Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 maggio 2024| n. 12292.
Sopraelevazione e l’inapplicabilità del diritto di prevenzione e obbligo del rispetto delle distanze dalle costruzioni del confinante
La sopraelevazione deve essere considerata, a tutti gli effetti, come nuova costruzione e può essere quindi eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante; in tal caso, risulta inapplicabile il criterio della prevenzione, che si esaurisce, invece, con il completamento, dal punto di vista strutturale e funzionale, della prima costruzione.
Ordinanza|7 maggio 2024| n. 12292. Sopraelevazione e l’inapplicabilità del diritto di prevenzione e obbligo del rispetto delle distanze dalle costruzioni del confinante
Data udienza 11 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Proprieta’ – Limitazioni legali della proprieta’ – Rapporti di vicinato – Distanze legali (nozione) – Nelle costruzioni – In genere sopraelevazione – Nuova costruzione – Conseguenze – Inapplicabilità del diritto di prevenzione e obbligo del rispetto delle distanze dalle costruzioni del confinante.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere – Rel.
Dott. OLIVA Stefano Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5236/2019 R.G. proposto da:
Ce.Ma., Ce.Lu., elettivamente domiciliati in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato Ci.Fr. (omissis) che li rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ca.Ro., elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato CA.RO. (omissis) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 102/2018 depositata il 08/01/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2024 dal Consigliere ANTONIO MONDINI.
Sopraelevazione e l’inapplicabilità del diritto di prevenzione e obbligo del rispetto delle distanze dalle costruzioni del confinante
PREMESSO CHE:
1.Ce.Lu. e Ce.Ma. ricorrono per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Roma – in causa, per quanto ancora interessa, di rispetto delle distanze tra la sopraelevazione, apportata nel 2007 da parte di essi ricorrenti, al corpo di fabbrica di loro proprietà su fondo in R, Via (omissis), a confine con quello di Ca.Ro., e l’edificio di quest’ultimo – ha, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva negato che la sopraelevazione “configurasse una nuova costruzione stante il modesto aumento della cubatura del manufatto”), affermato che: la sopraelevazione era da qualificarsi come nuova costruzione.
Secondo la Corte di merito:
dalla CTU svolta in primo grado dall’Ing. Ca., dalla CTU, acquisita agli atti, svolta dall’arch. De. in altra causa nunciatoria tra le stesse parti, dalla relazione di chiarimenti espletata dal CTU Ca. in appello, era emerso che la sopraelevazione si era concretizzata in un innalzamento in linea verticale di 61 cm e in aumento di cubatura di 0,46 m3. Il primo giudice aveva ritenuto che l’opera non configurava una nuova costruzione perché l’aumento di cubatura era stato “modesto”. Tale decisione era errata perché la sopraelevazione anche se di ridotte dimensioni comporta sempre un aumento di volume e di ingombro ed è per ciò stesso una nuova costruzione;
era irrilevante, ai fini del rapporto tra le parti, che la sopraelevazione fosse stata autorizzata dall’autorità amministrativa e che “in sede penale fosse stato emesso un decreto di archiviazione” per ipotesi di illeciti commessi con l’attività edificatoria;
la sopraelevazione non rispettava la normativa delle disposizioni del piano regolatore del 2003 che richiamavano l’art.9, comma 2, del D.M. 1444/68;
l’edificio degli odierni ricorrenti doveva essere ricondotto allo stato precedente alla sopraelevazione con “demolizione della nuova costruzione”;
2. Ca.Ro. resiste con controricorso;
3. il controricorrente ha depositato memoria;
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CONSIDERATO CHE:
1. il primo motivo di ricorso è rubricato, “ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p., nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 n.4 c.p.c.”
2. Il motivo è inammissibile.
Va fatta un duplice premessa:
“La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U., n.8053 del 07/04/2014);
la sentenza impugnata e motivata in modo chiaro con riferimento alla qualificazione della sopraelevazione come “nuova costruzione” soggetta, in quanto tale, alla normativa sulle distanze.
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Tanto premesso, il motivo in esame, al di là della rubrica, veicola il tentativo di una rilettura, inammissibile in questa sede di legittimità, della consulenza tecnica d’ufficio prospettandosi da parte dei ricorrenti una qualificazione dell’opera realizzata non in termini di “nuova costruzione” ma di “manutenzione straordinaria” atteso che il volume dell’edificio sarebbe rimasto, dopo la sopraelevazione, “pressoché invariato”.
Per completezza si aggiunge che per costante giurisprudenza di queta Corte, “Nell’ambito delle opere edilizie – anche alla luce dei criteri di cui all’art. 31, primo comma lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457 (oggi art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001) – la semplice “ristrutturazione” si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre e ravvisabile la “ricostruzione” allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima” (Cass. Sez. U, Ordinanza n.21578 del 19/10/2011; Cass. 15041/2018 che ha qualificato come nuova costruzione un edificio che presentava, rispetto a quello preesistente, un lieve incremento della superficie ed un possibile modesto aumento del volume).
