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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 21 ottobre 2014, n. 43847

Ritenuto in fatto

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Venezia ricorre avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Treviso, in sede di opposizione a decreto penale di condanna emesso nei confronti di B.M. per la contravvenzione di cui all’articolo 186, comma 2 del codice della strada (fatto accertato in data (omissis) ), pronunciava sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula perché il fatto non sussiste.
Il giudicante – accogliendo l’eccezione difensiva svolta nella memoria depositata il 30 novembre 2011 (considerata quale primo atto difensivo concretamente esperibile contestuale all’atto di nomina a difensore fiduciario) – ha fondato tale decisione sulla ritenuta ricorrenza di una ipotesi di nullità a regime intermedio per essere stato omesso, da parte della polizia operante, previamente all’esecuzione dell’alcoltest, l’avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore. Stante l’inutilizzabilità dell’atto, il giudice ha ritenuto mancante la prova della condotta tipica, ricorrendo alla formula assolutoria sopra richiamata.
Con l’impugnazione il ricorrente deduce violazione di legge, perché, il giudicante, pur avendo correttamente qualificate come intermedia la nullità derivante dall’omesso avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore, ha ritenuto l’inutilizzabilità dell’atto, pur essendo la stessa sanata ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen.. Nel caso di specie non risultava infatti che l’eccezione fosse stata formulata nei termini indicati da un consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale la citata nullità, avente natura incontestabilmente intermedia, deve ritenersi sanata se non dedotta prima ovvero immediatamente dopo il compimento dell’atto da parte dell’interessato, non ricorrendo facoltà processuali comportanti cognizioni tecniche professionali proprie del difensore (v. da ultimo Sezione IV, 4 giugno 2013, Proc. gen. App. Bologna in proc. Martelli, rv. 255989).

