Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 13 ottobre 2014, n. 42806
Fatto e diritto
1. Con sentenza pronunciata il 10.7.2013 la corte di appello di Genova confermava la sentenza con cui il tribunale di Genova, in data 18.2.2013, aveva condannato Z.D.C. , alla pena, ritenuta di giustizia, in relazione ai delitti di cui agli artt. 110, 614, co. 1 e 4, 61, n. 5, c.p. (capo a) e 110, 582, 585, 576, n. 1 e 61, n. 2, c.p. (capo b), commessi, in danno di P.D. e C.A. .
2. Avverso la sentenza della corte di appello di Genova ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Claudio Zadra, del Foro di Genova, lo Z. , lamentando la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla configurabilità del reato di cui all’art. 614, c.p., erroneamente ritenuta dalla corte territoriale, in quanto le persone offese non avevano la titolarità di uno ius excludendi nei confronti dell’imputato, avendo le stesse abusivamente occupato l’immobile in relazione al quale si è verificata la pretesa violazione di domicilio, reato che presuppone necessariamente la legittima disponibilità del luogo prescelto come domicilio da parte della persona offesa.
3. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto nei termini che seguono.
4. Per una migliore comprensione della questione giuridica da affrontare, occorre soffermarsi, sia pure brevemente, sulla esatta definizione dell’oggetto giuridico del reato di cui all’art. 614 c.p., nella prospettiva già indicata da questa stessa sezione in un condivisibile arresto (cfr. Cass., sez. V, 21/09/2012, n. 47500, rv. 254518).
Al riguardo non appare revocabile in dubbio che il bene giuridicamente rilevante, cui appresta tutela la previsione normativa dell’art. 614 c.p., debba individuarsi, in ultima analisi, nella libertà individuale della persona, colta nella sua proiezione spaziale rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita, attraverso la predisposizione del meccanismo sanzionatorio, l’inviolabilità, conformemente al contenuto normativo dell’art. 14, co. 1, Cost., che non a caso attribuisce al domicilio le stesse garanzie della libertà personale prevista dall’art. 12 Cost., alla cui disciplina l’art. 14, co. 2, Cost., rinvia per le sole eccezioni consentite al principio secondo cui il domicilio è inviolabile.
Come è stato osservato da autorevole e condivisibile dottrina, l’art. 614 c.p., al pari di altre disposizioni (come l’art. 615 c.p. o l’art. 615 bis c.p.) assolve allo scopo di “tutelare quel generale interesse alla pace, alla tranquillità e alla sicurezza dei luoghi di privata dimora che è condizione necessaria per la libera esplicazione della personalità umana: in altri termini, il diritto riconosciuto a ciascuno dall’art. 14 Cost. di vivere libero da ogni intrusione di estranei nei luoghi di uso privato”.
Nell’ambito dei luoghi di privata dimora, espressione della personalità del singolo, assume un rilievo centrale, come si evince dalla stessa formulazione dell’art. 614, co. 1, c.p., “l’abitazione”, da intendersi come il luogo adibito legittimamente e liberamente ad uso domestico di una o più persone ovvero il luogo dove si compie tutto o parte di ciò che caratterizza la vita domestica privata (cfr. Cass., sez. 5, 12.11.1974, Schimmenti).
Quanto al soggetto passivo del delitto di cui si discute, esso va individuato, pacificamente, in chi ha la titolarità del diritto di vietare a terzi l’ingresso o la permanenza in uno dei luoghi presi in considerazione dal citato art. 614, co. 1, c.p..
4.1. Orbene il tema posto all’attenzione del Collegio con il ricorso dello Z. è se P.D. e C.A. possono considerarsi legittimamente titolari dello ius excludendi, in relazione al luogo dove il ricorrente, unitamente ad altro soggetto, si è introdotto e trattenuto contro la loro volontà, pacificamente costituito da un appartamento della società “ARTE”, destinato dalle persone offese a propria abitazione, dopo averlo occupato senza il consenso del titolare del diritto di proprietà su di esso ovvero, come scrive la corte territoriale, “abusivamente”.
A tale quesito il giudice di secondo grado fornisce una risposta positiva, ritenendo sufficiente condizione per l’esercizio dello ius excludendi, la circostanza che nel luogo scelto da un soggetto come privata dimora quest’ultimo “compia atti della sua vita domestica”.
“Tanto basta”, ad avviso della corte territoriale, “perché egli possa escludere i terzi, almeno quelli privi di ogni diritto sul bene stesso”, concludendo che, costituendo l’appartamento della società “ARTE” “la privata dimora della coppia P. -C. , i quali l’abitavano stabilmente da qualche tempo, anche se l’avevano arbitrariamente occupata”, essi “potevano legittimamente escludere gli imputati, che non vantavano nessun diritto sull’immobile” (cfr. pp. 1-2 dell’impugnata sentenza).
4.2. La tesi della corte di appello genovese non appare integralmente condivisibile.
Ed invero le modalità di acquisizione della disponibilità del luogo destinato ad abitazione non possono ritenersi del tutto indifferenti, come sembra affermare la corte territoriale, ai fini del legittimo esercizio dello ius excludendi nei confronti dei terzi estranei, cioè dei terzi che non possono vantare nessun diritto su tale luogo.
La migliore dottrina, infatti, ha da tempo evidenziato che il titolare del diritto di esclusione deve essere individuato in colui che “attualmente e legittimamente abita o dimora in un certo luogo o chi lo rappresenta in caso di impedimento”.
