Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 30 settembre 2014, n. 40329

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 42/2013, del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Oristano del 7 febbraio 2013;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DELEHAYE Enrico, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

sentito, altresi’, per la ricorrente l’avv. (OMISSIS), del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 febbraio 2013, emessa all’esito di rito abbreviato richiesto dall’imputata conseguentemente all’avvenuta opposizione da parte della medesima a decreto penale, il Gup del Tribunale di Oristano ha condannato (OMISSIS) alla pena di euro 200,00 di ammenda, escluse le attenuanti generiche, avendola giudicata colpevole del reato di cui all’articolo 659 c.p., per avere omesso di adottare le opportune cautele atte ad evitare che il latrare del proprio cane potesse arrecare, nelle ore notturne, disturbo al riposo ed alla quiete delle persone.
Il predetto giudice condannava altresi’ la imputata al risarcimento del danno patito dalla costituita parte civile, (OMISSIS), da liquidarsi in separato giudizio, nonche’ alla rifusione delle spese di giudizio affrontate da quest’ultimo.
Riferiva, in particolare, il Tribunale che, secondo quanto riportato nella sua querela dalla predetta parte civile, la (OMISSIS) avrebbe da anni lasciato libero nel cortile della propria abitazione, confinante con quella del (OMISSIS), un cane che sia di giorno che di notte latrava disturbando la quiete ed il riposo delle persone.
Sulla base di tale circostanza, contestata dalla difesa della prevenuta che ne escludeva la rispondenza alla realta’ sostenendo che le immissioni sonore non fossero tali da creare un effettivo disturbo, il Tribunale, ritenuto che il reato in questione sia un reato di pericolo per la integrazione del quale e’ sufficiente che il bene-interesse tutelato sia posto a repentaglio, condannava la (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno civile.
Nel proporre ricorso per cassazione la (OMISSIS), assistita dal proprio difensore, censurava la sentenza emessa a suo carico, deducendo la erronea o falsa applicazione dell’articolo 659 c.p., in quanto il giudicante avrebbe ritenuto, in assenza di qualsivoglia riscontro concreto a sostegno, il fatto che i rumori in discorso fossero intollerabili per una quantita’ indeterminata di persone.
In piu’ la ricorrente contestava la legittimita’ della sentenza, quanto ad un asserito difetto di motivazione, in quanto il Tribunale avrebbe fondato il proprio giudizio di colpevolezza esclusivamente sul contenuto della querela, nonostante il fatto che la parte offesa non sia stata presente al dibattimento e, pertanto, non sia stato possibile assumerne la testimonianza.
Peraltro, aggiungeva la ricorrente, il giudicante avrebbe, in assenza di alcun elemento probatorio, tratto argomenti di colpevolezza ulteriori rispetto a quelli enunciati nella querela, che, pertanto, non puo’ essere considerata, diversamente da quanto sostenuto dal giudicante, autonomamente idonea a sostenere la accusa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultato fondato, deve, pertanto, essere accolto.
Osserva, infatti il Collegio che, per consolidata e temporalmente radicata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della integrazione del reato di cui all’articolo 659 c.p., e’ necessario che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilita’ ed abbiano, anche in relazione allo loro intensita’, l’attitudine a propagarsi ed a disturbare un numero indeterminato di persone, e cio’ a prescindere dal fatto che, in concreto, alcune persone siano state effettivamente disturbate; invero, trattandosi di reato di pericolo, e’ sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ed e’ indifferente che la lesione del bene si sia in concreto verificata (Corte di cassazione, Sezione 1 penale, 7 giugno 1996, n. 5714).
Come e’ stato piu’ di recente rilevato da questa Corte, l’elemento essenziale della fattispecie di reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone e’ l’idoneita’ del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non gia’ l’effettivo disturbo arrecato alle stesse (Corte di cassazione, Sezione 1 penale, 7 gennaio 2008, n. 246).
Deve, peraltro, osservarsi che il reato in questione, pur essendo caratterizzato, come sopra evidenziato, dal fatto di essere un reato di pericolo, e’, tuttavia, un reato di pericolo concreto, nel senso che, sebbene non sia necessaria ai fini della integrazione della fattispecie penale la concreta lesione del bene interesse protetto dalla norma incriminatrice – da individuarsi nel diritto alla quiete nelle proprie occupazioni ed al riposo di una pluralita’ tendenzialmente ampia ed indeterminata di soggetti e non solo del singolo e ristretto gruppo di individui che per avventura si trovino a soggiornare nei pressi del luogo dal quale originano gli schiamazzi, i rumori o comunque le emissioni sonore di cui alla predetta norma – e’, tuttavia, necessario che siffatta idoneita’ potenziale alla lesione di una indeterminata pluralita’ di persone si presenti e sia dimostrata in termini di concreta sussistenza.
