Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 1 settembre 2014, n. 36450
Relatore dott. Claudio D’Isa
Ritenuto in fatto
B.D. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d’appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal GIP del Tribunale di Sondrio in data 5.03.2008 in ordine al delitto di furto aggravato (capo a) ed al reato di cui all’art. 707 cod. pen. (capo b) ha dichiarato quest’ultimo estinto per prescrizione ed ha rideterminato la pena per il primo.
Con un unico motivo si denuncia violazione di legge dell’art. 125 c.p.p. e degli artt. 56/624 cod. nonché vizio di motivazione, con riferimento alla mancata valutazione di elementi probatori che imponevano la configurazione del fatto nel paradigma del delitto di furto tentato e non consumato, atteso che non si è verificato un effettivo impossessamento dei beni sottratti, essendo l’imputata rimasta all’interno dell’abitazione fino all’arrivo dei carabinieri e, pertanto, gli oggetti sottratti sono rimasti nella sfera di vigilanza del derubato.
Ritenuto in fatto
Il motivo esposto è infondato e determina il rigetto del ricorso.
La motivazione della sentenza impugnata sul punto oggetto della censura è, in diritto, condivisibile essendo stato affermato che l’impossessamento si verifica anche quando, pur rimanendo il ladro sotto la sorveglianza del derubato, quest’ultimo è costretto ad esercitare violenza o pressione sull’autore del furto al fine del recupero della refurtiva, come è avvenuto nel caso di specie essendo stato costretta la persona offesa a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine.
Questa Corte ha affermato, infatti, che in tema di furto sono irrilevanti sia il criterio spaziale e quello temporale, sia la durata del possesso dell’agente. Ai fini della determinazione dell’impossessamento, che segna il momento consumativo del reato, è sufficiente, infatti, che l’agente consegua la disponibilità materiale della cosa (Conf. Sez. V, n. 1756, 27 ottobre 1992, De Simone). E non rileva, a tal fine, il fatto che l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva, immediatamente dopo la sottrazione, per l’intervento del tutto aleatorio di un terzo estraneo alla sfera di vigilanza del possessore derubato, come è avvenuto, per il caso sottoposto all’esame del Collegio, laddove l’imputata è stata costretta a riconsegnare la refurtiva (cellulare, orologio d’oro, ed altri ori) per l’intervento dei carabinieri che la traevano in arresto.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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