In tema di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Ordinanza 8 ottobre 2020, n. 21720.

La massima estrapolata:

In tema di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato si configura eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore solo allorquando il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete; non ricorre quando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio (Nella fattispecie le S.U. hanno dichiarato inammissibile il ricorso contro la sentenza del Consiglio di Stato che, nel confermare la sentenza del TAR, aveva escluso da una gara una società che aveva violato il principio della segretezza delle offerte accordandosi con altra società partecipante. Le sezioni unite hanno ritenuto non configurabile l’eccesso di potere per invasione delle attribuzioni riservate al legislatore, dal momento che il Consiglio di Stato aveva interpretato e applicato la normativa in materia, art. 46 del d.lgs. 163 del 2006).

Ordinanza 8 ottobre 2020, n. 21720

Data udienza 21 luglio 2020

Tag/parola chiave: Giurisdizione – Ricorso per Cassazione contro le decisioni dei giudici amministrativi – Consiglio di Stato – Eccesso di potere giurisdizionale – Invasione nella sfera delle attribuzioni riservata al legislatore – Attività di interpretazione della norma da parte del giudice – Eccesso di potere – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f.

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez.

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5947/2019 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., quale mandataria del costituendo (OMISSIS) s.r.l. – (OMISSIS) s.r.l., – (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 2, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
ANAC – AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE (gia’ AVEP – AUTORITA’ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI SERVIZI E FORNITURE), (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) S.R.L., in proprio e quale mandataria di costituendo (OMISSIS) s.r.l. – (OMISSIS) s.r.l.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 6520/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 19/11/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda al vaglio, per quel che qui rileva, puo’ sintetizzarsi nei termini seguenti:
– Il Comune di Milano escluse dalla gara d’appalto n. (OMISSIS) la ricorrente, incamero’ la cauzione provvisoria e dispose segnalazione all’AVCP (Autorita’ di vigilanza sui contratti pubblici) – oggi ANAC (Autorita’ nazionale anticorruzione) – in quanto:
a) la Commissione giudicatrice aveva rilevato che i plichi della (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.r.l. presentavano importanti similitudini, cosi’ da far presumere un accordo fra le due imprese, di talche’ le offerte non sarebbero state autonome, bensi’ concordate;
b) erano rimasti violati i principi di segretezza, indipendenza e serieta’ delle offerte e il patto d’integrita’ con il quale i concorrenti si erano impegnati ai principi di lealta’, trasparenza e correttezza, nonche’ a segnalare alla stazione appaltante ogni possibile tentativo di turbativa, irregolarita’ o distorsione, cosi’ da prevenire accordi fra i concorrenti;
– il Tribunale amministrativo per la Regione Lombardia, disattese il ricorso della s.r.l. (OMISSIS);
– il Consiglio di Stato rigetto’ l’appello della (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di capogruppo mandataria di costituendo (OMISSIS) con (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., evidenziando che:
– l’esclusione dalla gara trovava fondamento non gia’ nella violazione del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 38, commi 1, lettera m-quater), (“collegamento sostanziale” tra imprese), bensi’ nella diversa ipotesi descritta dall’articolo 46, comma 1-bis del medesimo corpo normativo, il quale prevede l’esclusione in presenza di “irregolarita’ relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”;
– la soglia minima indiziaria risultava conclamata per gravita’, precisione e concordanza;
– per la gara n. (OMISSIS) erano pervenuti alla stazione appaltante due plichi identici, recanti sul frontespizio la indicazione del raggruppamento ” (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.”;
– uno de due plichi conteneva l’offerta del predetto raggruppamento, l’altro, nonostante fosse intestato al medesimo gruppo, conteneva la documentazione di altro raggruppamento;
– sia il plico, che la busta con l’offerta presentavano sui lembi di congiunzione il timbro dell’impresa (OMISSIS) s.r.l.;
– non liberava gli appellanti l’asserto secondo il quale l’inconveniente era da addebitarsi all’impresa di servizi che aveva curato la pratica, in quanto a mente dell’articolo 1228 c.c., la mandante risponde dell’operato del mandatario, anche a titolo di “culpa in vigilando ed in eligendo”;
– la commissione di gara aveva anche rilevato, sotto il profilo sostanziale, che nella stessa gara n. (OMISSIS) e nelle gare nn. (OMISSIS), rispetto a quelle nn. (OMISSIS), le imprese mandanti dei due raggruppamenti erano invertite;
– la violazione di legge addebitata andava ravvisata nel caso in cui la indebita conoscenza del contenuto dell’offerta paventi il mero rischio di pregiudizio del bene giuridico protetto dal principio di segretezza;
– non era necessario aprire le buste con le offerte economiche, essendo sufficiente la prova di un concreto pericolo di conoscibilita’ o diffusione del contenuto dell’offerta (il legislatore non aveva piu’ previsto l’apertura delle buste neppure per la dimostrazione del collegamento sostanziale – Decreto Legislativo n. 50 del 2016, vigente articolo 80);
ritenuto che la s.r.l. (OMISSIS) ricorre avverso la statuizione d’appello, sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e che il Comune di Milano resiste con controricorso;
ritenuto che con i due correlati motivi di censura la ricorrente denunzia violazione dell’articolo 111 Cost., comma 8, sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione delle attribuzioni legislative, nonche’ delle attribuzioni amministrative, in sintesi esponendo che:
– il Consiglio di Stato aveva applicato una disposizione normativa mai emanata dal legislatore, frutto della creazione del giudice, travalicando ben lungi l'”error in iudicando”, mediante l’adozione di un provvedimento abnorme;
