Sfratto e le azioni a tutela della locazione
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La locazione: la disciplina. Gli obblighi del locatore e del conduttore
La locazione: la disciplina dei fondi immobili ed urbani
13) Le azioni a tutela
A) Il rito speciale delle locazioni
Ai sensi del primo comma dell’art. 447-bis del Codice di Procedura Civile, le controversie in materia di locazione (e di comodato) di immobili urbani (nonché quelle di affitto di aziende[418]) sono disciplinate dagli articoli 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, primo comma, 422, 423, primo e terzo comma, 424, 425, 426, 427, 428, 429, primo e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441 in quanto applicabili; ossia dalle norme, contenute nel titolo IV del secondo libro del c.p.c., dettate per la disciplina delle controversie di lavoro.
Giudice competente è il Tribunale (in composizione monocratica) del luogo dove è posto l’immobile (artt. 9, 21, 50-ter c.p.c.).
Sono nulle le clausole di deroga alla competenza (art. 447-bis, comma 2, c.p.c.).
La domanda si propone con ricorso: art. 414.
Il ricorso, che tra l’altro deve contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda (con relative conclusioni) e, a pena di decadenza, l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi, deve essere depositato nella cancelleria del giudice insieme ai documenti in esso indicati.
Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente (art. 415, comma 2).
Il ricorrente deve notificare ricorso e decreto di fissazione dell’udienza al convenuto entro dieci giorni dalla data di pronuncia del decreto e in ogni caso tra la data di notifica del ricorso e l’udienza di discussione debbono intercorrere trenta giorni (artt. 415, comma 4, e 417, comma 4).
Il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno dieci giorni prima dell’udienza mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio (art. 416 c.p.c.); nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi e in particolare i documenti che deve contestualmente depositare. (art. 416 cit., comma 2).
Ai sensi dell’art. 420, comma 1, seconda parte, Cod. proc. civ., durante l’udienza di discussione le parti possono modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate solo se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice.
Il processo locatizio potrebbe esaurirsi in un’unica udienza (art. 420), laddove non vi siano prove da assumere o queste possano essere assunte nel corso della stessa udienza di discussione. In ogni caso, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 420, le udienze di mero rinvio sono vietate.
Le parti sono tenute a comparire personalmente; la mancata comparizione personale delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione (art. 420, comma 1; anche il comma 2 sulla rappresentanza).
Il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione della lite.
Il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo (art. 420, comma 3).
Il giudice può disporre d’ufficio, in qualsiasi momento, l’ispezione della cosa e l’ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, sia scritte che orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti (art. 447-bis, comma 3).
Il giudice, in ogni stato del giudizio, può disporre con ordinanza – titolo esecutivo – il pagamento delle somme non contestate (art. 423, commi 1 e 3 c.p.c.).
In ogni caso, già ai sensi dell’art. 45, ultimo comma, legge 392/1978, fino al termine del giudizio il conduttore è obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato.
Raccolte le prove, il giudice invita le parti alla discussione orale, al termine della quale le stesse precisano le loro conclusioni.
Subito dopo la discussione orale il giudice pronuncia la sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo. (Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza: art. 429, commi 1 e 2).
La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia e il cancelliere deve darne immediata comunicazione alle parti (art. 430).
Le sentenze di condanna di primo grado sono provvisoriamente esecutive.
All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza.
Il giudice d’appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’efficacia esecutiva o l’esecuzione siano sospese quando dalle stesse possa derivare all’altra parte gravissimo danno (art. 447-bis, ultimo comma, c.p.c.). In tal caso l’appello può essere proposto con riserva dei motivi, i quali dovranno essere presentati entro i termini per appellare.
L’appello si propone con ricorso davanti alla Corte d’Appello territorialmente competente (art. 433) entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza (art. 434), ovvero entro 6 mesi dalla sua pubblicazione, cioè dal deposito in cancelleria, se non notificata.
Il ricorso deve contenere, tra l’altro, l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione, e deve essere notificato all’altra parte (appellato) insieme con il decreto col quale il Presidente della Corte d’Appello ha fissato l’udienza di discussione (udienza che deve tenersi non oltre sessanta giorni dalla data di deposito del ricorso ex art. 435 c.p.c.).
Sono inappellabili le sentenze che abbiano deciso una controversia di valore non superiore a euro 25,82 (art. 440), impugnabili tuttavia in Cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., ovvero contro le sentenze è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge.
L’appellato deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese (art. 436 c.p.c.).
Se propone appello incidentale, l’appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui fonda l’impugnazione. L’appello incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza nella memoria di costituzione, da notificarsi, a cura dell’appellato, alla controparte almeno dieci giorni prima della udienza di discussione.
Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni.
Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa.
E’ salva la facoltà delle parti di deferire il giuramento decisorio in qualsiasi momento della causa (art. 437, comma 2, c.p.c.).
Nell’udienza di discussione il giudice incaricato fa la relazione orale della causa.
Il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza. La sentenza deve essere depositata entro quindici giorni dalla pronuncia (artt.437 e 438 c.p.c.).
Il ricorso per cassazione è disciplinato in via generale dagli artt. 360-394 c.p.c.
Il rito speciale, atteso il richiamo di cui agli artt. 400 e 406 c.p.c., trova applicazione anche per lo svolgimento dei giudizi di revocazione e di opposizione di terzo.
Per ultima pronuncia di merito[419] per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 1 cod. proc. civ., non è sufficiente la sola violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ., né sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si richiede un’attività intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità, pregiudicando l’esito del procedimento (Nella specie, relativa a convalida di sfratto per morosità, si è escluso che integrasse dolo revocatorio la condotta del difensore della locatrice, il quale aveva correttamente attestato la persistenza della morosità del conduttore, sussistendo, al momento della udienza fissata per la convalida, il presupposto del mancato pagamento dei canoni scaduti specificatamente indicati nell’atto di intimazione, e piuttosto lamentando il conduttore l’esistenza di un pactum de non petendo, ovvero di un fatto impeditivo o modificativo dell’obbligo di pagamento non utilmente però dedotto nel procedimento di convalida).
B) Il procedimento per convalida di sfratto
Gli articoli 657-669 del Codice di procedura civile, nell’ambito della disciplina dei procedimenti sommari, trattano del “procedimento per convalida di sfratto”, ossia di un processo che consente al locatore di ottenere celermente dal giudice una ordinanza costituente titolo esecutivo.
Il requisito della sommarietà non è riferibile alla superficialità della cognizione, bensì al meccanismo connesso all’acquiescenza (il riferimento è all’ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c.), o all’incompletezza della cognizione (in ipotesi di ordinanza di rilascio con riserva, ex art. 665 c.p.c.).
