Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 30 settembre 2015, n. 39365
Ritenuto in fatto
Con sentenza 20.6.2013 la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la colpevolezza di N.M. per una serie di episodi di violenza sessuale (toccamenti vari in parti intime, abbracci, baci) in danno di quattro sue allieve di karaté tutte di età inferiore a quattordici anni (M.S. , A.G. , F.G. e Mo.Je. ), condotte poste in essere nel corso degli allenamenti in palestra o durante trasferte della squadra. La Corte territoriale ha motivato il suo convincimento sulla base delle dichiarazioni delle parti offese, di cui ha ritenuto l’attendibilità, mentre ha considerato marginali le discrasie evidenziate dalla difesa e non influenti le dichiarazioni rese dai testi a discarico. Ha comunque ridotto la pena detentiva ad anni quattro di reclusione.
L’imputato, tramite il difensore, propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Le parti civili M. , A. e F. hanno depositato, tramite i difensori, memorie difensive, insistendo per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Evidenti ragioni di priorità logica consigliano di partire dall’esame del secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 157 cp dolendosi del mancato rilievo della prescrizione dei reati in danno della M. contestati al capo d) perché commessi tutti nel 1998 (periodo in cui avvenne l’episodio della “spaccata”, che segnò anche l’ultimo contatto con l’imputato). Secondo il N. , trattandosi di reati soggetti al termine di prescrizione decennale e considerato che il primo atto interruttivo è costituito dalla richiesta di rinvio a giudizio del novembre 2009, la prescrizione era venuta a maturare già dal gennaio 2009 o comunque, volendo calcolare anche l’interruzione e il relativo aumento di un quarto, il termine era comunque decorso in epoca anteriore alla data (20.6.2013) della sentenza di appello.
Il motivo è fondato.
Anche se il capo d) dell’imputazione colloca la condotta delittuosa in danno della M. tra il 1998 e il 2003, tuttavia dalla sentenza di primo grado (v. pag.21) risulta che l’unico episodio penalmente rilevante si verifico nella palestra di (…) nel 1998 (trattasi del palpeggiamento al seno durante l’esercizio della “spaccata”): dalla stessa sentenza risulta infatti che, come riferito dalla giovane, “gli episodi da allora non si erano più ripetuti” perché la giovane aveva adottato la precauzione di non essere lasciata più da sola col N. , facendosi accompagnare dal padre.
Sulla scorta di tale elemento di fatto, dovendosi considerare come dies a quo – per il principio del favor rei – il primo gennaio 1998, la Corte d’Appello avrebbe già dovuto rilevare la causa estintiva del reato di cui all’art. 609 bis cp, soggetto al termine massimo di prescrizione di dodici anni e mezzo (anni dieci, pari al massimo della pena edittale, con l’aumento di un quarto per le interruzioni: cfr. artt. 157 e ss cp), avendo il primo giudice (v. pag. 30 sentenza di primo grado) operato il bilanciamento tra l’aggravante dell’età inferiore a quattordici anni e l’attenuante del fatto di minore gravità e non rilevandosi cause di sospensione.
Va a questo punto rilevato che alla data odierna risultano altresì prescritti anche i reati in danno di M.S. commessi fino al 15.10.2002 (il capo e infatti riguarda condotte poste in essere dall’imputato in un periodo compreso tra il 2000 e il 2005).
Devono trovare applicazione i principi di recente ribaditi dalle Sezioni unite (cfr. Sez. U., Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244274), secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.
Non ravvisandosi certamente nel caso di specie le anzidette eccezioni, sussistono i presupposti per l’applicazione della causa estintiva e la sentenza va annullata senza rinvio, mentre per la rideterminazione della pena occorrerà rinviare ad altra sezione della Corte d’Appello di Brescia.