La stessa giurisprudenza della Suprema Corte, del pari,sembra essersi attestata su questo principio, evidenziando come la tutela predisposta dall’art. 614, c.p., presupponga la legittimità del titolo in virtù del quale si instaura il rapporto di relazione tra un soggetto e la sua abitazione o altro luogo ad essa equiparabile (cfr. Cass., sez. V, 10/06/1982 10601, rv. 156034).
Secondo questa linea interpretativa, pertanto, le vicende del titolo che giustifica la proprietà, il possesso o la detenzione dell’immobile incidono sul diritto all’inviolabilità del domicilio, che, come affermato dal Supremo Collegio, non può mai essere invocato ogniqualvolta sia venuto meno legittimamente il titolo che giustifica la relazione instaurata tra il soggetto e la res (cfr. Cass., sez. V, 11/05/1999, n. 2257, rv. 213771).
Una lettura costituzionalmente orientata della disposizione di cui all’art. 614, c.p., alla luce della previsione contenuta nell’art. 14, Cost., impone, tuttavia, di prendere in considerazione la particolare natura del diritto alla inviolabilità del domicilio, il cui contenuto, come è stato opportunamente evidenziato dalla migliore dottrina costituzionalistica, non è astrattamente predeterminato, ma variabile e definibile solo in concreto, vale a dire, ritiene il Collegio, in ragione dell’effettivo atteggiarsi della relazione tra il soggetto ed il bene scelto come abitazione o luogo ad essa equiparabile.
In questa prospettiva, è innegabile che il legittimo esercizio dello ius excludendi, proprio in ragione della definizione di domicilio quale luogo di privata dimora dove si esplica liberamente la personalità del singolo, presuppone necessariamente l’esistenza di una reale situazione di fatto che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità, secondo l’ottica, fatta propria, peraltro, dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, di privilegiare l’effettivo rapporto tra il soggetto ed il luogo dove si esplica la sua personalità (cfr., Cass., sez. V, 21/09/2012, n. 47500, rv. 254518, ed i precedenti giurisprudenziali in essa richiamati).
Ciò consente di leggere in una luce diversa anche l’eventuale origine illegittima del rapporto tra il soggetto e la res, come nel caso in cui l’immobile destinato ad abitazione sia stato occupato abusivamente da chi, rispetto ad esso, pretende di esercitare, nei confronti dei terzi estranei, lo stesso ius excludendi, che competerebbe al legittimo proprietario, possessore o detentore del bene.
Se, infatti, come si è già detto, nella ricostruzione della nozione del diritto alla inviolabilità del domicilio, penalmente rilevante, assume un valore decisivo, rispetto alle vicende giuridiche del bene in quanto tale, l’effettivo rapporto che si instaura tra il soggetto ed il luogo dove si esplica la sua personalità, se ne deduce, stante il diverso atteggiarsi delle molteplici relazioni potenzialmente intercorrenti tra il bene prescelto come dimora ed il soggetto che ha operato la relativa scelta, che l’eventuale originaria illegittimità della immissione in possesso del bene in questione non esclude di per sé l’esercizio dello ius excludendi (naturalmente solo nei confronti dei terzi che, non vantando alcun diritto su di esso, possono a ben ragione considerarsene estranei), da parte di chi di tale illegittima immissione sia stato protagonista.
Conclusione alla quale appare lecito pervenire quando le particolari modalità con cui si è svolto il rapporto in questione – quali possono emergere da una pluralità di indici non esaustivamente predeterminabili, come, ad esempio, l’apprezzabile durata della permanenza all’interno del luogo prescelto come abitazione; la tolleranza della presenza del soggetto non legittimato da parte del titolare del legittimo diritto di disponibilità del bene, che sia frutto di una libera scelta e non di un consenso coartato; il pagamento di un canone periodico a titolo di ristoro per l’occupazione, al di fuori di un ordinario schema contrattuale locativo et similia – consentono di definire un determinato luogo, in termini oggettivi e soggettivi, come l’effettivo domicilio di un soggetto, pur nel caso in cui la relativa disponibilità materiale sia stata da quest’ultimo acquisita non in virtù di un titolo conforme alla disciplina sulla legittima acquisizione delle res.
La relativa indagine, che rientra nella competenza esclusiva del giudice di merito, deve essere particolarmente attenta e penetrante, essendo il suo obiettivo non quello di giustificare il possessore in mala fede, al quale non può essere apprestata alcuna tutela dall’ordinamento giuridico, ma di verificare se, nel concreto svilupparsi del rapporto, l’illegittimità che ha connotato il momento costitutivo della relazione con il bene possa ritenersi “sanata”, in virtù del concorso di uno o più fattori che consentano di qualificare il bene in questione come effettiva proiezione della personalità del soggetto agente, in una parola come “domicilio”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 614, c.p..
5. A tali principi non appare conforme la sentenza oggetto di ricorso, in quanto con essa fa corte territoriale, da un lato esclude ogni rilevanza, ai fini dell’esercizio dello ius excludendi, alla natura pacificamente illegittima dell’acquisizione dell’Immobile appartenente alfa società “ARTE” ad opera delle persone offese; dall’altro, con motivazione palesemente contraddittoria e, comunque, insufficiente, attribuisce alle medesime persone offese la titolarità del diritto alla inviolabilità del domicilio in base alla semplice circostanza che il P. e la C. “abitavano da qualche tempo” il suddetto appartamento, senza nulla aggiungere sotto il profilo del concreto atteggiarsi della relazione instaurata tra le persone offese ed il bene in questione.
6. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, l’impugnata sentenza va annullata, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Genova perché proceda ad un nuovo esame sulla configurabilità del delitto di cui all’art. 614, c.p., alla luce dei principi di diritto in precedenza indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Genova.
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