Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 31 maggio 2019, n. 14899.
La massima estrapolata:
La specifica autorizzazione del rappresentato alla conclusione del contratto del rappresentante con sé stesso — richiesta, in alternativa alla predeterminazione del suo contenuto, dall’art. 1395 cod. civ. al fine di superare la presunzione del conflitto di interessi ed escludere l’altrimenti conseguente annullabilità del contratto — non può desumersi per implicito dal fatto che il rappresentante sia anche socio unico della società rappresentata. La specificità dell’autorizzazione risponde infatti proprio alla necessità di garantire l’effettiva riferibilità dell’affare (anche) all’interesse del rappresentato e ad una preventiva valutazione che di esso venga fatta in rapporto all’affare programmato. Nell’ipotesi di società di capitali unipersonale tale interesse rimane, anche a tutela dei terzi creditori, ben distinguibile da quello del socio, che in quanto anche amministratore agisca in nome e per conto della prima. Nel caso di contratto concluso dall’unico socio quale rappresentante della società unipersonale, con sé stesso, pertanto, la specificità dell’autorizzazione richiesta dall’art. 1395 cod. civ. è da escludere possa intendersi realizzata per facta concludentia in conseguenza del fatto stesso della conclusione dell’affare. Deve invero ritenersi pur sempre necessario il rispetto degli adempimenti formali – in particolare la formalizzazione di delibera assembleare – volti a garantire e consentire di verificare, eventualmente anche ex post, una volta ricostituita la pluralità della compagine sociale ovvero una volta che muti la persona del socio unico, che l’affare sia stato concluso nella distinzione dei centri d’interesse.
Sentenza 31 maggio 2019, n. 14899
Data udienza 28 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26342/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 1435/2017, pubblicata il 5 aprile 2017;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 marzo 2019 dal Consigliere Emilio Iannello;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Soldi Anna Maria, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta, ex articolo 1395 c.c., da (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione nei confronti di (OMISSIS), aveva annullato il contratto con il quale quest’ultimo aveva ceduto, in data 18/5/2009, alla predetta (OMISSIS) – della quale a quella data il (OMISSIS) stesso era amministratore unico oltre che socio unico – il credito da lui vantato, per l’importo di Euro 500.000, nei confronti di terza societa’ controllata dalla (OMISSIS) ((OMISSIS) S.p.A., che pochi anni dopo era stata dichiarata fallita).
I giudici d’appello infatti, premessa l’irrilevanza delle ragioni sottese alla conclusione del contratto e, con esse, delle circostanze di prova dedotte dal convenuto/appellante in ordine ai rapporti personali e finanziari intercorsi con tali (OMISSIS) e (OMISSIS), afferenti alle numerose societa’ facenti capo a questi ultimi, hanno rilevato che la presunzione di conflitto sancita dall’articolo 1395 c.c. “avrebbe potuto essere superata unicamente fornendo la prova (nella specie mancante, n. d.r.) della specifica autorizzazione del rappresentato ovvero della predeterminazione degli elementi negoziati del contratto poi concluso”.
Hanno al riguardo precisato che “l’autorizzazione prevista dalla norma deve essere specifica, il che esclude che possa desumersi in via implicita… dal fatto che il (OMISSIS) fosse anche socio unico della (OMISSIS) e che, pertanto, fosse l’unico soggetto che avrebbe potuto esprimere la volonta’ della societa’”.
2. Avverso tale sentenza il (OMISSIS) propone ricorso per cassazione articolando tre motivi, cui resiste l’intimata, depositando controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’articolo 1395 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto mancare, nel caso di specie, una specifica autorizzazione alla conclusione del negozio da parte della societa’ rappresentata.
Rileva che la sussistenza di specifica autorizzazione della societa’ rappresentata poteva desumersi dalla stessa conclusione dell’affare, in quanto concluso nel momento in cui egli era socio unico della societa’ medesima. In tale contesto infatti – afferma – “l'(auto)autorizzazione a concludere l’affare sarebbe potuta pervenire, come e’ pervenuta essendosi estrinsecata nei fatti, unicamente dal medesimo (OMISSIS), che in qualita’ di socio unico… era l’unico soggetto che poteva esprimere, a pieno diritto, la volonta’ della societa’, volonta’ che e’ stata espressa per fatti concludenti”.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame dei documenti prodotti comprovanti la predeterminazione degli elementi negoziali.
Rileva che dalla documentazione prodotta, relativa alla situazione economica finanziaria della terza societa’ ((OMISSIS) S.p.A.) al momento del contratto di cessione, avrebbe potuto evincersi che essa godeva di stabilita’ economica e finanziaria “invidiabile” e che pertanto la cessione del credito vantato nei confronti della stessa, nel momento in cui fu stipulata, era operazione logica e lecita, svolta non in danno di alcuno e che tutti gli elementi negoziali del contratto erano stati da lui predeterminati in qualita’ di amministratore unico e socio unico della societa’ cessionaria.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia infine, ancora ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto asseritamente decisivo, rappresentato dal rapporto fiduciario esistente con (OMISSIS).
Afferma che ogni operazione da lui posta in essere e’ sempre stata concordata ed autorizzata da quest’ultima e svolta esclusivamente nel suo interesse, come dimostrato dal fatto che, al momento dell’interruzione del detto rapporto fiduciario, ella sottoscrisse dichiarazione di manleva a suo favore, per qualsiasi importo gli fosse stato richiesto in riferimento alle operazioni svolte per conto della medesima e riferite alla societa’ (OMISSIS).