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Nel caso e incontroverso che l’opera edilizia di cui trattasi abbia determinato un aumento della altezza e un aumento della cubatura dell’edificio dei ricorrenti;
3. il secondo motivo di ricorso e rubricato, “ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p., nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli art. 191, 113, 116 del codice di rito, quanto ai principi che regolano l’utilizzazione della CTU”. Deducono i ricorrenti che la Corte di Appello ha violato le disposizioni evocate laddove ha demandato al CTU di integrare la relazione di primo grado andando a verificare se l’intervento edilizio di cui trattasi fosse o meno in contrasto con le norme di piano regolatore e col disposto dell’art. 9 del D.M. 1444/68.
3.il motivo è infondato.
3.1. La Corte di Appello, come si legge a pagina 6 della sentenza impugnata, ha, con ordinanza del 26 ottobre 2016, demandato al CTU di precisare se le norme regolamentari vigenti all’epoca di realizzazione del manufatto per la zona in questione prevedevano l’obbligo di rispettare una distanza minima tra costruzioni ovvero minima dal confine e se recepivano o meno il disposto di cui all’art. 9 del D.M. 1444/68 e se il manufatto rispettata o meno tali previsioni”.
3.1. La consulenza tecnica d’ufficio è funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico sicché i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti.
La denuncia per cui al CTU sarebbe stata demandata la soluzione di questioni giuridiche, sarebbe stata centrata se la Corte di Appello avesse demandato al CTU di qualificare l’opera edilizia come nuova costruzione soggetta alla normativa sulle distanze tra costruzioni o come intervento di ristrutturazione. Il che non è quanto la Corte di Appello ha demandato al CTU di fare. La qualificazione giuridica del manufatto è stata operata dalla Corte di Appello.
Né può darsi rilievo al fatto che la Corte di Appello abbia rimesso al CTU di verificare se le norme regolamentari vigenti per la zona in questione prevedevano di rispettare una distanza minima tra costruzioni ovvero una distanza minima dal confine e se recepivano o meno il disposto dell’art. 9 del D.M. 1444/68″.
La Corte di Appello ha infatti dichiarato la nuova edificazione non rispettosa delle distanze in riferimento all’art. 9 del D.M. 1444/68. Questo decreto, emanato ai sensi dell’art. 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dall’art. 17 della “legge ponte” 6 agosto 1967 n. 765, ha dettato i limiti di densità, altezza, distanza tra i fabbricati, all’art. 9, primo comma, n. 2, con disposizione tassativa ed inderogabile, dispone che negli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Tale prescrizione, stante la sua assolutezza ed inderogabilità, risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali prevale sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituisce per inserzione automatica (Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n.624 del 15/01/2021).
È stato anche precisato che (Cass. Sez. 2, Sentenza n.15458 del 26/07/2016) che “In tema di distanze tra fabbricati, nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 c.c.
La verifica del “se le norme regolamentari per la zona in questione prevedevano di rispettare una distanza minima tra costruzioni ovvero una distanza minima dal confine e se recepivano o meno il disposto dell’art. 9 del D.M. 1444/68”, ha riguardato un dato -quello del richiamo dell’art. 9 del D.M. da parte dei regolamenti locali- del tutto irrilevante;
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4. il terzo motivo è rubricato, “ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c.: omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti costituito dalla antecedente edificazione del locale-deposito Ce., insistente sul confine del lotto di loro proprietà, rispetto alla costruzione del villino del Ca.Ro.”.
5. Il motivo è inammissibile.
5.1. Merita ricordare che l’art. 873 c.c. dispone che le costruzioni sui fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore. Secondo il principio di prevenzione temporale il proprietario che costruisce per primo determina le distanze che devono essere osservate per le costruzioni sui fondi vicini. In particolare, colui che costruisce per primo, può: edificare rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice;
costruire sul confine;
edificare ad una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
A fronte della scelta operata dal preveniente, il vicino che costruisce successivamente:
nel primo caso, deve costruire anch’esso ad una distanza dal confine pari alla metà di quella prevista, in modo da rispettare il prescritto distacco legale dalla preesistente costruzione; nel secondo caso può chiedere la comunione forzosa del muro sul confine (art. 874 c.c.) o realizzare la propria fabbrica in aderenza allo stesso (art. 877, primo comma, c.c.). Ove non intenda costruire sul confine, è tenuto ad arretrare il suo edificio in misura pari all’intero distacco legale;
– nel terzo caso, può chiedere la comunione forzosa del muro e avanzare la propria fabbrica fino ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo avere interpellato il proprietario se preferisca estendere il muro a confine o procedere alla sua demolizione, ai sensi dell’art. 875 c.c. oppure costruire in aderenza ai sensi dell’art. 877, secondo comma c.c. Ove non intenda fare ricorso ad una di queste possibilità, è tenuto ad arretrare rispettando il distacco legale dalla costruzione del preveniente.
5.2. Rispetto alla questione controversa costituita dal se l’opera edilizia di cui trattasi – integrante una nuova costruzione – sia o meno rispettosa della normativa sulle distanze da osservarsi riguardo al villino dell’odierno controricorrente, il fatto che l’edificio su cui la nuova costruzione è stata realizzata fosse sorto sul confine prima del suddetto villino, non è un fatto decisivo per ragioni logiche prima ancora che giuridiche: si tratta di nuova costruzione e quindi il criterio di prevenzione non può essere correlato alla diversa, preesistente, costruzione.
