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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 2 ottobre 2014, n. 40829

 

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 3.05.2013 la Corte d’Assise d’Appello di Torino ha confermato la sentenza pronunciata il 2.03.2012 con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Aosta, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato G.R., concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, alla pena di anni 18 mesi 8 di reclusione per i reati, unificati in continuazione, di rapina e omicidio (aggravato dalla crudeltà) in danno di M.P., ascritti ai capi B e C della rubrica, nonché alle pene ulteriori di mesi 8 di reclusione e € 200 di multa e di mesi 6 di reclusione e € 200 di multa per i reati di furto e furto in abitazione ascritti ai capi A e D, oltre alle pene e statuizioni accessorie.

L’omicidio del M. e i connessi reati contro il patrimonio erano stati commessi dall’imputato nella tarda serata del 29.04.2011, dopo essersi introdotto, unitamente al complice Pitica Puiu nell’abitazione della vittima, in Aosta, dove il Pitica si era impossessato di alcune monete provocando la reazione del M. col quale aveva intrapreso una colluttazione; il G., intervenuto a sostegno del correo, aveva colpito ripetutamente la vittima, infierendo sulla stessa sia a mani nude che con alcuni corpi contundenti presenti nell’abitazione, in particolare un ventilatore e le assi chiodate di una cassetta di legno; il violento pestaggio dei M., colpito più volte mentre giaceva riverso sul letto incapace di reagire, aveva provocato alla vittima gravi lesioni, riscontrate dalla consulenza medico legale espletata dal pubblico ministero e consistite in plurimi traumi fratturativi (alle ossa nasali, zigomatiche orbitarle, mascellari, mandibolari, nonché al complesso tiroideo) che avevano determinato un’emorragia interna, causa della morte dei M. per soffocamento. Anche a seguito della confessione dell’imputato, i giudici di merito ritenevano provata, sulla base di tutte le circostanze dei fatto, la volontà omicida dei Gai; la violenza con cui erano stati assestati i colpi (tanto che anche quelli inferti alla schiena avevano determinato esiti fratturativi a carico dei processi vertebrali), ampiamente trasmodata dall’obiettivo di rendere inoffensiva la vittima, e l’utilizzo di assi chiodate per martoriare il corpo del M. provocandogli un acuto dolore fisico conseguente alla penetrazione dei chiodi, con modalità tali da determinare un eccesso di sofferenze inutili, conducevano il GUP e la Corte di merito a ritenere integrata a carico dell’imputato l’aggravante della crudeltà verso la persona.

Ricorre per cassazione G.R., a mezzo dei difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione all’art. 577 comma primo n. 4 cod. pen. e alla valutazione probatoria detta relazione del consulente medico legale; il ricorrente lamenta il travisamento delle risultanze della consulenza e l’errore di diritto in cui era incorsa la Corte territoriale nel ritenere sussistente l’aggravante della crudeltà; rileva che la mera reiterazione dei colpi inferti alla vittima, accertata dal consulente del pubblico ministero, non era sufficiente a integrare l’aggravante, in considerazione della scarsa capacità offensiva dei mezzi utilizzati per percuotere il M., rappresentati dalle mani nude dell’agente e da oggetti rinvenuti occasionalmente in loco, nonchè del naturale crescendo delle lesioni inferte, coerenti alla dinamica di un ordinario pestaggio in cui la morte si era verificata all’esito di una reiterazione di colpi che

avevano finito per attingere le parti vitali del corpo della vittima, senza

connotazioni crudeli; richiama i principi affermati da questa Corte in ordine ai requisiti necessari a integrare l’aggravante di cui all’art. 61 n. 4 cod. pen., che dovevano condurre a escludere, nella condotta del G., l’elemento rivelatore di un’indole malvagia in grado di giustificare l’inasprimento di pena conseguente alla ricorrenza dell’aggravante.

 Considerato in diritto

II ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Questa Corte ha più volte affermato il principio per cui l’aggravante dell’aver agito con crudeltà verso la persona, di cui all’art. 61 n. 4 cod. pen., avendo natura soggettiva, richiede che la condotta dell’agente sia connotata da modalità tali da rendere evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive che esulano dal normale processo di causazione dell’evento e che costituiscono un quid pluris rispetto all’attività necessaria ai fini della consumazione dei reato, rendendo la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla vittima con un’azione efferata, rivelatrice di un’indole malvagia e priva del più elementare senso d’umana pietà (Sez. 1 n. 30285 del 27.05.2011, Rv. 250797), con la conseguenza che l’aggravante non può ravvisarsi – di norma – nella mera reiterazione dei colpi inferti alla vittima (ad esempio con una spranga o con un coltello) se tale azione, in quanto connessa alla natura del mezzo usato per conseguire l’effetto delittuoso, non eccede i limiti della normalità causale rispetto all’evento e non trasmoda In una manifestazione di efferatezza (ex multis, Sez. 1 n. 725 del 24/10/2013, Rv. 258358; Sez. 1 n. 19966 dei 15/01/2013, Rv. 256254; Sez. i n. 33021 dei 16/05/2012, Rv. 253527).

L’affermazione di principio, che è stata richiamata dal ricorrente con ampia citazione di precedenti giurisprudenziali, non è in discussione nei suoi termini generali, e deve essere qui ribadita, con la logica precisazione, peraltro, che anche la reiterazione dei colpi che hanno attinto la vittima può essere in concreto significativa di una condotta idonea a integrare l’aggravante, allorché essa non sia meramente funzionale al delitto, ma costituisca espressione – in puntuale coerenza all’orientamento sopra citato – della volontà dell’agente di infliggere sofferenze che esulano dal normale processo dì causazione dell’evento morte (vedi Sez. 1 n. 271.63 del 28/05/2013, Rv. 256476, che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante in un’ipotesi in cui la condotta omicida si era concretizzata nell’attingere per 64 volte la vittima con un coltello in varie parti del corpo, accanendosi con brutalità sulla stessa in modo non più funzionale al delitto, ma costituente di per sé autonoma manifestazione di ferocia belluina trascendente la mera volontà di arrecare la morte). 3. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha fatto corretta e motivata applicazione dei principi appena esposti alle circostanze concrete del fatto, valorizzando – agli effetti di ritenere connotata da crudeltà l’azione omicida dell’imputato – non solo e non tanto la smodata violenza percussiva dei colpi con cui il ricorrente continuò a infierire sull’anziana vittima anche dopo che questa era stata resa completamente inoffensiva e incapace di reagire, provocando quasi a ogni nuovo colpo frammentazioni ossee delle strutture scheletriche del viso, della gabbia toracica e dei processi vertebrali, quanto l’utilizzo per colpire la vittima, oltre alle mani nude e agli altri corpi contundenti presenti nell’abitazione, anche delle assi chiodate diveite da una cassetta di legno, di cui l’imputato si servì per martoriare ulteriormente il corpo del M., provocando allo stesso inutili e acute sofferenze fisiche dovute alla penetrazione dei chiodi nei suoi tessuti vitali (riscontrata, tra l’altro anche in regione cervicale, dalle risultanze obiettive della consulenza medico-legale, puntualmente riportate alla pagina 12 della sentenza, e che non appaiono perciò in alcun modo travisate), inflitte con brutale e gratuita ferocia del tutto esorbitante dallo scopo di cagionare la morte della vittima (di per sé raggiungibile con la sola furia percussiva degli altri corpi contundenti utilizzati), così da rivelare nell’agente un’indole efferata e crudele che rende incensurabile l’applicazione da parte dei giudice di merito dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 4 cod. pen..

  1. Al rigetto dei ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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