Considerato in diritto

Come è noto, in tema di guida in stato di ebbrezza, il cosiddetto alcool test, eseguito dall’agente accertatore, costituisce la prova “regina” a fondamento della responsabilità del conducente, anche perché solo attraverso l’esame alcolimetrico è possibile verificare quale delle tre ipotesi previste rispettivamente dalle lettere a), b) e c) del comma 2 dell’articolo 186 del codice della strada risulti integrata: la prima delle quali è di rilievo solo amministrativo.
Il tema da affrontare è quello delle facoltà difensive attribuite all’interessato in occasione della sottoposizione all’esame tecnico, con particolare riferimento all’eventuale mancato avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell’articolo 114 delle disposizioni di attuazione cod. proc. pen..
Deve, invero, innanzitutto rilevarsi, sotto un profilo di ordine generale che l’atto in questione (il rilievo del tasso alcol emico mediante il c.d. alcol-test) è sussumibile nella previsione dell’art. 354 cod. proc. pen., concernente l’accertamento urgente e la conservazione delle tracce del reato, e che, ai sensi dell’art. 356 cod. proc. pen., il difensore dell’indagato “ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato”, ai sensi, poi, dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., la polizia giudiziaria, nel compimento degli atti di cui all’art. 356 cod. proc. pen. avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia; in mancanza di questo, non è prevista per il compimento di tali atti la nomina di un difensore di ufficio come disposto per altri atti (tra gli altri, v. artt. 340,364 cod. proc. pen.).
Ciò posto, per l’orientamento giurisprudenziale prevalente (v. da ultimo, Sezione IV, 4 giugno 2013, n.36009, P.G ed altro e, da ultimo, 11 marzo 2014, Pittiani, non massimata), il mancato avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell’articolo 114 delle disposizioni di attuazione cod.proc. pen., da luogo ad un nullità a regime intermedio, soggetta pertanto alla disciplina dettata dagli articoli 178, lettera c), 180 e 182 cod. proc. pen. Tale nullità deve, pertanto, ritenersi sanata se non è dedotta prima del compimento dell’atto, oppure, se ciò non è possibile, immediatamente dopo il compimento dell’atto al quale la parte ha partecipato, ai sensi dell’articolo 182, comma 2, cod. proc. pen., anche mediante lo strumento delle memorie o richieste, senza quindi attendere il compimento di un successivo atto del procedimento.
Come emerge anche dall’ultima relazione sul tema dell’Ufficio del Ruolo e del Massimario n. 12 del 6 febbraio 2014, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell’inquadramento della nullità predetta tra quelle generali a regime intermedio, dovendosi ritenere superate le diverse opzioni interpretative, secondo le quali tale nullità doveva essere qualificata come relativa (v. in tal senso, tra le altre, Sezione IV, 16 settembre 2003, n. 42020, P.M. in proc Della Luna, rv. 227294) e quelle decisioni che, invece, affermavano, sia pure con riferimento a fattispecie diverse da quella in esame, che il ritardato deposito del verbale contenente l’accertamento strumentale dell’alcoltest comportasse una mera irregolarità (v. Sezione IV, 5 marzo 2008, n. 15272, Ardolino, rv. 239538; 18 dicembre 2009, n. 1855/10, Testani, n.n.), ulteriormente precisando, in taluni casi, che il verbale contenente gli esiti del c.d. alcoltest non è soggetto al deposito ex articolo 366 c.p.p. e conseguentemente ritenevano non configurabile la nullità dell’accertamento urgente derivante dall’omesso deposito (v. Sezione IV, 7 febbraio 2006, n. 26738, Belogi, rv. 234512 e per altri riferimenti, anche la relazione del Massimario preliminare alla trattazione del procedimento Zedda rimesso alle Sezioni unite all’udienza del 25 marzo 2010 per la stessa questione, in caso identico a quello in esame, che non venne affrontata, in ragione dell’abnormità della sentenza impugnata).
Inquadrata, alla luce della consolidata giurisprudenza sopra richiamata, la predetta nullità tra quelle a regime intermedio, va, invece, rilevata una diversità di interpretazioni nell’ambito della giurisprudenza di legittimità quanto al limite temporale entro il quale è utilmente proponibile l’eccezione di nullità.
Sulla questione sono ravvisabili due distinti orientamenti.
Il primo, più restrittivo, che parte da una interpretazione rigorosa della lettera dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., ritiene che l’assistenza della parte (nel caso di specie, l’imputato, presente all’atto dell’accertamento del tasso alcol emico) comporti la necessità di procedere immediatamente a sollevare l’eccezione (ossia, prima del compimento dell’atto) oppure, nel caso di impossibilità (da intendersi, soggettiva, in quanto impedito dalla mancata conoscenza della facoltà di farsi assistere dal suo difensore, proprio perché non preventivamente avvisato dalla polizia giudiziaria in base all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen.) di doverla sollevare “immediatamente dopo”, nel senso di non poter attendere il primo atto del procedimento ma di dovervi provvedere attraverso il meccanismo delle memorie ex art. 121 cod. proc. pen..
In conseguenza, proprio con riferimento all’esecuzione di alcoltest, è stata considerata tardivamente proposta l’eccezione di nullità per l’omesso avviso previsto dall’art. 114 disp att. cod. proc.pen., allorché la parte, invece di sollevare l’eccezione immediatamente dopo il compimento dell’atto, abbia atteso il compimento di un successivo atto del procedimento (v. Sezione IV, 11 ottobre 2012, n. 44840, PG in proc. Tedeschi, rv. 254959; 19 settembre 2012, n. 38003, Avventuroso, rv. 254374; 08/05/2007, n. 27736, Nania, rv. 236934).
