazione confermato dal Tribunale non trova giustificazione e deve essere revocato”. Trattasi di argomenti che, cogliendo con particolare nettezza la ratio del provvedimento ablatorio, sono sicuramente destinati a prevalere sulle diverse argomentazioni sostenute dalla successiva giurisprudenza qui disattesa.
Cio’ e’ quanto si e’ verificato nel caso di specie. Ed infatti, come correttamente rilevato dal ricorrente, con argomentazioni condivise anche dal P.G. nella sua requisitoria scritta, laddove il bene costituente profitto o prezzo del reato non sia possibile, e’ certamente possibile spostare la ablazione su altri beni che ricadono nella sfera di disponibilita’ dell’imputato, ma a condizione che si tratti di beni che gia’ esistono nella sua sfera di disponibilita’, e non certo su beni futuri, non individuati ne’ individuabili. Cio’ confligge con quanto sostenuto dal Gip in ordine alla confiscabilita’ di beni non individuati, non ricadenti pertanto nella disponibilita’ nota dell’imputato, ma che potrebbero un giorno ricadervi ancorche’ siano stati acquisiti non con il profitto del reato del cui vantaggio oggi si discute, ma del tutto lecitamente. Da qui, dunque, la necessita’ di rivedere la statuizione disposta ex articolo 322 ter c.p., nel senso che la stessa puo’ riguardare esclusivamente beni che gia’ esistono nella sua sfera di disponibilita’ e non beni futuri.
10. Parimenti fondato, infine, e’ il secondo motivo.
Ed invero, non puo’ dubitarsi che la confisca per equivalente, essendo destinata a garantire il soddisfacimento della pretesa erariale (atteggiantesi, come visto in precedenza, secondo modalita’ particolari quanto all’individuazione del profitto confiscabile nel delitto di cui all’articolo 11 citato), non puo’ riguardare somme superiori rispetto all’effettivo profitto conseguito.
In tema di confisca per equivalente e’ assolutamente necessario individuare in maniera esatta l’effettiva entita’ del vantaggio illecitamente percepito dal reo, che nel caso del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, per come oggetto di contestazione del presente procedimento, non puo’ semplicemente corrispondere al patrimonio sottratto, ma deve necessariamente andare ad individuare e distinguere tra quanto alla fine incassato dal Fisco, e quanto invece definitivamente non recuperato perche’ sottratto con la cessione dei rami d’azienda.
Occorrera’, pertanto, decurtare quanto il Fallimento ha recuperato dalle cessioni di ramo d’azienda contestate, dai beni e dai denari che il (OMISSIS) ha versato alla procedura in sede di transazione: si tratta di valori che non possono non essere conteggiati al fine di una corretta ed equa determinazione del profitto conseguito. Diversamente se il concreto recupero di imposta da parte dell’Erario fosse indifferente rispetto all’entita’ della confisca da disporre in via equivalente, il soggetto destinatario del provvedimento ablatorio subirebbe una indebita duplicazione della sanzione, laddove da un lato ha soddisfatto la pretesa ed il recupero fiscale, e dall’altro ha subito la misura ablativa per l’intero senza alcuna decurtazione.
In altri termini, il quantum confiscabile per equivalente non puo’ essere pari alla somma aritmetica degli importi contestati come sottratti nei capi d’imputazione, atteso che, cosi’ ritenendo, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non puo’ mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (v., ad es.: Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015 – dep. 20/05/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014 – dep. 12/02/2014, Cavatorta, Rv. 258903).
Anche sotto tale profilo, pertanto, l’impugnata sentenza dovra’ essere annullata nella parte in cui ha disposto la confisca per equivalente.
11. L’impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente, annullata, come congiuntamente richiesto dal ricorrente e dal P.G. presso questa Corte, limitatamente alla statuizione sulla confisca per equivalente, con rinvio al tribunale di Torino, altro giudice, perche’ proceda agli accertamenti indicati nel precedente p.9 e, all’esito, provveda a rideterminare il quantum confiscabile in base a quanto chiarito nel precedente 10, uniformandosi ai principi di diritto affermati da questa Corte e richiamati nei predetti paragrafi.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla disposta confisca, con rinvio al tribunale di TORINO.
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