Tali articoli disciplinano:
1) la licenza per finita locazione, che si intima al conduttore prima della scadenza del contratto al fine di ottenere un titolo esecutivo da utilizzare nel caso in cui, scaduto il contratto, il conduttore non intenda rilasciare l’immobile (Negata la convalida della licenza per finita locazione, in ragione dell’erronea indicazione – nell’intimazione – della data di cessazione del rapporto, ben può nondimeno il giudice, apertasi la fase del giudizio di merito e corretto l’errore da parte del locatore, condannare il conduttore a rilasciare l’immobile in una data futura anche quando la scadenza della locazione non si verifichi nel corso del giudizio[420]);
2) lo sfratto, che si intima una volta scaduto il contratto senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile;
3) lo sfratto per morosità, che si intima nei casi di mancato pagamento dei canoni alle scadenze stabilite.
In altre parole il procedimento speciale è utilizzabile in tre ipotesi:
a) quello della licenza per finita locazione (art. 657, comma 1), in cui il rapporto è ancora in corso e il locatore vuole precostituirsi un titolo esecutivo per quando sarà venuto a scadenza il titolo, in modo da rendere sicuro il rilascio;
b) quello dello sfratto per finita locazione (art. 657, comma 2), in cui il locatore agisce dopo la scadenza del contratto puntando a ottenere un titolo esecutivo per il rilascio (sempre che il contratto non si debba considerare tacitamente rinnovato);
c) quello dello sfratto per morosità (art. 658), in cui il locatore agisce contro il conduttore che ha omesso il pagamento del canone alle scadenze pattuite, e di cui ci occuperemo.
Il procedimento inizia quindi con l’intimazione del locatore da notificarsi al conduttore con contestuale citazione per la convalida dinanzi al Tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata (giudice competente ex art. 661 c.p.c.).
La competenza è inderogabilmente radicata presso il tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata (art. 661).
La citazione introduttiva presenta notevoli particolarità rispetto a quella del rito ordinario, anzitutto perché mostra un contenuto complesso, in parte sostanziale e in parte processuale[421].
Con riguardo alla legittimazione attiva va precisato che non occorre la proprietà del bene, ma solo la sua disponibilità[422] che derivi da un titolo idoneo a trasferire al conduttore la detenzione e il godimento[423].
Come riporatato in ultima sentenza
Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 10 luglio 2014, n. 15788
la Corte ha avuto piu’ volte modo di affermare la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarita’ del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarita’ del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento.
Da essa va tenuta distinta la titolarita’ della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non e’ consentito alcun esame d’ufficio, poiche’ la contestazione della titolarita’ del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata.
Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all’azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneita’ al rapporto sostanziale controverso (cfr. Cass., 30/5/2008, n. 14468).
Deve per altro verso ribadirsi il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ in base al quale chiunque abbia la disponibilita’ di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme d’ordine pubblico, puo’ validamente concederla in locazione, comodato o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed e’ conseguentemente legittimato a richiederne la risoluzione, nell’ipotesi in cui sussista l’inadempimento del conduttore (v. Cass., 4/3/2005, n. 4764).
In ipotesi di più locatori[424], ciascuno può agire autonomamente in giudizio, salvo opposizione degli altri comproprietari: qualora questi ultimi siano in possesso di quota maggioritaria, devono costituirsi in giudizio onde opporsi all’azione[425] .
Sotto il profilo processuale, la citazione deve contenere, in luogo dell’invito e dell’avvertimento al convenuto di cui all’art. 163, comma 3, n. 7, l’invito all’intimato a comparire e l’avvertimento che la mancata comparizione o anche solo la mancata opposizione comportano la convalida dello sfratto.
Autonomi termini di comparizione sono poi previsti dal comma 4 dell’art. 660 (tra il giorno della notificazione e quello della udienza debbono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni, anche se nelle cause che richiedono pronta spedizione al giudice è consentita, su istanza dell’intimante, l’abbreviazione fino alla metà).
Le parti hanno facoltà di costituirsi con la duplice modalità del deposito in cancelleria (dell’intimazione corredata dalla relazione di notifica per l’intimante, o della comparsa di risposta per l’intimato) o della presentazione degli atti direttamente all’udienza: così il quinto comma dell’art. 660.
Ai fini dell’opposizione e del compimento delle attività previste dagli articoli 663-666, è sufficiente la comparizione personale dell’intimato.
L’intimato che sia comparso difendendosi personalmente, in conformità del disposto del comma 6 dell’art. 660, dovrà ugualmente considerarsi costituito personalmente ai fini della pronuncia dei provvedimenti contemplati dagli artt. 663-666 e della stessa ordinanza ex art. 667, con l’effetto che nei suoi confronti sarà applicabile l’art. 170, comma 3 cod. proc. civ., mentre, una volta che sarà intervenuto il mutamento del rito per il prosieguo del giudizio ai sensi dell’art. 447- bis cod. proc. civ., la costituzione così intervenuta non potrà sortire ulteriore efficacia e sarà necessario che lo stesso formalizzi una nuova costituzione con l’assistenza di difensore (al quale deve conferire mandato), attraverso il deposito di apposita memoria, così come previsto dall’art. 416 del codice di rito.
In tema di proponibilità della domanda riconvenzionale nel procedimento sommario di sfratto vanno registrate opinioni divergenti.
In dottrina taluni hanno sostenuto con vigore la preclusione alle riconvenzionali.
In giurisprudenza, al contrario, si è specificato che, nel procedimento sommario di sfratto, la domanda riconvenzionale può essere proposta dall’atto di opposizione alla convalida.
In dettaglio, è stato sostenuto di recente[426] che in sede di procedimento per convalida di sfratto per morosità, laddove l’intimato contesti il fondamento dell’intimazione stessa e proponga domanda riconvenzionale, pur avendo adempiuto tempestivamente al pagamento a seguito di concessione del termine di grazia, l’opposizione determina la conclusione del procedimento sommario e l’instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, nel quale il giudice dovrà valutare tutte le domande, eccezioni e contestazioni, rispettando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
In precedenza, sempre la medesima Corte[427] aveva statuito che, nel giudizio conseguente all’instaurazione del procedimento per convalida la domanda riconvenzionale del convenuto (si aggiunge così come l’istanza di autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo) non deve essere necessariamente proposta con la comparsa di risposta prevista dall’art. 660, comma 5 cod. proc. civ., ma può essere legittimamente formulata anche (e, comunque, non oltre, pena l’inammissibilità) nella memoria presentata nel termine perentorio fissato con l’ordinanza prevista dall’art. 426 cod. proc. civ., richiamato dall’art. 667 dello stesso codice di rito.
L’intimazione perde invece efficacia se all’udienza fissata nell’atto di citazione il locatore non compare (art. 662 c.p.c.).
