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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 luglio 2014, n. 16690. La responsabilità professionale dell'avvocato, configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato e quindi presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell’attiivtà esercitata. Ne discende che la responsabilità del legale non potrebbe affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, ma è necessaria “la verifica se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla sua condotta professionale, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone. Nella fattispecie ci è stata solo l'allegazione di un ipotetico danno (vendita di un'immobile che – al contrario – potrebbe essere stata anche vantaggiosa per il venditore, come adombrato dal controricorrente) ma non la dimostrazione che tale evento (ove qualificabile come danno) sia derivato direttamente dall'attività professionale

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza  22 luglio 2014, n. 16690 Svolgimento del processo Nel 1985 l’ing. N.W. incaricava con mandato l’avv. S.I. a procedere al recupero del proprio credito per prestazioni professionali da lui rese in favore della Consedil e della Cooperativa edilizia Alba srl per la progettazione di una palazzina edilizia convenzionata....