Per questo la Corte ha già avuto modo di precisare che: “La sopraelevazione, a tutti gli effetti deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante; risulta, in tal caso, inapplicabile il criterio di prevenzione, che si esaurisce, viceversa, con il completamento, dal punto di vista strutturale e funzionale, della prima costruzione” (Cass. n. 5049 del 05/03/2018); 5 il quarto motivo è rubricato, “ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c. quanto al capo della sentenza secondo cui prive di rilevanza e inammissibili sono le deduzioni di parte appellata sollevate nell’ultima comparsa conclusione, inerenti il fabbricato di proprietà dell’appellante in ordine al quale nessuna domanda e stata svolta”;
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6. il motivo è inammissibile.
6.1. Ricordano i ricorrenti di avere, proprio con tale comparsa sollevato la questione della prevenienza del loro originario fabbricato rispetto al villino del Ca.Ro.
6.2. Vale quanto già osservato in riferimento al terzo motivo di ricorso;
7. il quinto motivo di ricorso e rubricato, “ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c.: omesso esame circa il fatto decisivo controverso costituito dal rapporto pertinenziale rispetto alla abitazione principale del locale/deposito di volume pari 13,83 m3, consistenza di cui alla DIA 2006, inferiore al 20% di quella del bene principale dichiarata nella domanda di sanatoria in 436 m3”; Deducono i ricorrenti che sia nella relazione del CTU sia nel decreto del giudice delle indagini preliminari di archiviazione del procedimento penale aperto a loro carico in relazione alla edificazione di cui trattasi era stato scritto che tale edificazione era una “pertinenza dell’immobile principale” onde legittimamente era stato realizzato “mediante semplice DIA ex art. 22, comma 1, TUE”;
8. il motivo è inammissibile perché non tiene conto del contenuto della sentenza.
8.1. La Corte di Appello non ha affatto trascurato ma ha dichiarato irrilevante, ai fini del rapporto tra le parti, il fatto che la sopraelevazione fosse stata autorizzata dall’autorità amministrativa e che “in sede penale fosse stato emesso un decreto di archiviazione”. In particolare, con riferimento al primo aspetto, la Corte di Appello ha richiamato la sentenza di questa Corte n.13170/2021 secondo cui “Nelle controversie tra privati, derivanti dall’esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni di legge o degli strumenti urbanistici, ciò che acquista rilevanza è, sempre e soltanto, la lesione di diritti soggettivi attribuiti ai privati dalle norme medesime, anche se trattasi di norme non integrative di quelle dettate dal codice civile in materia di distanze fra le costruzioni, mentre la rilevanza giuridica della concessione o della licenza edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione ed il privato richiedente”.
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Con riguardo al secondo aspetto, la Corte di Appello ha scritto: “Parimenti non rileva la circostanza che in sede penale sia stato emesso decreto di archiviazione stante l’autonomia delle azioni e la non vincolatività di detto provvedimento in questa sede”;
9. il sesto motivo è rubricato, “ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c.: nullità del procedimento e della sentenza della Corte territoriale per violazione dell’art. 132 c.p.c. e 111 Cost. nonché degli artt. 871,872 e 873 c.c., quanto al capo della sentenza della Corte territoriale che, qualificate apoditticamente come integrative del codice civile le prescrizioni di cui al D.M. 1444/68 e delle NTA del PRG del 1965 asseritamente violate dall’edificazione del locale-deposito dei Ce., li ha condannati al ripristino dello stato dei luoghi mediante demolizione”.
La Corte di Appello ha affermato che l’intervento di sopraelevazione “non è rispettoso delle prescrizioni di cui al D.M. 1444/68 e delle NTA del PRG del 1965 nonché delle norme del PRG del 2003, che richiamando l’art. 9, comma 2, del D.M. 1444/68 prescrivono “una distanza minima assoluta di 10 ml tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti in presenza di nuove costruzioni”. Sulla base di questo accertamento e definite “tale normativa come integrativa delle disposizioni codicistiche”, ha condannato gli attuali ricorrenti a demolire il manufatto.
Sostengono i ricorrenti che la Corte di Appello avrebbe dovuto motivare sul perché della suddetta definizione.
10. Il motivo è inammissibile.
11. “Il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che, in applicazione dell’art. 41 “quinquies” legge urbanistica (come modificato dall’art. 17 della legge 765 del 1967), detta i limiti di densità, altezza, distanza tra i fabbricati, all’art. 9, primo comma, n. 2, con disposizione tassativa ed inderogabile, dispone che negli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Si tratta di prescrizione, assoluta ed inderogabile, risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali.
Per suo stesso contenuto -di cui la Corte di Appello ha dato conto-trattasi di disposizione integrativa dell’art. 873 cod. civ. Non occorreva alcuna particolare esplicitazione ulteriore;
11. In conclusione e tenuto conto del disposto dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile (per la formula conclusiva, v. Cass. 7155/2017);
12. le spese seguono la soccombenza;
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P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile;
condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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