4. E’ infondato il primo motivo di ricorso.
La regula iuris applicata dalla Corte d’appello, secondo cui la specifica autorizzazione del rappresentato alla conclusione del contratto del rappresentante con se’ stesso – richiesta (in alternativa alla predeterminazione del suo contenuto) dall’articolo 1395 c.c. al fine di superare la presunzione del conflitto di interessi ed escludere l’altrimenti conseguente annullabilita’ del contratto – non puo’ desumersi per implicito dal fatto che il rappresentante fosse anche socio unico della societa’ rappresentata, risponde a una corretta interpretazione della norma, in rapporto alla peculiare fattispecie.
La specificita’ dell’autorizzazione risponde infatti proprio alla necessita’ di garantire l’effettiva riferibilita’ dell’affare (anche) all’interesse del rappresentato e ad una preventiva valutazione che di esso venga fatta in rapporto all’affare programmato.
Nell’ipotesi di societa’ di capitali unipersonale tale interesse rimane, anche a tutela dei terzi creditori, ben distinguibile da quello del socio, che in quanto anche amministratore agisca in nome e per conto della prima.
Della possibilita’ e al contempo della necessita’ di tale distinzione sono espressione le norme che, nel diritto societario, prevedono la responsabilita’ illimitata del socio unico di s.p.a. o di s.r.l. per le obbligazioni contratte dalla societa’ nel periodo di intestazione totalitaria del capitale in capo all’unico socio (articolo 2325 c.c., comma 2 e articolo 2462 c.c., comma 2) o quelle che prevedono analoga responsabilita’ illimitata del socio di s.p.a. o di s.r.l. unipersonale, nel caso in cui non siano rispettate le condizioni previste per la sua costituzione e funzionamento.
Tali norme infatti trovano giustificazione nella presunzione che l’effettivo frazionamento del capitale sociale o il rispetto delle condizioni poste per la societa’ di capitali unipersonale, autorizzano in ordine all’affidabilita’ dell’apparenza delle condizioni economiche e patrimoniali della societa’ ed alla garanzia di un suo corretto operare nelle relazioni commerciali: nel primo caso, grazie alle interazioni fra assemblea, amministratori e collegio sindacale che solo la presenza effettiva e realmente autonoma (ossia non simulata ne’ meramente fiduciaria) di un socio di minoranza, ancorche’ titolare di minima frazione del capitale, puo’ garantire (si pensi alle denunzie ex articoli 2408 e 2409 c.c., all’azione di responsabilita’ ex articolo 2395 c.c.); nel secondo, grazie alle condizioni sostanziali e formali tese ad assicurare una piena trasparenza ai rapporti che intercorrono fra societa’ e socio unico e, conseguentemente, delle condizioni patrimoniali della s.r.l. unipersonale a tutela dell’affidamento dell’interlocutore commerciale: e’ previsto infatti che i contratti della societa’ con l’unico socio o le operazioni a favore dell’unico socio sono opponibili ai creditori della societa’ solo se risultano, per le s.p.a., dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, e per le S.r.l., dal libro delle decisioni degli amministratori, o in alternativa da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento (articolo 2362 c.c., comma 5, per le s.p.a.; articolo 2478 c.c., comma 3, per le s.r.l.).
La disciplina della societa’ a responsabilita’ limitata del resto non prevede alcuna deroga, per il caso di s.r.l. unipersonale, alla norma (articolo 2478 c.c., comma 1, n. 2) che prevede l’obbligo di trascrivere “senza indugio”, nel libro delle decisioni dei soci, i verbali delle assemblee, anche se redatti per atto pubblico, nonche’ le decisioni prese ai sensi del primo periodo dell’articolo 2479 c.c., comma 3 (decisioni adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto, per le quali e’ altresi’ prescritto che “dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa”), nonche’ quello di conservare la relativa documentazione.
E’ evidente che un tale complesso di norme e la ratio ad esse sottesa vale a garantire una formale precisa identificazione dell’esercizio del potere deliberativo della s.r.l. anche unipersonale e, conseguentemente, ad impedirne la confusione con le forme e i modi attraverso cui si esprime la volonta’ negoziale del distinto soggetto che rivesta la qualita’ di unico socio; a fortiori tali norme ostano a che, nel caso di contratto concluso dall’unico socio quale rappresentante della societa’ unipersonale, con se’ stesso, la specificita’ dell’autorizzazione richiesta dall’articolo 1395 c.c. possa intendersi realizzata per facta concludentia in conseguenza del fatto stesso della conclusione dell’affare.
Deve invero ritenersi pur sempre necessario il rispetto degli adempimenti formali (in particolare la formalizzazione di Delib. assembleare) volti a garantire e consentire di verificare, eventualmente anche ex post, una volta ricostituita la pluralita’ della compagine sociale ovvero una volta che muti la persona del socio unico, che l’affare sia stato concluso nella distinzione dei centri d’interesse.
5. Sono poi inammissibili il secondo e il terzo motivo.
Entrambi invero fanno riferimento anzitutto a documenti dei quali il ricorrente omette di trascrivere il contenuto o comunque di fornire adeguata ed esaustiva sintesi, oltre che di localizzarli in questo giudizio di legittimita’ (lo sono infatti con la mera indicazione del numero del documento in primo grado e tra l’altro senza specificazione della sede cui e’ correlata la numerazione), in palese violazione degli oneri di specificita’ imposti dall’articolo 366 c.p.c., n. 6.
In ogni caso essi evocano circostanze fattuali che, in relazione a quanto sopra esposto con riferimento al primo motivo, si appalesano del tutto prive di decisivita’ ai fini del giudizio.
6. Il ricorso deve essere in definitiva rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Ricorrono le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 10.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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