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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 2 settembre 2014, n. 36636

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del’11 novembre 2013, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del 15 gennaio 2009, con la quale il Tribunale della stessa città ha condannato F.G. per il reato di cui all’art. 570, comma 2 n. 2, cod. pen., per non avere corrisposto i mezzi di sussistenza alla figlia C. di anni dieci, commesso “dal 6 aprile 2001 in permanenza attuale”.
Quanto alle eccezioni in rito, la Corte territoriale ha rilevato, da un lato, che correttamente il primo giudice ha negato il rinvio delle udienze, non emergendo dalla certificazione medica prodotta l’impossibilità dell’imputato di presenziarvi; dall’altro lato, che non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza atteso che, in caso di reato permanente, la consumazione si protrae sino alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Nel merito, la Corte ha evidenziato che l’obbligo di garantire i mezzi di sussistenza ai figli grava su entrambi i genitori, sicché l’eventuale assolvimento da parte di uno di essi non esime l’altro, e che l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligo non può desumersi dalla condizione di disoccupazione o dallo stato detentivo. Infine, il giudice d’appello ha ritenuto corretta la mancata applicazione da parte del Tribunale delle circostanze attenuanti generiche.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Marco Rigamonti, difensore di fiducia di F.G. , chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1. Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 484 e 420 ter e 178 lett. c) cod. proc. pen., per avere la Corte d’Appello omesso per due volte di rinviare l’udienza nonostante il legittimo impedimento a comparire dell’assistito, documentato dalla certificazione sanitaria attestante la necessità di “riposo assoluto”.
2.2. Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 521, 522 e 533 cod. proc. pen., per mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza, essendo stato l’assistito condannato anche per fatti successivi alla formulazione e alla notifica della imputazione, avendo la Corte d’Appello ritenuto che la consumazione del reato si sia protratta sino alla data della sentenza.
2.3. Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per avere la Corte negato, con motivazione illogica, la sussistenza in capo a F. di una situazione di impossibilità di fare fronte agli obblighi nei confronti della figlia C. .
2.4. Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62 bis cod. pen., per avere la Corte negato all’assistito l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
1.1. Infondato è il primo motivo di natura processuale con il quale il ricorrente eccepisce la violazione degli artt. 484 e 420 ter e 178 lett. c) cod. proc. pen., per avere la Corte d’Appello omesso due volte di rinviare l’udienza nonostante fosse stato dedotto il legittimo impedimento dell’imputato.
In linea generale, deve essere rilevato che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, è legittimo il provvedimento con il quale il giudice, investito di una richiesta di rinvio per impedimento a comparire con allegato certificato medico attestante una patologia, ritenga l’insussistenza del dedotto impedimento e dichiari la contumacia dell’imputato, in quanto detto certificato non preclude al giudice di valutare, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, l’effettiva impossibilità per il soggetto portatore della dedotta patologia di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute, non potendo ritenersi preclusiva di tale valutazione la generica necessità, in conseguenza della riscontrata patologia, di un dato periodo di riposo e di cure, la quale è per sua natura preordinata al superamento rapido e completo dell’affezione patologica in atto e non implica, ove essa non sia soddisfatta, l’automatica ed ineluttabile conseguenza di un danno o di un pericolo grave per la salute del soggetto, che costituisce condizione imprescindibile ai fini dell’integrazione dell’assoluta impossibilità di comparire che legittima l’impedimento (Cass. Sez. 5, n. 5540 del 14/12/2007, Spanu, Rv. 239100; Cass. Sez. 6, n. 4284 del 10/01/2013, G., Rv. 254896.
1.2. Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che, nonostante l’attestazione di una “lombosciatalgia acuta” con necessità di “riposo assoluto”, dalla documentazione sanitaria prodotta non emergesse l’effettiva impossibilità di F. di partecipare all’udienza in quanto impedito nella deambulazione o costretto a letto, né che questi assumesse farmaci per la cura della specifica patologia, elementi tutti dai quali hanno inferito, da un lato, che la prescrizione di riposo assoluto non implicasse necessariamente l’impossibilità assoluta di raggiungere l’aula di udienza, se del caso trasportato da altri; dall’altro lato, che la patologia non meritasse particolari prescrizioni e che l’assunzione di usuali farmaci antinfiammatori avrebbe agevolmente potuto risolvere la problematica di natura sanitaria.