Dispone l’art. 578 c.p.p. che il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili ed a tal fine i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati secondo quanto previsto dall’art. 129, secondo comma, cod. proc. pen. c. 2 c.p.p. (v. in proposito: Cass. Sez. 6, Sentenza n. 3284 del 25/11/2009 Ud. dep. 26/01/2010; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 31464 del 08/06/2004 Ud. dep. 16/07/2004; Cass. 3^, sent. 1067 del 20/4/01, Franzan; Cass. 4^, sent. 6742 del 28/5/99, Pizzagalli G. F.).
Vanno pertanto esaminate le censure poste dall’imputato in relazione alle condotte – coperte da prescrizione – di cui al capo c) ai fini delle statuizioni civili considerato il ruolo di parte civile rivestito dalla M. , mentre tale esame non si richiede per le condotte di cui al capo d) non essendosi la Mo. costituita parte civile.
2 Può a questo punto passarsi all’esame degli altri motivi di ricorso. Il primo di essi, sviluppato in una lunga articolazione, denunzia, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cpp, il vizio di mancanza e/o manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova e omesso esame di prove decisive (le testimonianze delle persone offese F.G. , A.G. , M.S. e Mo.Je. nonché dei testi T.V. , Ti.Va. , D.C.S. , Ma.Si. , B.M. , Tr.Ma. , Fo.Ni. , Fo.Ga. , m.r. , P.L. , C.J. , C.D. e Z.D. ). Secondo il ricorrente la Corte d’Appello ha espresso un giudizio assolutamente inadeguato in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni delle parti offese, smentite da risultanze probatorie di segno contrario e tralasciate inspiegabilmente.
Si sofferma quindi ad analizzare i vari episodi riguardanti ciascuna delle minori.
CAPO B (CONDOTTA IN DANNO DI A.G. ).
Il ricorrente evidenzia una serie di incongruenze nel racconto con riferimento al viaggio da (…) a (…) (in cui, secondo la denunziante, si sarebbero verificati alcuni abusi in auto, consistenti in toccamenti vari), soffermandosi sulla non corrispondenza tra le date indicate in denunzia (2004) e in dibattimento (2005), sulle modalità del viaggio per raggiungere il luogo dello stage (in auto da sola in compagnia dell’imputato, secondo la ragazza e in più persone, sempre in auto ma seduta sui sedili posteriori, secondo i testi Ti. e D.C. , i quali hanno riferito che al punto di ritrovo per la partenza la ragazza arrivò col padre e non con un vicino, come invece aveva affermato la ragazza). Tali decisive prove testimoniali, idonee a smentire il racconto della parte offesa, sarebbero state incredibilmente tralasciate.
Passando ad analizzare il viaggio in pulmino da (…) a (…), rimprovera un altro travisamento della prova evidenziando il comportamento della parte offesa che non solo ha omesso di menzionare in querela gli abusi che avrebbe subito durante tale trasferta, ma avrebbe accettato di viaggiare col N. dopo quello che sarebbe successo pochi giorni prima nel corso del primo viaggio. La Corte d’Appello, secondo il ricorrente, ha sorvolato ancora una volta su tali rilevanti incongruenze, e invece non avrebbe considerato la inverosimiglianza del racconto riguardante ancora una volta toccamenti nel pulmino condotto dal N. , ma posti in essere, in questo caso, alla presenza di sette persone (di cui una seduta anch’essa davanti) e senza la certezza che dormissero. Richiama le deposizioni di alcuni ragazzi che viaggiavano sul mezzo (Ma.Si. , B.M. e Tr.Ma. ) in ordine alla disposizione dei passeggeri sui sedili anteriori del veicolo e sul contegno dell’autista, che escludeva ogni contatto del N. con la A. seduta nella parte posteriore; rimprovera ancora una volta ai giudici di merito di non avere speso una parola per spiegare perché tali deposizioni non apparivano idonee a sconfessare il racconto della parte offesa che invece aveva riferito di molestie durante il viaggio mentre era seduta davanti a fianco del N. . Inoltre, invece di considerare il dato essenziale della disposizione dei passeggeri sui sedili, la Corte di merito si è limitata a fornire una giustificazione del motivo per cui i testi non si sarebbero accorti delle molestie alla A. , ritenendo verosimile che per la lunghezza del viaggio essi si siano addormentati e si siano dimenticati di aver dormito.