E’ di tutta evidenza che tale dimostrazione, oltre a poter essere data attraverso misurazioni strumentali che, per la loro obbiettiva pregnanza, potranno essere di per se’ indicative della idoneita’ della fonte sonora a diffondersi in termini di intollerabilita’, presso un numero imprecisato di soggetti, potra’ essere offerta attraverso la analisi di diversi dati fattuali, quali la ubicazione della fonte sonora, in particolare con riferimento al fatto se la stessa si trovi in un luogo isolato ovvero densamente abitato; l’esistenza o meno di un rilevante rumore di fondo che elida in misura piu’ o meno significativa l’idoneita’ a diffondere i suoi effetti propria della fonte sonora oggetto della ipotesi accusatoria; il fatto che si tratti di una emissione costante ovvero ripetuta, nel qual caso se siffatta ripetizione e’ soggetta a periodi costanti, piu’ o meno brevi, ovvero se sia occasionale e sporadica.
E’ sulla base dell’analisi di questi elementi, ed altri di tale genere che sara’ compito del giudice del merito di volta in volta enucleare attraverso l’esame del caso di specie, che e’ possibile verificare nel concreto l’attitudine, ancorche’ solo potenziale, della fonte sonora ad arrecare, oltre il limite della normale tollerabilita’, la lesione della quiete e del riposo di un numero indeterminato di persone, rimanendo, invece, eventualmente confinata nel diverso ambito dell’illecito civile, l’ipotesi in cui la lesione dei predetti beni concerna una ridotta ed numericamente ben individuata categoria di soggetti.
A tal proposito e’ stato rilevato che significativo indice di rilevazione della predetta potenziale idoneita’ lesiva e’ dato dalla incidenza del fenomeno “in rapporto alla media sensibilita’ del gruppo sociale in cui (esso) si verifica, mentre sono irrilevanti e di per se’ insufficienti le lamentele di una o piu’ singole persone” (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 31 gennaio 2006, n. 3678).
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha fatto derivare la configurabilita’ del reato esclusivamente ed apoditticamente, nella affermata assenza della necessita’ di procedere a misurazioni strumentali, dal fatto che presso il cortile della imputata soggiornasse un solo cane – peraltro di taglia e razza imprecisata, sebbene sia di comune esperienza il fatto che la intensita’, e pertanto, la attitudine ad arrecare molestia, dei latrati di un cane sia, di regola, direttamente rapportabile alla sua stazza – il quale usava abbaiare al passaggio sulla via di persone o di altri animali.
La inadeguatezza della motivazione della impugnata sentenza emerge in tutta la sua chiarezza ove si rifletta sul dato che in essa non e’ affatto chiarito se, oltre alla abitazione del querelante-parte civile, ci fossero, limitrofe al cortile della (OMISSIS), altre abitazioni (sulla esigenza, ai fini della integrazione del reato, che il disturbo non riguardi la sola abitazione immediatamente limitrofa a quella ove e’ ubicata la fonte sonora, ma incida su un ambito piu’ ampio, si veda, decisa prima della presente sentenza, sebbene con motivazioni pubblicate successivamente, Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 5 giugno 2014, n. 23529), quale fosse, ovviamente anche solo in termini di assoluta, ma significativa, approssimazione, la stessa estensione di tale cortile, dato anch’esso certamente non trascurabile ai fini della valutazione della efficacia lesiva dei rumori che dall’interno di esso provenivano, ne’, infine, e’ dato conto del fatto se la via sulla quale affacciava tale cortile era o meno caratterizzata da un frequente transito, posto che, essendo i latrati del cane motivati dal passaggio di individui, umani o animali, nei pressi di tale cortile, la loro reiterazione nel tempo non doveva essere indipendente dal numero e dalla frequenza di detti passaggi.
In sostanza nella sentenza impugnata non e’ stata fatta alcuna obbiettiva vantazione sulla entita’ del fenomeno rumoroso, in relazione alla media sensibilita’ del gruppo sociale di riferimento, ne’ sulla esistenza di un concreto superamento dei limiti della normale tollerabilita’ e sulla potenziale idoneita’ dei rumori a disturbare un numero indeterminato di persone, delle quali e’, anzi, in maniera del tutto immotivata stante la apparente assenza di altre lamentele oltre a quella del querelante, affermata la derivante avvenuta “esasperazione”.
Il Tribunale si e’, infatti, limitato ad asseverare le indicazioni rivenienti dalla, unica, denunzia-querela presentata dalla parte civile, attribuendo ad essa, in assenza di qualsivoglia elemento corroborante, piena efficacia ai fini della affermazione della penale responsabilita’ della imputata, senza che il contenuto di tali dichiarazioni sia stato sottoposto a quella penetrante verifica che, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, ne consente la piana acquisizione come elemento decisivo di prova (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 24 ottobre 2012, n. 41461).
La impugnata sentenza deve, pertanto, essere annullata, con rinvio al Tribunale di Oristano che, nel motivare nuovamente in diversa composizione la propria decisione, si atterra’ agli esposti principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Oristano.

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