1.3. Ritiene il Collegio che, nell’addivenire a tali conclusioni, i giudici di primo e secondo grado abbiano fatto buon governo dei principi di diritto sopra espressi.
La lombosciatalgia (cioè un dolore che attraverso la regione lombare si trasmette al nervo sciatico) può invero manifestarsi con sintomi di diversa intensità, può essere legata a molteplici cause e, proprio per questo, può essere curata con terapie differenti (farmacologica, strumentale, “naturale” sino alla chirurgica). Nella specie, la patologia è stata documentata dalla difesa di F. solo genericamente, senza alcuna specificazione delle cause, né delle cure da seguire (ad esempio, farmacologiche o fisioterapiche), né delle norme di comportamento cui attenersi per attenuare o comunque non aggravare la sintomatologia; soprattutto, nella certificazione prodotta non v’è alcuna indicazione dei limiti alla libertà di movimento di F. , non emergendo neanche che il medico si sia dovuto recare al domicilio per visitare il paziente, per l’impossibilità di quest’ultimo di raggiungere lo studio del sanitario.
D’altra parte, in assenza ulteriori precisazioni circa i termini anche temporali della prescrizione, l’espressione “assoluto riposo” utilizzata nel certificato, a discapito della perentorietà della aggettivazione, costituisce una sorta di formula di stile, potendo con essa il sanitario avere prescritto al paziente semplicemente di astenersi dal fare sforzi (quali, lo svolgimento di lavori di casa pesanti o l’attività sportiva), ma non di rimanere immobile a letto.
Ne discende che correttamente il Tribunale ha ritenuto, pur senza disporre una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, che la patologia attestata nella certificazione prodotta dalla difesa di F. non comportasse di per sé una impossibilità assoluta a deambulare o ad essere trasportato in udienza da terzi e/o con l’ausilio di appositi presidi sanitari (quali, la carrozzina o l’autolettiga), con conseguente rigetto delle richieste di rinvio d’udienza.
2. Manifestamente infondato è il motivo con il quale si deduce la violazione degli artt. 521, 522 e 533 cod. proc. pen., per mancanza di correlazione tra l’imputazione e sentenza.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte (espresso in tema di prescrizione), la violazione degli obblighi di assistenza familiare è reato permanente che si protrae per tutto il periodo in cui perdura l’omesso adempimento e la cessazione della permanenza coincide con il sopraggiunto pagamento o con l’accertamento della responsabilità nel giudizio di primo grado (Cass. Sez. 6, n. 51499 del 04/12/2013, Rv. 258504; Sez. 6, n. 7321 del 11/02/2009, M., Rv. 242920).
I giudici del provvedimento impugnato hanno dunque individuato in modo esatto il momento di cessazione della permanenza nella data di pronuncia della sentenza di primo grado.
3. Infondato è anche il motivo con il quale si contesta il vizio di motivazione in relazione alla mancata valutazione della dedotta impossibilità del F. di fare fronte agli obblighi nei confronti della figlia.
Come correttamente argomentato dai giudici di merito in linea con i consolidati principi espressi da questa Corte in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 cod. pen., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Cass. Sez. 6, n. 41362 del 21/10/2010, Rv. 248955). In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, incombe all’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, di talché la sua responsabilità non può essere esclusa in base alla mera documentazione formale dello stato di disoccupazione (Cass. Sez. 6, n. 7372 del 29/01/2013, S., Rv. 254515), di una mera flessione degli introiti economici o di difficoltà (Cass. Sez. 6, n. 8063 del 08/02/2012, G., Rv. 252427).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha dunque correttamente ritenuto non operante la dedotta causa scriminante non avendo il ricorrente provato che le difficoltà dal medesimo addotte (stato detentivo, problemi economici e dichiarazione di fallimento dell’azienda) si siano tradotte in una vera e propria situazione di indigenza economica, tale da configurare un impedimento assoluto ad adempiere.
4. Va, infine, rigettata anche l’ultima doglianza.
Nessuna violazione di legge è riscontrabile nella denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche a F. , laddove la Corte territoriale ha evidenziato – con una motivazione adeguata ed immune da censure logico giuridiche – che l’appellante non è meritevole di un più affievolito trattamento sanzionatorio alla luce della pluriennale insolvenza, dei precedenti penali e dell’assenza di segnali positivi di comportamento che inducano a valutazioni più benevole. Il che è del tutto conforme ai consolidati principi di diritto in materia, secondo cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Cass. Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900).
5. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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