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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza  21 ottobre 2014, n. 43843

Ritenuto di fatto

1. II Tribunale di Fermo, con sentenza emessa il 23/9/2013, assolse perché il fatto non costituisce reato C.E. dall’imputazione di aver illecitamente coltivato, complessivamente, n. 64 piantine di marijuana e detenuto circa 25 grammi di marijuana al fine di farne cessione a terzi.
2. II Procuratore generale di Ancona propone ricorso immediato per cassazione avverso la predetta sentenza corroborato da unitaria censura.
3. Prima d’illustrare il motivo di ricorso, per un’adeguata comprensione della vicenda, occorre, sia pure in estrema sintesi, riprendere le ragioni della decisione assolutoria. II Giudice del merito, valorizzando la circostanza che l’esame chimico effettuato aveva accertato una potenzialità pari a circa venti dosi, ricavabili dalle piantine coltivate, affermato l’uso personale e, indi, equiparando la detenzione della sostanza lavorata alla coltivazione al fine di affermare la non punibilità in presenza di destinazione al consumo personale, aveva escluso «gli elementi oggettivamente e soggettivamente costitutivi del reato».
4. Con l’esposto motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio motivazionale in quanto, secondo l’interpretazione delle S.U. (sentenza n. 28605 dei 24/4/2008) la coltivazione integra il delitto contestato, senza che rilevi l’eventuale destinazione all’uso personale.

Considerato in diritto

5. II ricorso è fondato.
In primo luogo devesi osservare che il Giudice del merito, evocando un semplicistico enunciato di parità di trattamento, non ha tenuto conto dei condivisi argomenti ermeneutici che in sede di legittimità hanno consolidato l’opinione secondo la quale l’attività di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per soddisfare l’uso personale, integra il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, dovendosi considerare che in tal maniera si dà vita ad un processo produttivo autonomo, capace di autoalimentarsi e di produrre sostanza stupefacente in misura non preventivabile (S.U. n. 28605 del 24/4/2008, Rv. 239920; Sez. VI, n. 49528 del 13/10/2009, Rv. 245648). In definitiva, la statuizione ha erroneamente interpretato la disposizione normativa, utilizzando il criterio della parità di trattamento, il quale richiede che le fattispecie siano assimilabili: evenienza che qui non ricorre, stante che il fatto di detenere un quantitativo dato di stupefacente da destinare ad esclusivo uso personale non è assimilabile alla coltivazione per quel che prima si è detto.
Il perimetro decisorio esclude dal vaglio la tematica concernente la verifica della concreta offensività della condotta di coltivazione (cfr., fra le ultime, Cass., Sez. VI, n. 12612 del 10/12/2012, Rv. 254891; Sez. VI, n. 22110 del 2/5/2013, Rv. 255733): è rimasto, infatti, provata la piena efficienza della coltivazione e la ricavabilità dalla stessa di apprezzabili quantitativi di sostanza stupefacente attiva.
In secondo luogo va precisato che il Tribunale conclude assertivamente, senza aver neppure sommariamente dato mostra di essere giunto ad una tale conclusione valorizzando evenienze diverse dal numero di dosi ricavabili, giudicato esiguo. Come è noto un tale procedimento inferenziale non può essere condiviso in quanto la esclusività della destinazione dello stupefacente ad uso personale si trae dalla complessiva valutazione di plurimi elementi, fra i quali l’entità delle dosi ricavabili, pur assumendo un rilievo non secondario, tuttavia, da sola non è idonea a sorreggere il convincimento in parola. Anche la detenzione di quantità inferiori ai limiti indicati nel D.M. richiamato dall’art. 73, comma 1-bis, lett. a), del d. P.R. n. 309 del 1990, non costituisce un dato di per sé decisivo ai fini dell’esclusione della rilevanza penale della condotta, in quanto il superamento del limite ivi fissato rappresenta solo uno dei parametri normativi rilevanti ai fini dell’affermazione della responsabilità e l’esclusione della destinazione della droga ad un uso strettamente personale ben può essere ritenuta dal giudice anche in forza di ulteriori circostanze dell’azione, alcune delle quali sono espressamente tipizzate nella disposizione normativa sopra citata (cfr., fra le ultime, Cass., Sez. VI, n. 4613 del 25/1/2013, Rv. 249346).
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata e gli atti rinviati per nuovo esame che tenga conto dei superiori chiarimenti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona per nuovo esame.

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