Nello stesso senso, è stato ulteriormente precisato (v. Sezione II, 9 febbraio 2012, n. 14873, Rispo rv. 252397; Sezione IV, 14 marzo 2008, n. 15739, Alberti, rv. 299737), sempre con riferimento alla violazione da parte della polizia giudiziaria all’obbligo di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., avvenuta però nel corso di una perquisizione, che l’espressione “immediatamente dopo” va intesa nel senso che la nullità deve essere eccepita dal difensore subito dopo la sua nomina, ovvero entro il termine di cinque giorni che l’art. 366 cod. proc. pen. concede a quest’ultimo per l’esame degli atti.
A questa tesi se ne affianca una meno rigorosa che muovendo da una lettura costituzionalmente orientata del combinato disposto degli articoli 354, 356, 366 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen. giunge all’opposta conclusione di considerare come tempestiva l’eccezione di nullità sollevata con il primo atto procedimentale utile (che, nel caso di specie sarebbe costituito dall’opposizione al decreto penale di condanna), non essendo pertinente il richiamo all’art. 121 cod.proc.pen., né potendosi considerare intempestiva un’eccezione di nullità sollevata in sede di opposizione, tenuto conto della brevità dei termini previsti dalla legge processuale per impugnare il provvedimento emesso inaudita altera parte (v. in tal senso, Sezione V, 9 febbraio 2012, n. 7654, Masella, rv. 252172; Sezione III, 14 maggio 2009, n. 26588, Di Sturco, rv. 244370; Sezione III, 12 luglio 2005, n. 33517, Rubino, rv. 233164, secondo le quali la nullità derivante dall’omesso avviso all’indagato – da parte della polizia giudiziaria che proceda al sequestro del corpo di reato – della facoltà di farsi assistere dal difensore può essere fatta valere anche in sede di richiesta di riesame).
Si segnala, in particolare, per l’argomentata motivazione la sentenza Rubino concentrata su una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., al fine di individuare la soluzione ermeneutica più conforme al dettato legislativo ed allo stesso tempo più adeguatrice rispetto al fondamentale ed inviolabile principio del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost..
In particolare, partendo dall’interpretazione letterale dell’art. 182 cod. proc. pen. si evidenzia come il presupposto per potersi applicare il primo periodo del secondo comma dell’art. 182 cod. proc. pen. (ovvero che la nullità di un atto deve essere eccepita, quando la parte vi assista, prima del suo compimento ovvero, se ciò non sia possibile, immediatamente dopo) è la circostanza che la parte assista al compimento dell’atto nullo. Nell’interpretare la disposizione in esame nella parte in cui impone all’indagato di sollevare l’eccezione “prima del suo compimento” dell’atto, la Corte evidenzia che la stessa presuppone anche che la parte che vi assiste sia in grado di eccepire la nullità prima del compimento dell’atto, ossia che possa presumersi che essa sia a conoscenza o sia comunque in grado di essere a conoscenza dell’atto che si sta per compiere, così come presuppone che la parte stessa non decada dal diritto di eccepire la nullità dell’atto dopo il suo compimento fino a quando non possa ritenersi provato che essa abbia avuto conoscenza o almeno la possibilità di avere conoscenza della nullità dell’atto e sia quindi in grado di eccepirne immediatamente la nullità. E difatti, in tanto il legislatore impone l’obbligo alla polizia giudiziaria di avvisare l’indagato che ha facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia proprio in quanto presuppone che normalmente l’indagato non sia e non debba essere a conoscenza di questa facoltà e quindi impone alla polizia giudiziaria di avvisarlo appunto perché egli possa esercitare il suo diritto di difesa e per evitare una violazione dell’art. 24 Cost..
Nell’affrontare la questione dell’applicabilità della medesima disposizione nella parte in cui impone all’indagato di eccepire la nullità immediatamente dopo il compimento dell’atto nullo e nello stabilire quando l’eccezione debba considerarsi tardiva, la Corte, sottolinea che l’ignoranza della parte non viene meno solo perché l’atto è stato compiuto e quindi deve logicamente presumersi che la parte continui ad ignorare la sussistenza della nullità e non possa quindi eccepirla almeno sino a quando non sia provato o possa presumersi che essa ne sia venuta a conoscenza o almeno sia stata in grado di venirne a conoscenza, il che generalmente avviene solo nel momento in cui si ha la prova che l’indagato abbia contattato un difensore e possa perciò ritenersi che questi lo abbia messo a conoscenza della nullità ed in condizione di eccepirla. La sentenza indicata, nel sottoporre a critica l’opposto orientamento, sottolinea l’esigenza di ancorare la presunzione di conoscenza o della nullità che inficiava l’atto ad un momento ben preciso ed alla presenza di un atto che possa dare una qualche sicurezza sul punto, derivandone altrimenti la più assoluta incertezza, diversità ed arbitrarietà di opinioni e di soluzioni.
È tematica peraltro meritevole di ulteriore approfondimento, nell’ottica di una effettiva soddisfazione delle esigenze difensive, ove si consideri che, in assenza dell’assistenza del difensore, è fin troppo ovvio che si determini la sanatoria della nullità per il formarsi delle condizioni di cui sopra.
Ciò a fronte di quell’orientamento secondo cui l’eccezione può e deve essere formalizzata dallo stesso interessato, non essendo necessario l’intervento del difensore, in quanto non ricorrono facoltà processuali che comportino la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle specifiche competenze professionali del difensore (Sezione IV, 4 giugno 2013, Proc. gen. App. Bologna in proc. Martelli).