Se all’udienza non compare l’intimato o comparendo non si oppone il giudice convalida la licenza o lo sfratto e dispone con ordinanza in calce alla citazione l’apposizione su di essa della formula esecutiva (art. 663 c.p.c.). La formula esecutiva ha effetto dopo 30 giorni dalla data della opposizione nel caso che l’intimato non sia comparso.
La mancata comparizione o la mancata opposizione dell’intimato comparso esimono il giudice dall’indagine sui fatti dedotti dall’intimante a fondamento della domanda ma non dall’accertamento della sussistenza di condizioni e presupposti processuali dell’azione.
Il giudice, tuttavia, deve ordinare che sia rinnovata la citazione nel caso in cui risulti o appaia probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore.
L’ordinamento consente tuttavia anche una strada successiva, e percorribile a iniziativa dell’intimato, per far valere queste eventualità.
L’art. 668, disciplinante l’opposizione dopo la convalida, stabilisce infatti che se la convalida è stata ottenuta senza la comparizione dell’intimato, questi può proporre opposizione, nelle forme previste dagli artt. 645 ss. in quanto applicabili, provando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. Lo strumento mira evidentemente a integrare eventuali lacune nella valutazione preventiva del giudice, ma non è utilizzabile se sono decorsi dieci giorni dall’esecuzione. Esso inoltre non sospende l’esecuzione, anche se il giudice può, con ordinanza non impugnabile, disporre la sospensione in presenza di gravi motivi imponendo, se del caso, una cauzione all’opponente (art. 668, u.c.).
Particolari cautele sono connesse alla procedura di notificazione, in considerazione delle conseguenze ricollegabili alla mancata comparizione dell’intimato: è esclusa la validità della notificazione al domicilio eletto, e quando la notificazione non avviene in mani proprie, l’ufficiale giudiziario deve avvertire l’intimato della effettuata notificazione con lettera raccomandata, allegandone la ricevuta all’originale dell’atto (art. 660, comma 7, c.p.c.).
Riassumendo in prima udienza possono verificarsi diverse ipotesi:
– il locatore non compare: il processo è destinato a estinguersi ma, secondo taluni, vengono fatti salvi gli effetti sostanziali dell’atto di disdetta eventualmente contenuto nella citazione;
– l’intimato non compare: il giudice ordina la rinnovazione della notificazione della citazione se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione o la sua mancata comparizione sia dipesa da caso fortuito o forza maggiore (art. 663 c.p.c., comma 1);
– l’intimato pur comparendo non si oppone: il giudice può emanare provvedimento definitivo (art. 663 c.p.c., comma 1);
– l’intimato compare e si oppone: tale contegno processuale decreta la conversione del rito speciale in procedimento ordinario, che si svolge secondo le regole del rito locatizio;
– l’intimato compare, si oppone ma non prova per iscritto le sue eccezioni: il giudice può pronunciare un provvedimento di cognizione sommaria.
– Mentre in caso di mancata comparizione del locatore
per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19425
nel caso di declaratoria di estinzione del procedimento di convalida, a seguito di applicazione dell’articolo 662 c.p.c. – e, dunque, per mancata comparizione del locatore intimante all’udienza fissata nell’atto di citazione e in assenza di istanza del conduttore intimato, comparso a detta udienza, che si proceda, previo mutamento del rito, all’accertamento negativo del diritto azionato – non puo’ il locatore-intimante essere condannato al pagamento delle spese di procedimento, ma queste vanno poste a carico delle parti che le hanno anticipate, in applicazione analogica dell’articolo 310 c.p.c.
Nell’ipotesi in cui l’intimato compaia all’udienza e si opponga alla convalida
Anzitutto il giudice non è tenuto al controllo della regolarità della notifica, problema superato proprio dalla comparizione dell’intimato.
Inoltre affinché la convalida possa essere resa è necessaria l’attestazione, tipica di questo solo caso di utilizzo del procedimento speciale, che la morosità persiste al momento della comparizione.
Se infatti tra la notifica della citazione e l’udienza, o addirittura all’udienza stessa il pagamento è avvenuto, al giudice è inibito il provvedimento di convalida, il Legislatore ritenendo prevalente l’interesse del conduttore moroso a mantenere il possesso dell’abitazione su quello del locatore di riottenere il bene in presenza di morosità, poi sanata.
Tale sanatoria soggiace tuttavia, per le locazioni a uso abitativo, ai limiti imposti dall’art. 55 della legge n. 392/1978: possono cioè essere pagati in udienza i canoni scaduti (e i relativi oneri accessori) solo per un massimo di tre volte nell’arco di un quadriennio. A fronte di condizioni di indigenza del conduttore il giudice può altresì fissare un termine per l’adempimento e una udienza successiva alla scadenza per la verifica, alla quale, constatato il mancato (o incompleto o ritardato) pagamento, convalida lo sfratto.
La legge in questione è applicabile solo alle locazioni a uso abitativo[428].
Il pagamento è perciò ostativo alla convalida dello sfratto e, con essa, alla risoluzione del contratto. Il locatore non può dunque più ottenere questo effetto attraverso il procedimento speciale e si trova di fronte a una alternativa di fondo: accontentarsi del pagamento e lasciare che il procedimento speciale si estingua; oppure perseguire la risoluzione del contratto, ma necessariamente per le vie del giudizio ordinario. A tal uopo può chiedere la conversione del procedimento da speciale in ordinario, allo scopo di far valere, stavolta ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., la risoluzione del contratto dimostrando che l’inadempimento del conduttore riveste carattere rilevante nell’economia generale del rapporto (dimostrazione non necessaria, come si è visto, nell’ambito del procedimento speciale, ove operano i parametri di rilevanza predeterminati dall’art. 5 della legge n. 392/1978).
In tema è intervenuta nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 settembre 2014, n. 19865
riaffermando una serie di principi, ovvero:
il caso in cui l’intimato si opponga alla convalida e chieda in subordine ed ottenga il termine di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 55 ma poi non lo rispetti.
Cass. n. 19772 del 2003, infatti, ha statuito: In tema di locazione di immobili urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosita’, abbia richiesto in via subordinata la concessione del cd. “termine di grazia”, manifesta implicitamente una prevalente volonta’ solutoria incompatibile con quella di opporsi alla convalida, che comunque non puo’ piu’ ritenersi condizionata alla mancata proposizione dell’opposizione, secondo quanto dispone l’articolo 665 cod. proc. civ., bensi’ di mancato pagamento del dovuto nel termine – che ha carattere perentorio – all’uopo fissato giusta il disposto della Legge n. 392 del 1978, articolo 55, sicche’, al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice, consegue, l’emissione, da parte di questi, dell’ordinanza di convalida ex articolo 663 cod. proc. civ.. Infatti per effetto del mancato pagamento, il procedimento retrocede alla fase precedente all’instaurazione del subprocedimento di sanatoria e il provvedimento da emettere e’ quello di convalida, che sarebbe stato emesso se il subprocedimento non fosse stato instaurato”. Sostanzialmente nello stesso senso, successivamente, Cass. n. 24764 del 2008; si vedano anche Cass. n. 6336 del 2006; n. 5540 del 2012.