Si sofferma poi sugli episodi avvenuti durante gli allenamenti (toccamenti nella parte alta del seno col pretesto di correggere la postura) evidenziando che solo in sede dibattimentale la ragazza ne aveva parlato, quasi per rafforzare le accuse contro l’imputato, ricalcando il sentiero tracciato dalle altre parti civili. Evidenzia inverosimiglianza di tale condotta, peraltro non riscontrata da nessuno degli allievi escussi come testi (Ti. , D.C. , F. , B. , Tr. , P. , m. e C. ) e che sarebbe stata posta in essere davanti a maestri, genitori e sotto gli occhi degli stessi allievi, peraltro quasi a contatto tra loro e interessati alla correzione della postura, quale occasione di apprendimento). Critica ancora una volta le argomentazioni della Corte per superare la prova a discarico (la non equivalenza tra il non aver visto un comportamento e la negazione dello stesso, oppure l’impossibilità di distinguere dall’esterno tra un gesto tecnico e un gesto a fine sessuale) evidenziando il travisamento della prova e la completa illogicità della motivazione.
CAPO A (CONDOTTA IN DANNO DI F.G. ).
In ordine all’episodio avvenuto durante lo stage di (…) (il bacio e lo strusciamento all’interno dell’appartamento che li ospitava la sera stessa dell’arrivo), il ricorrente rileva che la Corte ha travisato le risultanze processuali perché i testi presenti in casa (Ma. , D.C. , Fo. , Tr. , B. ) hanno smentito la persona offesa sia sulla condotta dell’imputato la sera dell’arrivo, sia sulla porta chiusa, sia sul primo bacio sulla bocca (che, come riferito dal teste B. , fidanzato della F. , era stato lui a darlo anche prima dello stage a (…) e non l’imputato, come invece riferito dalla F. ). La Corte avrebbe piegato le chiare risultanze processuale all’esigenza di accreditare il racconto della parte offesa, facendo ricorso all’oblio dei testi sull’episodio, che invece, non certo sarebbe passato inosservato.
Sull’episodio avvenuto durante lo stage di (OMISSIS) dell’estate 2006 (in acqua il giorno in cui la F. , per un dolore al ginocchio era andata in spiaggia assentandosi dall’allenamento), il ricorrente richiama ancora una volta le deposizioni dei testi T. , Tr. , F. e D.C. , sulla presenza costante dell’imputato in palestra durante gli allenamenti e l’impossibilità di un suo allontanamento per recarsi al mare, evidenziando il travisamento della prova e l’incoerenza della motivazione laddove la Corte d’Appello, per superare l’argomento, osserva che il N. ben avrebbe potuto recarsi in spiaggia nei momenti in cui non c’erano gli allenamenti, mentre invece era stata proprio la parte offesa ad affermare che il fatto era accaduto mentre il gruppo degli atleti era ad allenarsi (e quindi proprio nel corso di un allenamento). Rileva che se il N. fosse stato in spiaggia, sarebbe stato senz’altro notato dagli altri ragazzi che quel giorno non erano impegnati con gli allenamenti e si erano recati al mare.
Open di (…) primavera 2007: osserva il ricorrente che di tale episodio (avvenuto nell’auto del N. in occasione del carico di alcuni scatoloni) non è traccia nella querela e la Corte d’Appello non ha valorizzato la circostanza. Rileva la singolarità del “buco amnesico” mostrato dalla ragazza su tale episodio e, ancora una volta, la smentita dei testi a discarico Tr. , T. , F. e, in particolar modo, D.C. , sulla cui deposizione si sofferma per evidenziare l’incompatibilità col racconto della parte offesa sia con riferimento ai movimenti del N. all’interno del palazzetto dello sport sia al luogo in cui era parcheggiata l’auto, frequentato da atleti, maestri e accompagnatori (e quindi anch’esso incompatibile con la condotta denunziata) sia con riferimento al particolare del trasporto degli scatoloni, che nessun dei testi ha notato.
