aggressione cane

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 1 settembre 2014, n. 36461

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Arezzo, con sentenza dell’8/2/2012, confermò la sentenza emessa dal Giudice di pace di Arezzo l’8/7/2009, con la quale C. R. e M.C., giudicati colpevoli del delitto di cui agli artt. 110 e 590, cod. pen., per non avere impedito al loro cane, idoneamente custodendolo, in violazione dell’art. 672, cod. pen., di azzannare B.L., procurandole lesioni, alla pena stimata di giustizia.
2. Entrambi gli imputati propongono ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello prospettando duplice censura.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti assumono essere stata violata la legge in ordine alla valutazione probatoria, non essendo stata raggiunta la prova della pericolosità dell’animale da compagnia, sussistendo, anzi, in atti la prova contraria, poiché la bestia, in occasione dei sopralluoghi effettuati dalla polizia municipale, si era mostrata mansueta e docile.
2.2. Con il successivo motivo viene denunziato vizio motivazionale: il giudice d’appello aveva affermato la corresponsabilità di entrambi gli imputati, senza, tuttavia, rendersi conto che se il C., per ragioni fisiche, non era in grado di custodire adeguatamente il cane, non avrebbe potuto impedire l’evento; mente, al contrario, ove fosse stato capace, la Marchi non poteva essere giudicata responsabile.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è inammissibile a cagione della sua manifesta infondatezza.
Sulla base delle incontroverse acquisizioni processuali non è dubbio che l’animale, peraltro di grossa taglia e idoneo all’offesa (pastore maremmano), non solo, scorazzando libero, più volte aveva allarmato il vicinato, ma, quel che risulta decisivo, azzannò, in una occasione, la p.o., procurandole multiple ferite lacero alla mano destra. La circostanza, pertanto, che in occasione di talune visite effettuate dalla polizia locale lo stesso si fosse mostrato non aggressivo non assume alcun significato dirimente. Corrisponde, infatti, a norma cautelare ovvia che un animale di tal fatta, il quale, per qualsivoglia ragione, può dar luogo a pericolose aggressioni, venga adeguatamente custodito o, comunque, reso inoffensivo mediate museruola.
Anche a non voler tener conto della natura meramente ipotetica del secondo motivo, l’argomento è in ogni caso inconcludente: entrambi gli imputati, infatti, erano, in fatto, investiti da posizione di garanzia, in quanto avevano in potere l’animale. Né, l’ipotesi che il C. non fosse in condizione, per ragioni di salute, di prendersi diretta cura del cane, lo solleva da responsabilità, in quanto, perciò stesso, non sarebbe venuto meno l’obbligo di ben scegliere le persone alle quali affidare le cure dell’animale, vigilando che l’operato fosse adeguato a tutelare l’integrità fisica dei terzi (e, nella specie, la reiterazione delle scorribande del cane rendeva evidente l’inadeguatezza dell’operato).
4. La genetica inidoneità del ricorso, a causa della sua inammissibilità, ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza gravata non consente di prendere in considerazione il computo prescrizionale maturato dopo la statuizione del Tribunale aretino (fra le tante, S.U. 11/7/2001, n. 33542; S.U. 22/4/2005, n. 23428; Sez. 1, 4/6/2008, n. 24688; Sez. III, 8/10/2009, n. 42839; Sez. VI, 4/7/2011, n. 32872).
5. L’epilogo impone condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, nella misura stimata congrua, di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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