Si veda ancora, in precedenza Cass. n. 4646 del 1990, secondo cui: In tema di locazione d’immobili urbani, qualora il conduttore cui sia stato intimato lo sfratto per morosita’ nel pagamento del canone, pur opponendosi alla convalida per l’eccepita inesistenza della morosita’ affermata dal locatore, provveda a corrispondere i canoni dovuti e chieda termine per il pagamento delle spese processuali, previa liquidazione delle stesse da parte del giudice, dimostra con tale comportamento una volonta’ incompatibile con l’opposizione alla convalida, per cui ove egli non adempia al pagamento delle spese nel termine fissato dal giudice, questi, ai sensi dell’articolo 663 cod. proc. civ., deve pronunciare ordinanza di convalida di sfratto, senza possibilita’ di rinvio della causa per un’ulteriore trattazione del merito; detta ordinanza non e’ impugnabile ne’ con l’appello ne’ con il ricorso per Cassazione ex articolo 111 Cost., ma soltanto con l’opposizione tardiva ai sensi dell’articolo 668 cod. proc. civ., tranne nelle ipotesi in cui si sostenga che essa sia stata emessa fuori o contro le condizioni previste dalla Legge n. 392 del 1978, articoli 55 e 56 e articolo 663 cod. proc. civ., nel qual caso e’ impugnabile con l’appello e non direttamente con il ricorso per Cassazione.
Poiche’ nella specie giudicata non veniva in rilievo una richiesta di sanatoria in via subordinata, bensi’ fatta in prima battuta, sebbene con contestazione della sussistenza dei presupposti della morosita’ colpevole (dato che si era allegato di avere inutilmente tentato un’offerta reale) non e’ necessario – si continua a leggere nella sentenza – discutere se tale giurisprudenza sia condivisibile, la’ dove attribuisce alla richiesta subordinata di cd. termine di grazia, una volta accolta, una sorta di effetto di consumazione dell’opposizione proposta in via preliminare.
Invece è stata ritenuta pertinente, fra le decisioni evocate dalla ricorrente, altra non recente sentenza che cosi’ si espresse: “Poiche’ a norma della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 55, la concessione di un termine per il pagamento dei canoni scaduti rappresenta non un obbligo ma una facolta’ discrezionale di cui il giudice puo’ avvalersi quando, non essendo stato effettuato il pagamento in udienza, sussistono comprovate condizioni di difficolta’ del conduttore, senza che la sollecitazione da parte dell’ultimato di tale facolta’ integri opposizione preclusiva della convalida, legittimamente il giudice, ove non ritenga di concedere il richiesto termine, convalida lo sfratto con provvedimento che ha natura di ordinanza non impugnabile – salva l’opposizione ex articolo 668 cod. proc. civ. – ove, oltre al requisito della mancata opposizione dell’intimato, sussista anche l’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore della persistenza della morosita’” (Cass. n. 5113 del 1989).
Sarebbe, inoltre, pertinente, ancorche’ non richiamata dalla ricorrente, la successiva Cass. n. 4031 del 1998, secondo cui “Nel procedimento di convalida di sfratto, l’ordinanza pretorile che, respingendo l’istanza del convenuto di concessione di un termine di grazia ai sensi della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 55, sul presupposto della inapplicabilita’ di detta disposizione alle locazioni non abitative, dispone la convalida dello sfratto, risolve una questione di merito di natura decisoria ed e’ pertanto impugnabile con l’appello”.
A conclusione dle proprio ragionamento il Collegio ha ritinuto che il principio da condividersi è quello di Cass. n. 4031 del 1998.
Si legge testualmente (riportato integralmente in corsivo) che “La tesi della prima sentenza – gia’ incrinata da Cass. n. 13419 del 2001, secondo cui “Il diniego del giudice di concedere al conduttore moroso il termine per il pagamento Legge n. 392 del 1978, ex articolo 55 sfugge al sindacato della Corte di Cassazione, ove sia motivato con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici” – non appare condivisibile, perche’ suppone una costruzione dell’istanza ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 55 che non e’ corretta.
In disparte il riferimento alla necessita’ che sia attestata la persistenza della morosita’, che, come s’e’ veduto, e’ in contraddizione con la comparizione dell’intimato e con la richiesta da parte sua del termine di grazia che implica di solito quella persistenza (salvo che il termine, essendosi sanata la morosita’ relativa ai canoni o agli oneri accessori, sia richiesto per interessi e spese giudiziali, come e’ possibile), si deve rilevare che non era e non e’ concepibile che l’esercizio del potere di concessione del termine di cui all’articolo 55, ancorche’ subordinato ad una valutazione del giudice, non sia controllabile in iure quanto all’incidenza del suo erroneo esercizio sulla situazione giuridica del conduttore per effetto della negazione del termine richiesto, come accadrebbe se il provvedimento adottabile dal giudice della convalida, quando non ravvisi le comprovate condizioni di difficolta’ del conduttore, dovesse essere l’ordinanza ai sensi dell’articolo 663 c.p.c. e non fosse invece necessario fare luogo alla cognizione piena, nel presupposto dell’esistenza conseguente di una opposizione del conduttore alla convalida in ragione dell’avviso del giudice. Poiche’ la negazione della concessione del termine contrasta con l’atteggiamento del conduttore intimato, il quale invece postulandola lo ha fatto proprio per evitare la convalida, e’ palese che un provvedimento del giudice di adozione dell’ordinanza di convalida in questo caso assumerebbe i caratteri di un’ordinanza di convalida pronunciata non gia’ a seguito di un atteggiamento di mancata opposizione, bensi’ a seguito di un atteggiamento di opposizione, essendo palese che, chiedendo il termine per la sanatoria il conduttore ha inteso manifestare anche ed anzi soprattutto l’intento che lo sfratto non sia convalidato, a nulla rilevando la non contestazione della morosita’, dato che i suoi effetti negativi quella richiesta intende proprio evitare.
Non si comprende, del resto, come, pur in presenza di una pacifica struttura del procedimento di tutela privilegiata che ricollega l’esigenza della cognizione piena e, quindi, preclude l’adozione del provvedimento sommario di convalida, alla semplice pur immotivata manifestazione di un’opposizione alla convalida, possa considerarsi come non oppositivo un atteggiamento che – per il tramite della richiesta di termine per la sanatoria e, quindi, della consecuzione proprio di un effetto che e’ quello di evitare la convalida – appare diretto a questo scopo attraverso una istanza intesa ad ottenere il termine e, dunque, esprime un atteggiamento significativo di una presa di posizione in senso positivo finalizzata ad impedire la convalida e non di una mera immotivata e di mero contenuto negativo opposizione ad essa, cioe’ rivolta solo ad impedire la definizione del procedimento in via sommaria.
