SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 4 febbraio 2016, n. 2239
Ritenuto in fatto
C.L. conveniva lavanti al Tribunale di Firenze B.C. e M.M. , quest’ultima quale esercente la potestà sul figlio minore B.S. , per sentire dichiarare la nullità del testamento olografo redatto il 26 febbraio 2004 di B.P. , che aveva istituito eredi le controparti revocando il precedente testamento olografo del 3 aprile 2002 a favore di essa attrice. A sostegno dell’azione, questa deduceva la nullità della seconda scheda testamentaria, per mancanza di data e di autografia e comunque per incapacità naturale del testatore.
Le convenute si costituivano separatamente in giudizio contestando la fondatezza della domanda avversa e chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento della qualità di eredi di B.P. .
Con sentenza del 5 dicembre 2007, il tribunale dichiarava nullo ex art. 591 comma 3 cod.civ. il testamento olografo del 26 febbraio 2004 e la C. erede universale in virtù del precedente del 3 aprile 2002, ritenendo in via preliminare e assorbente l’incapacità naturale del testatore, affetto da una grave malattia che lo aveva portato alla morte compromettendo la facoltà l’intendere e di volere.
Con sentenza dep. il 7 dicembre 2010 la Corte di appello di Firenze rigettava l’impugnazione proposta dai convenuti.
I Giudici ritenevano provato lo stato di incapacità naturale del testatore al momento della redazione del successivo testamento del 26 febbraio 2004, alla stregua del progressivo e irreversibile decadimento delle condizioni psico-fisiche del medesimo, quali erano risultate dal diario clinico nei giorni immediatamente successivi alle dimissioni dell’ospedale del (OMISSIS) nonché dalle dichiarazioni rese dalla infermiera P.E. la quale aveva fra l’altro riferito che dal 23 il B. non era in grado di scrivere: il che aveva trovato conferma nella documentazione medica. D’altra parte, i Giudici evidenziavano come sarebbe stato poco verosimile che proprio in quel frangente il testatore avesse deciso di revocare le disposizioni testamentarie redatte molti anni addietro in favore dell’attrice, nei confronti della quale, ancora accanto al B. il 26 febbraio, non erano intervenuti fatti tali da mutare quel sentimento di riconoscenza che aveva ispirato il primo testamento. Sarebbe stato inspiegabile e rocambolesco d’altro lato – osservavano ancora i Giudici – che il testatore avesse riacquistato un solo ed unico momento di lucidità per spenderlo prontamente al fine di redigere l’atto di ultima volontà a favore del nipote e della sorella, la quale era presente insieme ai cugini M. i quali senza indugi si sarebbero prestati a reperire l’agenda e a sorreggere il moribondo mentre scriveva, a strappare e conservare i fogli dell’agenda.
Di fronte al delineato quadro probatorio, comprovante lo stato di incapacità, le locuzioni “ritorni tutto ai B. “, “domani lo scrivo meglio”, starebbero piuttosto a dimostrare che tale frasi fossero state scritte sotto dettatura da parte della sorella che, erede legittima, aveva interesse a provocare dichiarazioni idonee a revocare le precedente disposizioni testamentarie con esse divergenti.
La chiarezza delle risultanze probatorie rendeva superflua ogni altra indagine.
Per quel che riguardava la denunciata nullità del testamento del 23 aprile 2002 a favore della C. , formulata dai convenuti, la sentenza rilevava che i medesimi si erano limitati ad effettuare il disconoscimento mentre avrebbero dovuto formulare azione diretta a fare valere la invalidità del testamento, azione che non era stata mai introdotta.
2. Avverso tale decisione propongono distinti ricorsi per cassazione, la B. e la M. , la prima in base a tre motivi e la seconda a sette; entrambe hanno depositato memoria illustrativa.
Resiste con controricorso l’intimata.
Motivi della decisione
Va innanzitutto rilevato che il ricorso proposto dalla B. , essendo stato notificato prima (il 28 marzo 2011) ha natura di ricorso principale rispetto a quello proposto dalla M. che, notificato successivamente (il 4 aprile 2001), va considerato incidentale.
RICORSO B. .