Episodi in palestra.
Il ricorrente segnala l’inattendibilità della parte offesa laddove afferma che solo il N. usava le mani per correggere le posizioni (circostanza smentita dagli altri testi) e richiama ancora una volta le deposizioni dei testi a discarico che hanno escluso atteggiamenti ambigui del N. durante gli allenamenti, ai quali, peraltro partecipava anche l’allenatore S.M. . Richiama le stesse osservazioni svolte nell’esaminare gli episodi riguardanti la A. e rileva che neppure l’altra parte offesa, la M. , ha mai notato nulla di anomalo nel comportamento del N. nei confronti della F. , che essa pure conosceva. Su tale incongruenza, la Corte d’Appello non si è pronunciata. Evidenzia ancora incongruenze della Corte su asseriti accessi impropri dell’imputato negli spogliatoi femminili, richiamando anche in tal caso le deposizioni dei testi per smentire che la Ferrante fosse mai arrivata per prima in palestra e che quindi potesse trovarsi da sola con lui. Richiama l’atteggiamento affettuoso e quasi paterno che egli era solito tenere verso gli allievi.
CAPO C (CONDOTTA IN DANNO DI M.S. ).
Il ricorrente rileva le incongruenze interne del racconto evidenziando che secondo quanto riferito dai testi a discarico (Sa.Va. , sua madre ma.ro. , e gli altri testi Tr. , F.N. e F.G. ) la M. aveva negato di avere subito toccamenti o baci dal N. : sottolinea l’importanza di tale affermazione perché resa dalla M. proprio nel corso di un incontro avente lo scopo di convincere le altre atlete e i genitori ad abbandonare la palestra del N. . Rimprovera alla Corte di aver ritenuto irrilevante tale particolare ed osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non era affatto vero che la teste P. avesse negato quanto affermato dagli altri cinque testi, trattandosi piuttosto di una deposizione “neutra” ben potendo detta teste non avere sentito lo scambio di battute tra la M. e la teste ma. . Rimprovera alla Corte d’Appello di avere sorvolato anche sul fatto che tutte la altre ragazze sentite avevano negato di avere subito molestie dal N. . Critica le argomentazioni utilizzate dalla Corte d’Appello per giustificare la coalizione delle altre atlete col proprio maestro (dettata da ambizioni sportive) evidenziando che anche atleti, allontanatisi da anni o mai allenatisi col N. , avevano reso le stesse dichiarazioni ed osserva che egli non ha influenza sulla convocazione delle squadre nazionali mentre la stessa M. non poteva essere considerata “non adatta al Karaté” facendo parte della squadra nazionale ed avendo partecipato ad un campionato del mondo.
CAPO D (CONDOTTA IN DANNO DI MO.JE. ).
Il ricorrente, pur premettendo la mancata costituzione di parte civile della Mo. , evidenzia la totale inattendibilità intrinseca della teste per le macroscopiche incongruenze del racconto sull’episodio della “mano sul petto” durante “la spaccata” in palestra nel 1998 (quando ancora non era iscritta alla federazione e quindi neppure avrebbe potuto frequentare la palestra). Segnala le incongruenze sul racconto dell’episodio al padre, sul carattere di costui e sul fatto che questi avrebbe per tutta risposta continuato ad accompagnare la figlia in palestra iscrivendo anche l’altro figlio più piccolo. Ancora, segnala l’incongruenza sulle modalità dell’esercizio della spaccata, che si esegue stando seduti e non in piedi, come sembrerebbe dal racconto della parte offesa). Su tali contraddizioni, la Corte d’Appello non ha speso una parola.