Il provvedimento che il giudice della convalida, il quale non ravvisi le condizioni per assegnare il termine di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 55 puo’ emettere non puo’ essere allora l’ordinanza ai sensi dell’articolo 663 c.p.c., bensi’, nel presupposto che la richiesta di termine esprima comunque un’opposizione alla convalida, il provvedimento di tutela anticipatoria che la legge prevede per il carattere di forma di tutela privilegiata del procedimento di convalida, cioe’ l’ordinanza ai sensi dell’articolo 665 c.p.c., cui deve accompagnarsi l’ordinanza dispositiva della cognizione piena ai sensi dell’articolo 667 c.p.c..
Questa ricostruzione, d’altro canto, non e’ in contraddizione con l’altra per cui, se il termine viene concesso e non vi sia stata opposizione motivata da altre ragioni, come la contestazione della morosita’ o della legittimazione passiva o attiva o la deduzione della giustificazione della morosita’ per l’inadempimento del locatore e, comunque, per ragioni inerenti lo svolgimento del rapporto, ove non venga poi osservato, il giudice debba, di solito, emettere l’ordinanza di convalida. E’ sufficiente osservare che, avendo la richiesta del termine senza altre contestazioni integrato un’opposizione alla convalida per la sola sua concessione, quando il conduttore non osservi il termine, tale inosservanza rende irrilevante l’opposizione. Peraltro, la dottrina evidenzia che l’emissione dell’ordinanza di convalida non puo’ nemmeno reputarsi automatica, occorrendo distinguere alcune situazioni nelle quali comunque e’ necessaria la cognizione piena e puo’ giustificarsi solo l’emissione dell’ordinanza di rilascio ai sensi dell’articolo 665 c.p.c.: esse sono quelle in cui comunque si manifesti un’opposizione dell’intimato, il che comporterebbe l’espressione delle ragioni dell’indicato dissenso dall’orientamento di cui sopra si riferiva e che s’e’ detto non pertinente nel caso in esame: ma non e’ questa, per tale ragione, la sede per esprimerle.
Interessa, invece, ed e’ necessario affermare che, in presenza della richiesta di concessione di termine ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 55 qualora il giudice non ritenga sussistenti le condizioni per la sua ammissibilita’, o perche’ non ritenga comprovate le “condizioni di difficolta’ del conduttore” o, ancora prima, perche’ non ritenga applicabile l’istituto di cui a tale norma, come nel caso di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, si configura una situazione nella quale, determinando il contrasto fra la richiesta dell’intimato e l’avviso del giudice un oggettivo apprezzamento dell’atteggiamento del primo come opposizione alla convalida, il procedimento per convalida non puo’ definirsi con l’ordinanza di convalida, ma, sussistendo la necessita’ della cognizione piena ai sensi dell’articolo 667 c.p.c., il giudice puo’ emettere solo eventualmente l’ordinanza ai sensi dell’art 665 c.p.c. e disporre la prosecuzione del giudizio nel merito. Ne consegue che qualora invece il giudice emetta l’ordinanza di convalida, tale provvedimento risulta emesso al di fuori dei presupposti di legge e si deve considerare come una sentenza di primo grado impugnabile con l’appello”.
Ne segue che la Corte territoriale bene ritenne ammissibile l’appello, in quanto, in presenza di una istanza ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 55, il giudice della convalida, reputando (sebbene a ragione: si veda l’arresto di cui a Cass. sez. un. n. 272 del 1999) inapplicabile tale istituto alla locazione di cui e’ processo in quanto ad uso diverso da quello abitativo, avrebbe potuto emettere solo l’ordinanza ex articolo 665 c.p.c. ed avrebbe poi dovuto disporre la prosecuzione del giudizio con il rito di cui all’articolo 447-bis c.p.c. ai sensi dell’articolo 667 c.p.c..“
Infine, sulla fattispecie in esame la Corte di Cassazione
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 ottobre 2014, n. 21836
ha affermato che in tema di locazione d’immobili urbani, la stessa Corte aveva ritenuto che la speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978 fosse ammessa soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 cod. proc. civ., e non anche quando la risoluzione per inadempimento fosse stata chiesta in un ordinario giudizio di cognizione, trovando in tal caso applicazione l’art. 1453, terzo comma, cod. civ., il quale non consente al conduttore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda (cfr. Cass., Sez. I, 8 agosto 1996, n. 7302; Cass., Sez. III, 7 agosto 1996, n. 7253; 29 novembre 1994, n. 10202).
Per effetto di tale orientamento, l’applicabilità dell’istituto in esame doveva ritenersi esclusa anche nel caso in cui la domanda di risoluzione fosse stata avanzata dinanzi agli arbitri ai quali le parti avessero devoluto le controversie derivanti dal contratto di locazione, non potendo essere proposta in sede arbitrale la domanda di convalida dello sfratto, attribuita alla competenza funzionale ed inderogabile del Giudice ordinario, e restando quindi circoscritta la predetta possibilità alla sola ipotesi in cui il procedimento arbitrale fosse stato preceduto da quello di cui all’art. 658 cit.
Senonché, la Corte costituzionale, alla quale era stata rimessa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 cit., nella parte in cui non consentiva la sanatoria giudiziale della morosità nel giudizio ordinario di risoluzione, la dichiarò infondata, rilevando che il testuale riferimento di tale disposizione alla sede giudiziale ed alla prima udienza non era sufficiente a circoscriverne l’ambito applicativo al procedimento per convalida di sfratto, e ritenendo pertanto possibile un’interpretazione idonea ad escludere il prospettato contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (cfr. Corte cost., sent. n. 3 del 1999).
A seguito di tale pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha mutato orientamento, riconoscendo l’applicabilità della sanatoria anche in caso di proposizione della domanda di risoluzione in via ordinaria (cfr. Cass., Sez. III, 18 luglio 2008, n. 19929; 24 febbraio 2000, n. 2087), con la conseguenza che la stessa deve ritenersi ammissibile anche nell’ipotesi in cui la domanda sia proposta direttamente dinanzi agli arbitri.
Nel caso di contestazione dell’intimato.
Se egli nega la propria morosità contestando l’ammontare della somma pretesa, il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della parte di somma non contestata concedendo un termine non superiore a venti giorni. Al mancato pagamento consegue la convalida dello sfratto e, se richiesta, l’ingiunzione di pagamento con separato decreto ai sensi dell’art. 658.