1.Il primo motivo, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, denuncia la contraddittorietà nelle quali sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel pervenire alla declaratoria di nullità del testamento, osservando che : a) i Giudici, dopo avere ritenuto che il testatore non era in grado di scrivere, aveva poi affermato che il testamento sarebbe stato dal medesimo redatto sotto dettatura: tale contraddizione era ancora più grave, tenuto conto della mancata ammissione della consulenza grafologica, senza spiegarne le ragioni ; b) la sentenza aveva posto a fondamento della decisione elementi probatori fondati su circostanze prive del minimo riscontro o contraddittorie, come l’affermazione circa l’intento e l’interesse di fare revocare le precedenti dichiarazioni da parte della B. , alla quale era stata attribuita con il testamento impugnato una quota inferiore a quella riservata all’altro coerede B.S. e che alla C. era attributo una somma di lire 50.000.00 mentre i rapporti fra questa e il de cuius erano del tutto estranei al thema decidendum.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 591 cod. civ., posto che la norma richiede, in tema di annullamento del testamento, la rigorosa prova dell’incapacità di intendere e di volere tanto più nel caso de quo in cui il testatore non era stato mai dichiarato formalmente incapace, prova che nella specie l’attrice non aveva fornito.
Il terzo motivo denuncia che erroneamente la sentenza non aveva ritenuto di applicare le norme di cui agli artt. 214 e 216 cod.proc. civ. al testamento olografo, nonostante il diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità : in tal modo la sentenza era incorsa in un duplice errore, ritenendo che non era stata proposta l’azione diretta a fare valere la non autenticità del testamento ma soltanto l’eccezione di disconoscimento; aveva considerato valido un testamento disconosciuto.
RICORSO M. .
Il primo motivo denuncia, oltre alle censure formulate con il primo motivo del ricorso B. : a) che la dichiarata incapacità di scrivere del testatore era in contrasto con la declaratoria di nullità del testamento per incapacità naturale, che postula comunque la redazione da parte del testatore, ed avrebbe semmai dovuto portare a una declaratoria di nullità per mancanza di autografia; b) la contraddittorietà delle indicazioni contenute nel diario infermieristico, da cui piuttosto avrebbe dovuto dedursi il miglioramento delle condizioni del testatore nei giorni immediatamente precedenti quello in cui ebbe a redigere il testamento.
Il secondo motivo, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, denuncia il mancato accoglimento della richiesta di sentire in controprova ai capitoli dell’attrice i testi dr. F. e B.V. che era stata chiesta con la memoria di replica del 10-11-2005 : tale richiesta era stata ribadita nelle conclusioni di primo grado, con l’appello e la comparsa conclusionale, essendo stata evidenziata la necessità di tale deposizione su circostanze determinanti in considerazione della competenza specifica del dr. F. , medico curante del de cuius, tanto più che la sentenza del tribunale aveva dato rilievo alla testimonianza della infermiera P.E. ; la Corte di appello non aveva in alcun modo motivato la decisione di non accogliere tale richiesta.
Il terzo motivo, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, denuncia la mancata ammissione della consulenza grafologica, che assumeva rilevanza anche per confermare o meno le dichiarazioni resa dalla P. , che aveva compiuto delle valutazioni sullo stato mentale senza dare specifiche indicazioni.
Il quarto motivo censura la sentenza che, in violazione dell’art. 591 cod. civ., aveva accolto la domanda di nullità del testamento del 2004 senza che la attrice avesse assolto l’onere probatorio, particolarmente rigoroso, ad essa incombente di dimostrare che il testatore fosse stato nel pomeriggio del 26-2-2004 incapace e costantemente disorientato, tanto più che nella specie il testatore non era stato mai dichiarato formalmente incapace di intendere e di volere.
Il quinto motivo denuncia il duplice errore della sentenza impugnata laddove aveva ritenuto non proposta l’azione diretta a fare valere la nullità del testamento e aveva posto a base della decisione un testamento – quello del 2002 – che era stato disconosciuto senza che si fosse proceduto alla verificazione, tenuto conto dell’applicabilità al testamento olografo delle norme di cui agli art. 214 e ss..
Il sesto motivo denuncia che, in violazione dell’art. 184 (nel testo anteriore alla novella del 1990) e 360 co. primo n. 3 cod. proc. civ., illegittimamente la Corte non aveva sentito i testi indicati a controprova di quella articolata dall’attrice non avendo il giudice il potere di escludere un teste, atteso che il diritto alla controprova costituisce espressione del diritto di difesa, tanto più nella specie in cui uni dei testi era particolarmente qualificato per essere sentito sulle circostanze capitolate.
Il settimo motivo formula la medesima censura sotto il profilo della violazione di norma processuale.
Vanno esaminati congiuntamente il quinto motivo del ricorso M. e il terzo del ricorso B. che pongono la medesima questione che, investendo in sostanza la legittimazione ad agire dell’attrice sulla base del (precedente) testamento del 2002 disconosciuto dai convenuti.
Le censure sono infondate.