Quanto all’appoggio della mano sulla coscia che talvolta avveniva in auto, il ricorrente segnala l’inattendibilità del racconto desumendolo dal riferimento gratuito ad un particolare (il cambio automatico dell’auto) del tutto inutile (perché anche un cambio manuale avrebbe permesso al conducente di toccare le gambe del passeggero) e comunque non corrispondente al vero: trattasi dunque un mero accorgimento escogitato per attribuire credibilità al racconto. Richiama anche in tal caso le deposizione dei testi a discarico che hanno negato tale tipo di dispositivo e rimprovera alla Corte di non avere dato peso a tale incongruenza. Ancora, segnala l’inattendibilità del racconto anche nella parte in cui parla di percosse inferte dall’imputato ad un ragazzo, tale L.L. (circostanza, anch’essa smentita dai testi e dal fatto che il predetto aveva ripreso gli allenamenti in palestra).
In conclusione, secondo il ricorrente, la Corte ha recepito in blocco le dichiarazioni delle parti offese, ponendo a base di tale scelta risultati di prova incontrovertibilmente diversi da quelli effettivi, ignorando dati probatori decisivi che avrebbero potuto condurre ad un esito diverso del processo come il viaggio della A. in auto verso (…) della (OMISSIS) (non da sola col N. ) o il viaggio sempre della A. verso (…) ma non seduta al fianco di N. . Tali dati, secondo il ricorrente, scardinano l’intera motivazione rendendola manifestamente incongrua.
Il motivo è infondato.
Le regole dettate dall’art. 192 comma terzo cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr. da ultima, Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012 Ud. dep. 24/10/2012; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 44408 del 18/10/2011 Ud. dep. 30/11/2011 Rv. 251610, in motivazione).
Inoltre, la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, dovendo tenersi conto a tal riguardo dell’attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare, della capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, delle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, della qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 29612 del 05/05/2010 Ud. dep. 27/07/2010 Rv. 247740; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 39994 del 26/09/2007 Ud. dep. 29/10/2007 Rv. 237952).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, ha dato puntuale risposta alle censure affrontando innanzitutto la questione – primaria – sottoposta al suo esame: l’attendibilità delle parti offese. Innanzitutto ha rilevato l’autonomia cronologica della genesi dei racconti, portati alla luce indipendentemente gli uni dagli altri, escludendo la tesi dei condizionamenti tipici della denunzia di gruppo. Al riguardo ha considerato che la prima esternazione venne da A.G. in modo del tutto occasionale e dietro sollecitazione insistente dell’allenatrice Pe. , durante una festa in occasione dello stage di Grado del 2007, in era stata vista piangere copiosamente. Il racconto ai genitori poi avvenne su insistenza dell’amica B.S. con cui la A. si era successivamente confidata.
Il racconto della F. venne invece manifestato sia per la progressiva crescita di consapevolezza sulla portata illecita di certe condotte, sia sull’apprendimento della analoga vicenda riguardante l’altra atleta, la A. , che neppure conosceva.
Il racconto della M. a sua volta viene fuori nel settembre 2007 non già per perseguire N. ma per mettere in guardia i genitori delle allieve. La Corte di merito ha quindi escluso la tesi del “complotto” contro N. , osservando, quanto alla Mo. , che la sua denunzia viene esternata solo allorché la ragazza venne ascoltata in sede di indagini.
La Corte bresciana ha dato una spiegazione anche all’atteggiamento assunto dal resto delle allieve (unanimemente orientato a negare i fatti), richiamando a tal fine, da un lato, lo spirito di militanza sportiva che apre l’accesso alla nazionale, dall’altro la maggiore forza nel reprimere sul nascere le iniziative libidinose dell’imputato.
La Corte ha poi evidenziato l’identità del modus operandi dell’imputato descritto dalle parti offese opponendo, alla tesi difensiva che giustificava certi interventi manuali con la necessità di correggere la postura, il collegamento costante dei gesti ad apprezzamenti di carattere sessuale fatti dal N. . Parimenti ha dato una spiegazione alla mancata conferma dei fatti da parte degli altri testimoni, osservando che questi avevano detto “di non aver visto”.