Pronunciati questi provvedimenti, il processo continua nelle forme del rito speciale disciplinato dall’art. 447 bis (cd. rito locatizio), e punta all’accertamento del diritto ottenere (la risoluzione del contratto e dunque) il rilascio dell’immobile per inadempimento.
È bene già precisare che qualora venga intimato sfratto per finita locazione a una certa data e l’intimato si opponga deducendo la terzietà degli intimanti rispetto alla locazione dedotta in giudizio, i locatori possono con la memoria integrativa, successiva all’ordinanza ex art. 426 cod. proc. civ. (che dispone la prosecuzione del giudizio secondo le regole della cognizione piena), precisare o modificare la domanda originaria con riferimento agli elementi relativi alla titolarità del rapporto controverso[429].
La giurisprudenza più recente ritiene ormai «superata» la questione della inammissibilità di domande nuove nel giudizio ordinario che consegue alla opposizione dell’intimato avverso la convalida di sfratto[430] .
La premessa di tale conclusione argomenta come nel procedimento per convalida di sfratto l’opposizione dell’intimato ex art. 665 cod. proc. civ. determini la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un procedimento nuovo e autonomo con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di proporre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata nella citazione di intimazione, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domande riconvenzionali.
Ove lo sfratto sia stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste; in tal caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione (art.663, u.c., c.p.c.).
Il procedimento di convalida di sfratto per morosità è lo strumento predisposto dall’ordinamento per ottenere rapidamente un provvedimento di condanna esecutiva di rilascio di un immobile.
In tema è opportuno, per meglio dire obbligatorio, segnalare il D.Lgs. n. 28/2010[431], istitutivo di un procedimento di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, che ha reso l’esperimento della domanda di mediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale per le controversie di cui all’art. 5, tra cui rientrano quelle in materia di locazione (e comodato).
Ciò vale però solo se tali controversie sono trattate secondo le norme dell’ordinario giudizio dichiarativo.
Se al contrario si utilizza il procedimento degli artt. 657 ss., e dunque proprio l’intimazione di sfratto per morosità, la condizione di procedibilità non opera nella fase monitoria e, in particolare, fino al mutamento del rito di cui all’artt. 667 (art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28/2010), divenendo rilevante, quale condizione di procedibilità, nella fase processuale che continua nelle forme del rito locatizio.
Secondo un’ultima ordinanza di merito[432], prima della ulteriore riforma, all’udienza con cui dispone il mutamento del rito, il giudice invita le parti alla mediazione obbligatoria. Alla successiva udienza, nel caso del mancato avvio della procedura di mediazione, il giudice, qualora preso atto dell’inerzia delle parti, dichiara l’improcedibilità della domanda condannando al pagamento delle spese l’intimante inerte. Nel caso di specie il giudice laziale ha, pertanto, giustamente ritenuto opportuno conformarsi all’art. 5 del D.lgs n. 28, giungendo alla corretta conclusione di rigettare la domanda in rito, perché mancante della condizione di procedibilità, necessaria alla prosecuzione del processo, al contempo ha statuito anche sulle spese di causa, sanzionando, nello specifico, l’inerzia della parte che aveva depositato lo sfratto per morosità, principale interessata ad attivare il procedimento di mediazione.
I contratti di tipo restitutorio, che danno vita cioè agli obblighi appena illustrati, sono quelli di locazione, affitto e comodato, ma solo per i primi due è possibile l’utilizzo del procedimento speciale, in virtù del disposto dell’art. 657 che ne limita l’ambito di applicazione appunto ai contratti di affitto, locazione, e agli altri contratti associativi agrari (mezzadria e colonia parziaria).
Non è possibile invece utilizzare il procedimento speciale per l’obbligazione di restituzione derivante da contratti di comodato, né per quella derivante dal venir meno del vincolo contrattuale non per naturale scadenza ma a seguito di declaratoria di nullità o di annullamento.
Ma con pronuncia del 6 dicembre del 2012
Corte Costituzionale, sentenza n. 272 depositata il 6 dicembre 2012
la Corte Costituzionale, aprendo una vera e propria sospensione del procedimento di mediazione, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 per eccesso di delega, rendendo, pertanto, non più obbligatorio il procedimento testè enunciato.
E difatti, successivamente recepito il dictat della Corte Costituzionale, con
il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69
(decreto “del fare”, convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98) è stato ripristinato il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie elencate dall’articolo 5, comma 1 del d.lgs. 28/2010. In tal modo sono state riportate in vigore le disposizioni dichiarate incostituzionali con sentenza n. 272/2012 della Corte costituzionale, con la speranza che almeno per i prossimi 4 anni non ci siano ulteriori ripensamenti al fine di non rendere ulteriormente incerta la tutela dei cittadini.
Tornando ora nuovamente alla morosità – dopo la breve parentesi necessaria sull’istituto della media-conciliazione – il locatore non può ottenere lo sfratto per morosità se il conduttore non ha pagato uno solo dei canoni previsti.
L’inadempimento, infatti, non è così grave da giustificare la risoluzione del contratto. Così deciso dalla II sezione della S.C.[433]
Per aversi grave inadempimento tale da legittimare lo scioglimento del rapporto, la valutazione non può essere settoriale e fatta per compartimenti stagni, ma va attuata avendo presente non solo la scadenza dei canoni, non il loro importo, ma anche il comportamento della parte inadempiente che, nel caso in esame, è stato ritenuto esente da qualsiasi condotta colposa tale da determinare la risoluzione, operandosi un equilibrato bilanciamento tra il legittimo diritto del locatore alla puntuale prestazione del conduttore e il legittimo diritto del conduttore a non vedersi risolto il contratto, in mancanza di una sua colpa generatrice di grave inadempimento.
Secondo altra pronuncia[434] meno recente a giustificare la risoluzione di un contratto di locazione, sia esso soggetto o meno a proroga legale, e quindi anche alla luce della normativa vincolistica, non è necessario che l’inadempimento del conduttore si sia concretato nella mancata corresponsione del canone, ma è sufficiente anche la reiterata e colpevole inadempienza, da parte del conduttore medesimo, nel pagamento delle spese relative ai servizi accessori della locazione, qualora abbia carattere di rilevante importanza e gravità.
Per di più per le Sezioni Unite[435] in tema di locazione di immobili urbani, l’art. 5 della legge 27 luglio 1978, n. 392, sulla «predeterminazione» della gravità dell’inadempimento, al fine della risoluzione del rapporto, non trova applicazione per le locazioni ad uso non abitativo, atteso che tale norma è specificamente dettata per le locazioni ad uso abitativo, non è richiamata nella disciplina di quelle non abitative, ed altresì si correla alle peculiari regole, anche sulla determinazione del canone, che operano per le locazioni del primo tipo. Ne consegue che, per le locazioni non abitative, ferma restando l’operatività dell’art. 55 della citata legge con riguardo alla possibilità di sanare la mora, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 cod. civ. (salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui al menzionato art. 5, alla stregua delle particolarità del caso concreto).