In primo luogo, non risulta neppure con i motivi di appello censurato che le convenute si fossero limitate all’eccezione di disconoscimento, avendo le medesime piuttosto sostenuto – secondo quanto risulta dai motivi riportati nella sentenza impugnata – che pur in assenza di domanda riconvenzionale, l’attrice avrebbe avuto l’onere di provare l’autografia della scrittura e della sottoscrizione del testamento del 2002: evidentemente sarebbe stato onere posto a carico delle medesime dimostrare l’errore dei giudici di merito nella qualificazione come di eccezione di quella che avrebbe dovuto integrare una domanda diretta a fare valere la non autenticità del testamento.
Ciò premesso, va ricordato che, con la recente sentenza dep. il 15 giugno 2015 n.12307, le Sezioni Unite della Corte, componendo un contrasto fra le sezioni semplici circa lo strumento processuale utilizzabile per contestare la veridicità del testamento olografo, hanno ritenuto che, indipendentemente dalla posizione processuale assunta, la parte che ne contesti l’autenticità deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, ed è onerata della relativa prova che, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa.
Ne consegue che, se da un lato non è necessaria la proposizione della querela di cui agli artt. 221 e ss. cod. proc. civ., con i gravosi oneri per la parte che invochi la non autenticità del documento, neppure può trovare applicazione il procedimento di verificazione della scrittura disconosciuta ad istanza della parte che in tal caso sarebbe onerata di provare la genuinità del documento posto a fondamento del diritto che intenda fare valere.
Vanno esaminati congiuntamente il primo motivo del ricorso B. e il primo di quello M. .
Nel confermare la decisione del tribunale che aveva dichiarato la nullità del testamento per incapacità naturale, i Giudici di appello hanno accolto la domanda che assumeva, sul piano logico giuridico, carattere prioritario rispetto alle altre domande (di nullità per mancanza della olografia) r avendo in ogni caso escluso – in base a quelle che erano state le risultanze istruttorie sul progressivo e irreversibile decadimento delle condizioni mentali – la riferibilità dell’atto alla consapevole volontà del testatore, al quale era attribuito. Di fronte a tale quadro probatorio era evidentemente del tutto irrilevante l’indagine grafologica richiesta, mentre l’affermazione circa la dettatura delle espressioni, invocate dagli appellanti per sostenere la genuinità del testamento, la stessa è stata compiuta per sottolinearne la ininfluenza di quelle locuzioni tenuto conto dell’accertato stato di incapacità naturale che impedivano al testatore di rendersi conto di quanto scriveva. La sentenza ha in proposito compiuto una dettagliata analisi delle condizioni psicofisiche del B. , procedendo a una valutazione immune da vizi logici o giuridici. In effetti, le critiche formulate dalla ricorrente non sono Idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere – l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato ovvero alla sua incoerenza logica, quale risulti dalle stesse argomentazioni del giudice, e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.
Esame del secondo motivo del ricorso B. e quarto motivo di quello M. .
Le censure sono infondate.
Occorre ricordare che in tema di annullamento del testamento, l’incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del ‘de cuius’, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo.
Nella specie, come si è visto la sentenza ha ritenuto, con accertamento di fatto, la esistenza di un incapacità totale al momento di redazione del testamento per cui è del tutto insussistente la violazione di cui all’art. 591 cit., che evidentemente prevede proprio l’ipotesi che l’autore dell’atto non versi in uno stato di incapacità legale: in effetti, pur denunciando la violazione di legge, la ricorrente formula una ricostruzione in fatto difforme da quella accertata in sentenza.
Il secondo motivo del ricorso M. è infondato.
La sentenza ha chiarito che era superflua ogni altra indagine probatoria all’esito di quanto emerso – sulle condizioni mentali del testatore – a stregua non soltanto della dichiarazione della teste P. ma anche della documentazione medica.
Il terzo motivo ricorso M. è infondato.
La sentenza ha ritenuto la irrilevanza della indagine grafologica, all’esito degli accertamenti compiuti sullo stato di incapacità: vanno qui soltanto ribadite le considerazioni formulate in occasione dell’esame del primo motivo a proposito della correttezza dell’iter logico giuridico della sentenza impugnata relativamente ad accertamenti di fatto riservati all’apprezzamento del giudice di merito.
Il sesto e il settimo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Il giudice di merito non è tenuto ad ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti ove ritenga sufficientemente istruito il processo e ben può, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, non ammettere la dedotta prova testimoniale quando, alla stregua di tutte le altre risultanze di causa, ritenga – con giudizio che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Entrambi i ricorsi vanno rigettati.
Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico delle ricorrenti, risultate soccombenti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per onorari di avvocato oltre spese forfettarie e accessori di legge.
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