La Corte territoriale si è poi soffermata ad analizzare i vari episodi denunciati dando una risposta a tutte le censure.
Escludendo il controllo della motivazione della sentenza impugnata relativamente ai fatti di cui al capo d) in danno della Mo. (coperti, come si è visto, da prescrizione e quindi non meritevoli di scrutinio stante la mancata costituzione di parte civile della parte offesa), va osservato invece che:
– sui fatti di cui al capo a (riguardanti la F. ), la Corte d’Appello ha descritto le “manovre” del N. , accompagnate da frasi amorose; ha analizzato l’episodio sulla spiaggia di (OMISSIS) durante lo stage del giugno 2006, quello verificatosi durante lo stage di (…) dell’agosto 2005 (i toccamenti e i baci all’interno dell’appartamento), nonché l’episodio avvenuto durante la gara di (…) del marzo 2007 (baci sulla guancia, sul collo e sempre più vicino alla bocca all’interno dell’auto dove la ragazza aveva portato gli scatoloni su richiesta del N. ).
La Corte d’Appello ha dato una risposta alle critiche dell’appellante osservando, quanto al primo episodio, che il comportamento del N. era già di per sé lascivo a prescindere dall’effettivo strusciamento dell’organo genitale e che i testi a discarico erano comunque in un’altra stanza e non erano interessati all’argomento, dato il clima di preparazione alla gara del giorno seguente. Ha ritenuto credibile l’episodio dei due accessi da parte dell’imputato negli spogliatoi femminili dando anche in tal caso una spiegazione al fatto che gli altri testi avevano negato la circostanza: secondo la Corte d’Appello ciò era avvenuto nelle due occasioni in cui la ragazza era arrivata per prima e quindi non c’era nessun altro.
Sull’episodio avvenuto in spiaggia a (OMISSIS) la Corte ha analizzato la censura fondata sul fatto che l’imputato (come dichiarato dai testi) era sempre presente agli allenamenti e che quindi non poteva essere andato al mare e per di più ad importunare una allieva. Ha replicato al riguardo che la presenza costante agli allenamenti non esclude un accesso in spiaggia da parte dell’allenatore i cui movimenti certamente non venivano registrati dai testi, a tanto non tenuti. Ha considerato inoltre lo specifico riferimento fatto dalla Ferrante alla richiesta di spalmare la crema rivoltale del N. , difficilmente frutto di una mera invenzione.
Open di Italia a (…) 2007: anche in relazione a tale episodio la Corte d’Appello ha dato una risposta ai rilievi difensivi che sottolineavano la presenza assidua del N. alle gare confermata anche dai testimoni: a tal fine ha osservato la Corte che l’interesse degli atleti era quello di seguire le gare e non i precisi movimenti del N. , il quale ben poteva avere interesse ad anticipare il carico dei bagagli prima della fine delle gare. Ha considerato che la condotta può aver richiesto un breve lasso di tempo e che è comprensibile l’assenza di attenzione da parte delle persone presenti nel piazzale in considerazione della mancanza di reazioni scomposte da parte della vittima. Ha stigmatizzato la ripetitività delle condotte, fatto ritenuto assolutamente incompatibile con la mera innocua negligenza dell’autore e, infine, ha rilevato la mancanza di elementi che potessero sostenere la tesi difensiva delle rivelazioni fatte per compiacere il proprio allenatore S. in lite con N. per motivi economici.
– Sulla condotta in danno della A. (capo b), la Corte d’Appello, dopo avere descritto le condotte moleste (toccamenti vari accompagnati da frasi in tema) ha analizzato gli episodi relativi alle due trasferte in pulmino (…) e le iniziative precauzionali adottate – successivamente al secondo episodio – dall’allenatore della nazionale, informato dei fatti. Ha dato una spiegazione anche alla negazione dei fatti da parte degli altri atleti presenti sul veicolo durante i trasferimenti (assenza di reazioni da parte della vittima e assopimento da parte degli altri passeggeri, pur senza accorgersene).