– il provvedimento espulsivo di cui al Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 38, comma 1, lettera m-quater), impone di necessita’ l’apertura delle buste, al fine di acquisire univoci elementi dai quali trarsi “l’esistenza di un unitario centro di interessi”;
– l’articolo 46 dello stesso corpo normativo solo dalla non integrita’ del plico fa discendere la violazione della segretezza, che, per contro, la sentenza impugnata aveva ricollegato, violando il principio di tassativita’ e il divieto di analogia, da altre elementi qualificati indizianti;
– la decisione, inoltre, aveva sconfinato nella sfera del merito amministrativo, spettando solo all’amministrazione decidere sull’opportunita’ e la convenienza dell’atto;
– l'”errore materiale di “commistione” della documentazione e dei plichi” non era dipeso da un accordo fra le due partecipanti, bensi’ dal modus operandi dell’agenzia incaricata di curare la pratica;
considerato che le decisioni del Consiglio di Stato possono essere cassate o per motivi inerenti alla esistenza stessa della giurisdizione, ovvero quando il giudice amministrativo ne oltrepassi, in concreto, i limiti esterni, realizzandosi la prima ipotesi qualora il Consiglio di Stato eserciti la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalita’ amministrativa (oppure, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non puo’ formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale), verificandosi, invece, la seconda ove l’organo di giustizia amministrativa giudichi su materie attribuite alla giurisdizione ordinaria o ad altra e diversa giurisdizione speciale (oppure neghi la propria giurisdizione sull’erroneo presupposto che essa appartenga ad altri), ovvero quando, per materie attribuita alla propria giurisdizione, compia un sindacato di merito pur essendo la propria cognizione rigorosamente limitata alla indagine di legittimita’ degli atti amministrativi (Sez. U., n. 8117, 29/03/2017, Rv. 643556);
che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore ricorre solo allorquando il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attivita’ di produzione normativa che non gli compete; l’ipotesi non ricorre quando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli e’ proprio, ricercando la “voluntas legis” applicabile nel caso concreto, potendo tale operazione ermeneutica dare luogo, tutt’al piu’, ad un “error in iudicando” (S.U. n. 21617, 19/9/2017, conf., tra altre, Cass. Sez. U. 12/12/2012, n. 22784; 10/9/2013, n. 20698; 23/12/2014, n. 27341; 31/5/2016, n. 11380, cit.);
che l’attivita’ ermeneutica sottesa alla decisione del Consiglio di Stato, relativamente alla disapplicazione di un atto amministrativo e fondata sulla negata univocita’ testuale dello stesso nonche’ sull’interpretazione di una normativa di non cristallina chiarezza, rientra nei limiti interni della giurisdizione e dell’attivita’ di individuazione delle norme da applicare al caso concreto nonche’ del loro significato – che e’ il “proprium” della giurisdizione stessa – e, pertanto, non integra eccesso di potere giurisdizionale, neppure laddove, successivamente all’impugnazione di detta sentenza con ricorso per cassazione e nelle more della definizione di questo, sopravvenga una decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, a composizione di un contrasto di giurisprudenza, adotti una soluzione diversa da quella posta a fondamento della sentenza gravata, integrando tale circostanza un’evenienza normale e fisiologica nell’evoluzione e nel progressivo consolidamento della giurisprudenza (Sez. U. n. 30301, 18/12/2017, Rv. 646625);
che l’eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera del merito, riservato alla P.A., si configura esclusivamente quando il giudice compia una diretta e concreta valutazione della opportunita’ e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volonta’ dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione (tra altre, Cass. Sez. U. 9/11/2011, n. 23302; 7/11/2013, n. 25037; 15/3/2016, n. 5077), evenienza che qui, all’evidenza, non ricorre; che, siccome ricordano queste S.U. (n. 33094/2019), lo sconfinamento nella sfera del merito non puo’ ipotizzarsi, “per la semplice e decisiva ragione che simili pronunce si esauriscono nella conferma del provvedimento impugnato, per cui l’autorita’ che l’ha emesso mantiene intatti tutti i poteri che avrebbe avuto se l’atto non fosse stato impugnato, con la sola eccezione di ravvisare in esso i vizi di legittimita’ ritenuti insussistenti dal giudice amministrativo” (conf. S.U. nn. 13927/2001, 32619/2018, 7207/2019);
che nel caso in esame il Consiglio di Stato ha ancorato la violazione del principio di segretezza a un’interpretazione del citato articolo 46 che, ben lungi dall’aver generato una norma non emanata dal legislatore, ha valorizzato la portata della previsione di “altre irregolarita’”, dalle quali desumere la violazione della segretezza, senza la necessita’ di accertare l’effettivita’ della “combine” mediante l’apertura delle buste;
che, anche a voler ammettere (ma cosi’ non e’, perche’ la decisione impugnata si fonda sull’articolo 46 e l’ipotesi dell’effettivo riscontrato accordo in danno della gara costituisce solo una ipotesi rafforzativa) che la sentenza abbia ecceduto dalla materia sottoposta al suo esame, reputandosi violato il Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 38, comma 1, lettera m-quater, si verserebbe in una ipotesi di ingiustizia della decisione non censurabile ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 8;
che, peraltro, a insindacabile interpretazione del riparto della giurisdizione e dei limiti del sindacato di questa Corte, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 6/2018, dopo aver confermato il descritto assetto, ha escluso “soluzioni intermedie”, pur limitate “ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento””, poiche’ “attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravita’ del vizio e’, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”;
considerato che, pertanto, il ricorso e’ inammissibile;
considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle attivita’ espletate;
considerato che ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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