È necessario allora un intervento chiarificatore, ove si consideri che il richiamato orientamento che accredita la capacità diretta dell’interessato presenta profili di dubbia corrispondenza con i principi del diritto di difesa, trascurando di considerare a tacer d’altro proprio le condizioni pregiudicate in cui si trova, nel contesto dell’accertamento, il trasgressore e, in ogni caso, trascura di considerare il ruolo della difesa tecnica di cui svaluta la portata e il significato.
In questa prospettiva, il tema centrale della questione ruota intorno alla tutela del diritto alla difesa e, ad avviso del Collegio, ai fini della soluzione del quesito non può prescindersi dalla instaurazione del rapporto tra l’indagato/imputato ed il difensore.
Appare utile richiamare in proposito alcune decisione del Giudice delle Leggi in materia. Chiamata a verificare la legittimità costituzionale, in rapporto all’art. 24 Cost., comma 2, dell’art. 401 codice di rito 1930 nella parte in cui faceva decorrere il termine di cinque giorni per la deduzione delle nullità relative intercorse nell’istruzione sommaria dalla notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio, anziché dalla notificazione al difensore dell’avviso della data fissata per il dibattimento, la Corte costituzionale, ha puntualizzato che “il diritto di difesa deve essere garantito in modo adeguato alle circostanze, con modalità che a queste si adattino, esplicandosi anche come effettiva potestà di assistenza tecnica e professionale”. Pertanto il principio costituzionale invocato è stato ritenuto violato dalla previsione di un breve termine decorrente dalla conoscibilità del decreto di citazione a giudizio da parte del diretto interessato piuttosto che del suo difensore, benché la cognizione di elementi tecnici rientranti nella specifica competenza professionale del difensore fosse indispensabile per rendersi conto delle nullità e far rilevare i vizi invalidanti (C. cost. sent. n. 162 del 17/06/1975, n. 162).
Il principio è stato ribadito in successive pronunce, tra le quali merita di essere ricordata in questa sede la sentenza n. 120 del 2002, con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 458 c.p.p., comma 1, nella parte in cui prevede che il termine entro cui l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall’ultima notificazione, all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio immediato. In tale occasione la Corte ha evidenziato come il nucleo centrale della questione di legittimità costituzionale attenesse alla violazione del diritto alla difesa tecnica, in quanto la disciplina censurata era congegnata in maniera tale che il termine stabilito a pena di decadenza per presentare richiesta di giudizio abbreviato poteva scadere senza che il difensore avesse potuto illustrare al proprio assistito le opzioni difensive rispettivamente collegate al giudizio abbreviato e alla celebrazione del dibattimento. Tanto rilevato i giudici della Consulta hanno ribadito che il diritto di difesa, inteso come effettiva possibilità di ricorrere all’assistenza tecnica del difensore, risulta violato in ogni caso in cui, “ai fini dell’esercizio di facoltà processuali che comportano la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle specifiche competenze professionali del difensore”, venga posto a pena di decadenza un termine decorrente dalla notificazione all’imputato, anziché al difensore, dell’atto da cui tali facoltà conseguono (C. cost. 26/02/2002, n. 120).
Alla luce delle puntualizzazioni operate dalla Consulta va, pertanto, esaminato se la verifica del rispetto del diritto di difesa vada condotta tenuto conto della semplicità/complessità delle cognizioni richieste dalla proposizione dell’eccezione (v. da ultimo, in tal senso, la già richiamata sentenza n. 36009/2013, che, proprio con riferimento all’ipotesi dei test previsti dall’art. 186 C.d.S., commi 3 e 4, ha ritenuto che la deduzione dell’omesso avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore non richiede necessariamente l’intervento del difensore medesimo. Ciò perché l’avviso intende garantire la semplice conoscenza da parte del difensore del compimento dell’atto, che non deve essere ritardato in attesa che egli giunga, ove abbia deciso di assistervi. Ed inoltre perché l’accertamento non è invasivo e non scaturisce da attività pregresse la cui conoscenza è essenziale per l’esercizio della difesa) sicché il termine decadenziale per la formulazione di una eccezione di nullità intermedia prescinde dalla instaurazione del rapporto tra l’indagato/imputato ed il difensore oppure, secondo la soluzione più garantista, che, secondo questo Collegio, appare meglio tutelare le esigenze difensive, tale termine abbia corso solo dopo la nomina di un difensore o, comunque, dal compimento di un atto difensivo (per es. l’opposizione a decreto penale).
In conclusione, per tutte le ragioni che si son sinora esposte, la possibilità di soluzioni interpretative in radicale contrasto, afferente il regolamento di un diritto di rilievo costituzionale, quale il diritto alla difesa, sembra imporre l’intervento regolatore delle Sezioni unite di questa Corte, sulla seguente questione: “se in tema di accertamento della contravvenzione di guida sotto l’influenza dell’alcol (art. 186 c.d.s.), nel caso di mancato avvertimento alla persona da sottoporre al controllo alcoli metrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia in violazione dell’art. 114 disp.att. cod. proc. pen., tale nullità- da ritenere a regime intermedio – possa ritenersi sanata se non eccepita dall’interessato prima del compimento dell’atto ovvero immediatamente dopo ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen; nel caso in cui si ritenga verificata la decadenza entro quale termine e con quali mezzi la nullità possa essere eccepita”.

P.Q.M.

Dispone trasmettersi gli atti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

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