– Sui fatti di cui al capo c (in danno della M. ) la Corte di merito ha riportato la descrizione delle condotte fatta dalla ragazza (toccamenti e baci accompagnati anche dall’invio di sms in tema) rimarcando l’assenza di astio nei confronti dell’imputato e invece l’intento di tutela delle allieve più giovani perseguito dalla M. ; ha osservato altresì che le contrastanti deposizioni degli altri testi (ma. , Sa. , Tr. , Fo.Ni. e G. da una parte e P.L. dall’altra) su un episodio relativo all’ottobre 2007 (il bacio in palestra, di cui si parla a pag. 20 della sentenza di primo grado, ndr) si elidevano a vicenda.
Come si vede, il percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito sui punti criticati nei motivi in esame (v. pagg. 23 e ss) appare completo e logicamente coerente mentre la lunga censura del ricorrente, peraltro articolata su considerazioni ripetitive di quelle già svolte nei gradi di merito, si risolve in una critica su aspetti secondari, inidonei a demolire la struttura portante della motivazione.
Essa inoltre è tutta finalizzata ad ottenere una diversa ricostruzione del fatto, attività non ammessa in questa sede, se non a costo di snaturare il giudizio di legittimità, limitato al solo controllo della coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
3 Col terzo motivo, riguardante il trattamento sanzionatorio, il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cpp, dolendosi innanzitutto del diniego delle attenuanti generiche (a suo dire concedibili per l’incensuratezza, la condotta complessiva e successiva ai fatti, il comportamento processuale e la risalenza dei fatti): rimprovera alla Corte d’Appello di avere applicato retroattivamente la riforma legislativa del maggio 2008 sull’irrilevanza della sola incensuratezza ai fini della concessione del beneficio.
Altro errore commesso dalla Corte d’Appello riguarda, a dire del ricorrente, la comparazione tra la circostanza aggravante dell’art. 609 ter n. 1 cp (fatto commesso nei confronti di infraquattordicenne) e l’attenuante ad effetto speciale dell’art. 609 bis terzo comma.
Dopo aver premesso che la condotta in danno di infraquattordicenne riguarderebbe la sola Mordano, precisa comunque il ricorrente che, secondo la giurisprudenza, la diminuente del caso di minore gravità non è soggetta al giudizio di comparazione: su tali questioni la Corte d’Appello ha omesso di pronunciarsi incorrendo così nel vizio di motivazione.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
È inammissibile laddove deduce l’errore di diritto sulla comparazione tra la circostanza aggravante dell’art. 609 ter n. 1 cp e l’attenuante ad effetto speciale dell’art. 609 bis terzo comma: l’articolo 606 ultimo comma sanziona severamente la proposizione in cassazione di censure contenenti violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello e nel caso di specie si verte proprio in tale ipotesi perché davanti alla Corte bresciana la questione non era stata affatto posta nei termini oggi prospettati, ma solo sotto il diverso profilo della inopportunità del bilanciamento invocandosi invece una comparazione con giudizio di prevalenza (ex art. 69 comma 2 cp) dell’attenuante di cui all’art. 609 bis terzo comma, unitamente alle attenuanti generiche, sull’aggravante di cui all’art. 609 ter cp (v. pag. 91 atto di appello).
Per il resto, la censura è infondata anche se occorre procedere ex art. 619 cpp a rettifica della sentenza di appello laddove richiama, con riferimento a fatti ante 2008, la recente riforma legislativa (D.L. 23.5.2008 n. 92 convertito con modificazioni nella legge n. 125/2008) che ha reso irrilevante il solo dato della incensuratezza ai fini della concessione delle attenuanti generiche.