Il pagamento in corso di causa dei canoni di locazione scaduti, non esclude la valutazione da parte del giudice del merito della gravità dell’inadempimento del conduttorededotto con l’intimazione di sfratto, specie quando l’inadempimento sia stato preceduto da altri prolungati, reiterati e ravvicinati ritardi nel pagamento del canone medesimo[436].
Venendo ora all’iter processuale se l’intimato compare e fa opposizione all’intimazione, il giudizio si trasforma in un normale processo di cognizione (art. 667 c.p.c.), ma se l’opposizione non è fondata su prova scritta ovvero non sussistano gravi motivi, il giudice convalida l’intimazione pronunziando ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto (art. 665 c.p.c.).
Tale ordinanza può essere subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le spese.
Il locatore, con lo stesso atto, può chiedere anche l’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e di quelli che scadranno fino al rilascio ed in tal caso il giudice emette decreto ingiuntivo (art. 664 c.p.c.).
In tema è opportuno riportare ultima pronuncia della S.C.
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 aprile 2014, n. 8405
secondo la quale la domanda accessoria di ripetizione di indebito, svolta dal conduttore nel giudizio diretto alla determinazione della misura legale del canone locatizio, richiede tra i suoi elementi costitutivi sia l’accertamento del corrispettivo dovuto sia l’avvenuto pagamento, a detto titolo, di somme in eccedenza; ne consegue che deve considerarsi domanda nuova, e come tale inammissibile (ma riproponibile in un separato giudizio), la richiesta di condanna del locatore alla restituzione dell’ulteriore indebito per le somme versategli nel corso del giudizio, in quanto si fonda su presupposti di fatto diversi da quelli prospettati con la domanda originaria, e comporta un mutamento del fatto costitutivo del diritto fatto valere. Né può estendersi analogicamente a tale fattispecie la possibilità, consentita dall’art. 664, primo comma, cod. proc. civ., a chi propone domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità, di ampliare la domanda originariamente proposta fino ad ottenere oltre al pagamento dei canoni già scaduti, anche il pagamento delle somme dovute dal conduttore per i canoni insoluti e da scadere, che configura una delle ipotesi eccezionali di condanna in futuro, delle quali non è consentito allargare per analogia l’area oltre le ipotesi espressamente previste
Ai sensi dell’art. 666 c.p.c. se è intimato lo sfratto per mancato pagamento del canone, e il convenuto nega la propria morosità contestando l’ammontare della somma pretesa, il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa e concedere all’uopo al convenuto un termine. Se il conduttore non ottempera all’ordine di pagamento, il giudice convalida l’intimazione di sfratto e, nel caso previsto nell’articolo 658, pronuncia decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni.
Se, invece, il locatore non chiede il pagamento dei canoni, la pronuncia sullo sfratto risolve la locazione, ma lascia impregiudicata ogni questione sui canoni stessi (art. 669 c.p.c.).
Ai fini della valutazione della sussistenza dell’inadempimento nei contratti sinallagmatici, il giudice – alla luce dei criteri legali e, primo fra tutti, quello dell’esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), che impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte alla corretta esecuzione dell’accordo ed al conseguimento della relativa prestazione, non potendosi invocare a giustificazione l’altrui errore, ove agevolmente rilevabile e rimediabile senza dover sopportare sforzi o costi sproporzionati al risultato – deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti e, segnatamente, delle eventuali negligenze di entrambe le parti, l’una nei confronti dell’altra, non essendo sufficiente che abbia riguardo alla condotta, ancorché negligente, di una sola di esse. Nella specie, la S.C.[437] ha cassato per vizio di motivazione la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificato l’inadempimento del conduttore, per il mancato pagamento di quattro annualità dei canoni di locazione, sul presupposto che il locatore non lo aveva informato circa le mutate modalità di adempimento, che non erano più quelle della diretta trattenuta sullo stipendio dell’importo dei canoni, come inizialmente convenuto, senza, tuttavia, valutare in concreto se per il conduttore stesso fosse comprensibile, in base alla lettura delle buste paga, che quella specifica trattenuta a titolo di canone locatizio era venuta meno.
Sotto un profilo processuale la Cassazione con ultima pronuncia
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 23 ottobre 2014, n. 22531
ha stabilito che ove il giudice d’appello ritenga che l’azione esercitata in primo grado sia stata esercitata erroneamente con le forme del procedimento per convalida di sfratto per morosità, in quanto la domanda prospettava un’azione di rilascio per occupazione senza titolo e non un’azione di risoluzione per inadempimento di una locazione, non può per ciò solo, cioè per l’erronea attivazione del procedimento speciale, rigettare la domanda qualificata come occupazione senza titolo, ma deve deciderla esaminando se ne ricorrano i presupposti giustificativi e, quindi, valutare se l’occupazione senza titolo sussista oppure no.
Infine, sempre sotto un profilo processuale, è stato, poi, precisato da altra recente Cassazione che
Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 2 febbraio 2017, n. 2702
l’ordinanza di convalida di licenza o sfratto per finita locazione, preclusa l’opposizione tardiva, acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale non solo sull’esistenza della locazione; sulla qualita’ di locatore dell’intimante e di conduttore dell’intimato; sull’intervento di una causa di cessazione o risoluzione del rapporto; ma altresi’ sulla qualificazione di esso, se la scadenza del medesimo, richiesta e accordata dal giudice, e’ strettamente correlata alla tipologia del contratto” (cosi’ Cass. n. 6406/99; nello stesso senso cfr. Cass. n. 2280/05, n. 23302/07, n. 20067/08). L’inciso finale della massima e’ decisivo per comprendere la portata effettiva del principio di diritto: in caso di sfratto o di licenza per finita locazione, non vi e’ dubbio che il giudicato si formi sulla causa di cessazione della locazione costituita dalla sua scadenza e sulla data relativa; tuttavia, perche’ a questo consegua anche un giudicato sulla qualificazione del rapporto e’ indispensabile che la data di scadenza sia strettamente consequenziale ad una determinata tipologia di contratto, tale quindi da non potersi avere se non riconducendo il contratto alla qualificazione considerata.
C) Il procedimento ex art. 30 L.392/1978
L’art. 30 della legge 392/78, sotto la rubrica “Procedura per il rilascio”, detta invece le regole di un procedimento finalizzato a consentire il rilascio dell’immobile a seguito dell’esercizio – da parte de locatore – del diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza.