Nel caso di specie, comunque, la Corte d’Appello ha confermato il diniego delle attenuanti generiche considerando la gravità della condotta dell’imputato, riguardante una pluralità di giovinette a cui ha rovinato una buona parte della vita e compromesso i rapporti relazionali nell’indifferenza assoluta delle conseguenze assolute che le vittime avrebbero patito (v. pag. 34).
La motivazione è sintetica ma in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 19639 del 27/01/2012 Ud. dep. 24/05/2012 Rv. 252900).
4. Infine, con un’ultima censura il ricorrente denunzia un error in procedendo, la violazione degli artt. 225 comma 3 e 222 comma 1 lett. d) cpp. Osserva in particolare di avere sollevato tempestivamente in primo grado (e riproposto in appello) l’eccezione di nullità dell’ordinanza 25.10.2010 con cui il Tribunale aveva ammesso l’esame delle Dott.sse Bo.La. e Ba.Gi. “come consulenti tecnici così come richiesto dalla difesa di parte civile” e si duole del rigetto di tale eccezione da parte del primo giudice: a suo dire, la figura dello psicoterapeuta (ruolo rivestito dalle citate professioniste poi citate come consulenti delle persone offese A.G. e F.G. ) rientra tra quelle cui è preclusa la possibilità di essere nominato come consulente tecnico, potendo al più essere ascoltato come testimone, come prevede l’art. 222 comma 1 lett. d). A sostegno di tale affermazione richiama sia le regole deontologiche, sia le linee guida della Carta di Noto (che assume peraltro violate dalle citate psicoterapeute) sia il fatto che la funzione terapeutica assegnata finisce per privare l’esperto di quelle caratteristiche di obiettività e terzietà che devono informare la figura del consulente tecnico. Infatti, a suo dire, lo psicologo che prende in cura la presunta vittima di un reato sessuale deve dare per assodato il fatto riferito dal paziente quale causa del suo malessere, perché in caso diverso verrebbe meno l’elemento fideistico tra i due soggetti in assenza del quale la terapia non avrebbe l’efficacia voluta. Sottolinea la diversità del ruolo del testimone (chiamato a riferire fatti) rispetto a quello del consulente (chiamato ad esprimere un giudizio su un quesito proposto in modo distaccato e critico, posizione che lo psicoterapeuta incaricato di curare la persona offesa non ha). In ogni caso osserva di avere, con l’atto di appello, contestato anche nel merito le conclusioni esposte dai consulenti di parte civile con particolare riferimento all’inidoneità dei sintomi riscontrati a costituire elementi di conferma dei supposti abusi, come peraltro riferito dal proprio consulente Dott.ssa Sara Viola. Su tale questione – conclude il ricorrente – la Corte d’Appello non ha speso una sola parola.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità (artt. 581 lett. c e 591 lett. c). Prima di censurare l’audizione delle due dottoresse, il ricorrente avrebbe dovuto spiegare cosa avrebbero riferito di rilevante per l’accusa e quali fossero le conclusioni a cui erano pervenuti i due consulenti, quali i sintomi riscontrati nelle persone offese e quali le specifiche contestazioni, per consentire alla Corte di Cassazione il necessario controllo sulla decisività della loro deposizione anche ai fini di una eventuale prova di resistenza, ma a tal onere non ha adempiuto, essendosi limitato a pag. 72 del ricorso a svolgere considerazioni di carattere teorico sul ruolo del consulente tecnico, dello psicoterapeuta e del testimone.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle condotte poste in essere in danno di M.S. fino al 15.10.2002 (capo C) nonché in ordine al capo D in danno di Morciano Jessica perché i reati sono estinti per prescrizione. Annulla la sentenza medesima con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello Brescia per la rideterminazione delle pene relative ai residui reati. Rigetta nel resto il ricorso e conferma le statuizioni civili.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili A.G. e F.G. liquidate in complessivi Euro 2.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge e delle spese sostenute nel grado dalla parte civile M.S. liquidate in Euro 2.500,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
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