Pertanto, questo modello processuale non è da ritenersi idoneo negli altri casi legittimanti l’eventuale rilascio dell’immobile oggetto di locazione, come quelli giustificati dall’inadempimento contrattuale del conduttore ovvero inerenti al sopravvenire di una scadenza convenzionale o legale successiva alla prima[438].
Sul piano strutturale, trattasi di un procedimento agile e celere finalizzato alla formazione di un titolo esecutivo di rilascio modellato espressamente sul rito speciale del lavoro
Bisogna, però, aggiungere che il procedimento ha acquisito un’ulteriore rilevanza a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 431/1998, poiché al comma 4 dell’art. 3 risulta stabilito che, ai fini del riconoscimento in sede giudiziale della validità e della conseguente efficacia del diniego di rinnovo azionato alla prima scadenza (qualora il conduttore non abbia rilasciato spontaneamente l’immobile), il locatore è appunto abilitato ad avvalersi della medesima procedura stabilita dall’art. 30, legge n. 392/1978, riferita invero – nell’ordinamento precedente – alle sole locazioni con destinazione non abitativa.
La disdetta per finita locazione alla prima scadenza, se intimata dal locatore ai sensi dell’art. 657 cod. proc. civ., anziché con il ricorso previsto dall’art. 30 della legge 392/78, ora descritto, comporta la necessità di modifica del rito onde accertare l’esistenza del motivo di diniego del rinnovo, con la conseguenza che, se il giudice, senza modificare il rito stesso, emette, in assenza del conduttore, ordinanza di convalida, questa ha natura di sentenza, impugnabile con ordinario atto di citazione.
Avvenuta la comunicazione di cui al terzo comma dell’articolo 29 e prima della data per la quale è richiesta la disponibilità ovvero quando tale data sia trascorsa senza che il conduttore abbia rilasciato l’immobile, il locatore può convenire in giudizio (con ricorso) il conduttore, osservando le norme previste dall’art. 447-bis del codice di procedura civile, ossia mediante ricorso al Tribunale nella cui circoscrizione è posto l’immobile (sono nulle le clausole derogative dalla competenza per territorio).
Alla prima udienza, se il convenuto compare e non si oppone, il giudice, ad istanza del locatore, pronunzia ordinanza di rilascio, la quale costituisce titolo esecutivo e definisce il giudizio.
In altre parole, se il convenuto (costituito o meno formalmente) compare e non si oppone, il comma 4 del citato art. 30 riconduce a questo comportamento il valore di una prova legale che delimita la cognizione del giudice alla semplice constatazione del difetto di una resistenza in giudizio (pur non potendosi, ovviamente, esimere dalla preventiva verifica della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’intentata azione e del diritto al rilascio dell’immobile per la scadenza indicata in disdetta), per cui, operata tale cognizione sommaria, egli é legittimato a emettere un provvedimento di carattere definitivo, che chiude il procedimento, analogamente alla conformazione dei presupposti di operatività dell’ordinanza di convalida nella ipotesi contemplata dall’art. 663 cod. proc. civ.
Nel caso invece di opposizione del convenuto il giudice è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione.
Tuttavia l’esperimento del tentativo di conciliazione, pur costituendo un adempimento doveroso per il giudice di primo grado, non è prescritto né a pena di nullità, né a pena d’improcedibilità e, quindi, la sua omissione non produce effetti invalidanti sullo svolgimento del rapporto processuale.
Se il tentativo di conciliazione – esperito – riesce, il relativo verbale costituisce titolo esecutivo. Ove, invece, il tentativo di conciliazione non riesca, ovvero nel caso di contumacia del convenuto, si procederà a norma degli artt.420 e segg. c.p.c.
Ai sensi dell’art. 30, u.c., L.392/78, il giudice, su istanza del ricorrente, alla prima udienza e comunque in ogni stato del giudizio, valutate le ragioni addotte dalle parti e le prove raccolte, può disporre il rilascio dell’immobile con ordinanza provvisoria di rilascio in corso di causa costituente titolo esecutivo, che poi viene successivamente superata dalla sentenza con la quale si decide sul merito della controversia (rimanendo assorbita dalla pronuncia di accoglimento o revocata per effetto della statuizione di rigetto), poiché naturalmente – sia per il caso in cui il locatore formuli l’istanza ai sensi dell’art. 30, ultimo comma (e indipendentemente dal suo accoglimento o meno), sia per l’eventualità in cui non intenda procedervi – il giudizio è destinato a continuare (11), applicandosi le disposizioni in tema di controversie di lavoro, fino all’emissione della sentenza (che, se di accoglimento, è da qualificarsi provvisoriamente esecutiva, in virtù del disposto dell’art. 447-bis, comma 4 cod. proc. civ.), la quale sarà suscettibile di impugnazione con le modalità proprie previste per il richiamato rito.
Il provvedimento deve contenere l’indicazione relativa alla fissazione del termine dilatorio riguardante il rilascio dell’immobile, alla stregua della previsione generale trasparente dall’art. 56, legge n. 392/1978 nonché – in analogia ai principi elaborati dalla più innovativa giurisprudenza in tema di procedimento di convalida di sfratto[439] – la pronuncia sulle spese, sulla scorta della disciplina generale sancita dagli artt. 91 ss. cod. proc. civ. (che prevede, in via principale, l’applicazione del criterio della soccombenza), non rimanendo esclusa, pertanto, la possibilità di pervenire a una loro compensazione totale o parziale, in presenza di gravi e giusti motivi.
E’ controversa, infine, la questione se l’estinzione del giudizio travolga anche gli effetti dell’ordinanza di rilascio provvisoria eventualmente emessa.
La giurisprudenza prevalente[440] in merito all’ordinanza di cui all’art. 665 cod. proc. civ. (equiparabile a quella in esame) ritiene che – alla stregua della sua natura e non rivestendo essa carattere cautelare strumentale rispetto alla pronuncia di merito – il provvedimento in questione conservi i propri effetti esecutivi anche nell’eventualità dell’intervento dell’estinzione del processo in seno al quale è stato adottato, ancorché senza acquisire l’incontrovertibilità propria del giudicato, rimanendo, perciò, impregiudicato il potere di riproposizione della stessa domanda o di esperimento di altra azione orientata all’ottenimento di una declaratoria di accertamento negativo del diritto del locatore sul quale l’ordinanza medesima risultava fondata.
Note
[431] Per la consultazione del testo integrale aprire la seguente pagina
Media conciliazione spla organismo di conciliazione in collaborazione con studio legale D’Isa
[433] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 26709 del 13 dicembre 2011
[439] Cfr., per tutte, Cass. 22 marzo 1999, n. 2675; Cass. 7 aprile 1999, n. 3336, Cass. 13 giugno 1994, n. 5720
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